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26/11/2022

Iran - Cause e conseguenze dello scontro sociale in corso (prima parte)

Conflitti e struttura della Repubblica Islamica dell’Iran

La continuità e l’estensione delle proteste femminili, giovanili e popolari in Iran merita la dovuta attenzione. Leggerle solo attraverso la lente delle “ingerenze straniere” (Usa e Israele soprattutto) sarebbe un torto alla realtà e al materialismo. Ogni sistema produce continuamente le sue contraddizioni, soprattutto quando i rapporti sociali interni non corrispondono più allo sviluppo del sistema stesso.

Indubbiamente, e soprattutto nei paesi ritenuti “rogues states” dagli Usa, su queste contraddizioni agiscono anche fattori esterni. Nel caso dell’Iran le sanzioni occidentali e i sabotaggi israeliani (arrivando all’uccisione degli scienziati) hanno avuto un peso rilevante.

L’Iran non è affatto un paese arretrato. È una società giovane, colta, moderna, anche se ancora con forti asimmetrie tra città e campagne. Secondo diverse analisi dispone di un’infrastruttura industriale e commerciale ben sviluppata e di un importante capitale umano, soprattutto in campo tecnico-scientifico. “Questo notevole potenziale di sviluppo economico, tuttavia, non è mai stato dispiegato completamente”, segnala però una analisi dell’Ispi.

È dunque una contraddizione inevitabile e profonda quella che si è aperta tra lo stato di sviluppo del paese e le relazioni sociali interne che lo regolano. Un paese in cui una popolazione giovane – soprattutto nelle città – vive nella modernità, difficilmente può accettare ancora un sistema fondato su regole religiose e arretrate che non hanno più ragione di essere, se non nella sfera privata e spirituale.

In Iran l’invadenza della sfera religiosa in quella politica e in quella privata è diventata via via insopportabile per i ceti sociali urbani, mentre viene ancora accettata nelle aree rurali.

L’episodio della morte della studentessa Masha Amini, pur presentata come “conseguenza involontaria” di un intervento della “Polizia Morale”, è diventato così il fattore di rottura per aspettative di cambiamento che incubavano da anni.

Secondo alcuni osservatori “Tutto sembra indicare come la classe media dell’Iran, economicamente deprivata, socialmente frustrata e politicamente oppressa, abbia colto la palla al balzo della morte di Masha Amini per riversare nelle piazze del Paese il suo malcontento e la propria angoscia per il futuro” (Startmag).

L’Iran, con la Rivoluzione del 1979, si è definito come “Repubblica Islamica”; insomma una teocrazia che però ha provato a far convivere regole e visione generale di stampo religioso con strutture tipiche delle società occidentali.

In Iran, ad esempio, esiste il multipartismo. “I partiti politici iraniani sono oggi più di duecento, molti dei quali tuttavia assomigliano più a semplici organizzazioni o movimenti, dalla struttura organizzativa leggera” – scrive l’Ispi – “Solo una ventina di questi partiti partecipano effettivamente alla vita politica del paese, esprimendo candidati e ottenendo seggi parlamentari”.

Dunque chi parla dell’Iran come di una mera “dittatura autocratica”, anzi teocratica, dice una parziale falsità. Ma nella convivenza tra apparati religiosi e apparati politici, i primi hanno mantenuto una posizione prevalente negli orientamenti generali e del paese.

Nella gerarchia politica iraniana si trovano infatti a convivere strutture diverse, alcune nominate per vie interne e per cooptazione, altre attraverso le elezioni e la legittimazione popolare:

La Guida Suprema, affidata ad una figura religiosa del rango di ayatollah, prima con Komeini oggi con Kamenei. I poteri di questa figura, elencati nell’articolo 110 della Costituzione, sono molto estesi: tra questi, oltre a supervisionare e indirizzare il sistema politico iraniano, la Guida è comandante in capo delle forze armate, controlla gli apparati di sicurezza e le principali fondazioni religiose, affida e revoca l’incarico del capo del sistema giudiziario, del capo di Stato maggiore dell’esercito regolare, del comandante del Corpo della Guardia della Rivoluzione Islamica, del capo della polizia, del presidente delle emittenti radiotelevisive nazionali e dei giuristi del Consiglio dei Guardiani della Costituzione

Il Consiglio dei Guardiani della Rivoluzione è costituito da dodici giuristi, sei religiosi scelti dalla Guida Suprema e sei scelti dal Parlamento. Al Consiglio dei Guardiani spetta il compito di vagliare i disegni di legge governativi e le proposte di legge parlamentari, rinviandoli al Parlamento in caso di non conformità con le norme islamiche e con la Costituzione.

Il Consiglio per il Discernimento è l’organo incaricato di mediare tra Parlamento e Consiglio dei Guardiani nel caso in cui sorgano contrasti tra le due istituzioni.

Il Consiglio Supremo di Giustizia. La Costituzione riconosce formalmente l’indipendenza del potere giudiziario, stabilendo però che questo deve essere esercitato in conformità alle norme islamiche. L’organo principale del sistema giudiziario è il Consiglio Supremo di Giustizia, composto dal presidente della Corte suprema, dal procuratore generale e da tre giudici esperti di teologia e giurisprudenza islamica

L’Assemblea degli Esperti è invece l’organo incaricato di nominare la Guida Suprema nel caso questa non emerga per via carismatica, e destituirla nel caso essa sia inabile ai doveri costituzionali o non risponda più ai requisiti richiesti. La scelta della Guida avviene infatti, secondo Costituzione, preferenzialmente per via carismatica: quando un teologo o un giurista risponde ai requisiti fissati ed è accettato e riconosciuto come suprema autorità teologica dalla maggioranza della popolazione, egli assurge al ruolo di Guida. Nel caso in cui il consenso non emerga spontaneamente, interviene l’Assemblea degli Esperti, la quale, secondo il principio islamico della shura, procede a una consultazione, al termine della quale il candidato cui sono riconosciute le maggiori capacità viene nominato Guida suprema. L’Assemblea degli Esperti è composta da ottantasei membri, tutti religiosi, ma eletti a suffragio universale ogni otto anni.

Poi ci sono le strutture sottoposte ad elezioni e dunque alla legittimazione popolare:

Il Presidente della Repubblica. Detentore del potere esecutivo, tranne nei casi che sono di responsabilità diretta della Guida suprema. Rappresenta la seconda carica ufficiale dello Stato, dopo la Guida suprema. Viene nominato tramite elezione popolare diretta con la maggioranza assoluta al primo turno, o con la maggioranza relativa al secondo turno. Il suo mandato dura quattro anni ed è rinnovabile una sola volta; può essere destituito con il voto di almeno due terzi dell’Assemblea consultiva.

L’Assemblea Consultiva Islamica, ovvero il Parlamento. Composto da 270 membri eletti a scrutinio segreto e a suffragio universale ogni quattro anni. Dopo l’elezione i membri devono prestare un giuramento di fedeltà alla Rivoluzione e alla Repubblica Islamica. L’Assemblea detiene il potere legislativo. Tale potere, tuttavia, in caso di questioni di estrema rilevanza nazionale, può essere esercitato direttamente dal popolo tramite referendum indetto dai due terzi dei membri dell’Assemblea.

Appare evidente come la strutturazione costituzionale e democratica della Repubblica Islamica dell’Iran sia pesantemente ipotecata dal potere di orientamento e controllo degli apparati religiosi rispetto a quelli strettamente istituzionali. “Un carattere duale che si esplicita nella compresenza di due forme di legittimazione dell’autorità: una legittimazione di tipo popolare, che ricalca la tradizione costituzionale di inizio Novecento, e una legittimazione di tipo religioso, in ottemperanza alla teoria del governo islamico” sottolinea l’Ispi.

Soprattutto dopo la morte dell’ayatollah Komeini (1989) tutta la dialettica e lo scontro politico interno in Iran si è giocato continuamente nell’equilibrio o nel conflitto di questi poteri.

Ma le proteste di queste settimane di giovani e donne, alle quali si sono aggiunti più ampi settori popolari soprattutto nelle regioni non di origine farsi (Belucistan, zona curda etc.), non sembrano ascrivibili alle fazioni di questo scontro interno alla leadership; al contrario sembrano avere una radice e una dinamica autonoma sia sul piano politico (rivendicazione di fine delle restrizioni religiose e maggiori libertà), sia su quello sociale (emersione del disagio sociale dovuto ai tagli dei sussidi statali, a sacche di impoverimento), né si intravede ancora una leadership politica organizzata e coordinata.

Questo passaggio di qualità richiede degli approfondimenti, sia sul piano politico che nella composizione di classe dello scontro sociale in Iran.

Fine prima parte.

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