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12/06/2024

Il G7 delle “anatre zoppe”

Domani, giovedì, nella lussuosissima location di Borgo Ignazia in Puglia inizierà il vertice del G7 a guida italiana.

Le sette maggiori potenze economiche e militari occidentali – includendo il Giappone che da sempre fa parte della partita – riuniscono annualmente i propri capi di stato dopo che ministri e sherpa hanno già lavorato il terreno sui dossier da discutere e sui quali concordare le possibili azioni comuni. Almeno tre dossier pesano come macigni: le guerre in corso in Europa e in Medio Oriente, i cambiamenti climatici, la recessione economica nei paesi a capitalismo avanzato in contrasto con la crescita dei paesi emergenti.

Il problema è che in questo vertice abbondano i capi di stato in condizione di evidente difficoltà. Nel linguaggio politico statunitense possiamo definirli come “lame ducks”, anatre zoppe. Diciamo che la coincidenza con un “anno elettorale” non ha portato affatto fortuna ai capi di stato del “Giardino” occidentale.

Biden è ormai alle prese con una campagna elettorale che, nonostante tutto, vede Trump in vantaggio. Ma se anche dovesse rivincere, si comprende bene come un uomo anziano già piuttosto rincoglionito difficilmente potrebbe – o dovrebbe – gestire altri quattro anni di mandato presidenziale a capo della maggiore potenza imperialista del mondo.

I due capi di stato delle principali potenze imperialiste europee – Francia e Germania – sono usciti con le ossa rotta dalle recenti elezioni europee. Macròn è da tempo in brutale calo di consensi e, mostrando lo stesso avventurismo che ha dimostrato sulla guerra in Ucraina, ha giocato allo sfasciatutto convocando elezioni anticipate a fine giugno di fronte ai risultati crescenti della destra, con il rischio di consegnarle il governo e mettere qualche pezza con tre anni di convivenza tra la presidenza e l’esecutivo. Sempre che Macron, come tutti i liberali, alla fine non senta il richiamo della foresta del passaggio di consegne ai neofascisti, come avvenuto sistematicamente in Europa nel secolo scorso.

Il cancelliere tedesco Sholz ha subito la più pesante sconfitta politica-elettorale della socialdemocrazia in Germania, rafforzando i democristiani e facendosi superare dalla destra di AfD. Non è stato avventurista come Macron invocando il salto nel buio delle elezioni anticipate ma ha esagerato in senso opposto. La linea del finto tonto di Sholz non lo mette di certo al riparo dal fatto che sul piano dei consensi i partiti che sostengono il suo governo oggi contano solo un terzo dell’elettorato tedesco. La linea guerrafondaia di Sholz e del suo esecutivo insieme a Verdi e Liberali ha fatto cortocircuito con le conseguenze sociali della recessione economica in cui da tempo si dibatte la ex locomotiva economica d’Europa.

Infine c’è il primo ministro britannico Sunak che è stato costretto a convocare le elezioni anticipate a luglio a causa del logoramento e della crisi politica del governo conservatore ,che ha visto dimettersi e succedersi ben tre primi ministri in un solo mandato tra il 2019 e oggi: prima Johnson poi Liz Truss e infine lo stesso Sunak.

Non risultano grandi rogne per i capi di stato di Canada e Giappone. Il primo Trudeau, è un esponente anche lui “liberale”, è al suo terzo mandato consecutivo ma non ha più la maggioranza ed è stato costretto alla coalizione con un altro partito.

Il premier giapponese Kishida è al governo dal 2021 e non sembra avere particolari problemi interni se non quello di aver subito un attentato ad aprile dello scorso anno. Qualche problema in più continuano a darlo l’economia dove il motore della recessione batte ancora in testa e le periodiche azioni di disturbo nella regione da parte della Corea del Nord.

Al momento sembra salvarsi solo Giorgia Meloni, per ora saldamente al governo e leader del primo partito italiano, anche se nelle elezioni europee ha sì aumentato la sua percentuale ma ha anche perso più di 600mila voti rispetto alle elezioni politiche di due anni fa. Un segnale che le bugie e l’enfasi sui consensi in crescita hanno le gambe corte. In prospettiva c’è poi l’ipoteca della legge di stabilità su cui tanti trucchi non saranno più possibili e le lacrime e il sangue delle misure di austerity da adottare si affacciano ormai con inquietante insistenza.

Su sette capi di stato che si riuniscono al vertice del G7, dunque almeno quattro sono “lame duck” ossia anatre zoppe. Non possono prendersi impegni sul futuro perché di futuro potrebbero non averne. Tutti e quattro sono dei guerrafondai in Ucraina, complici di Israele in Medio Oriente e convinti della supremazia occidentale da riaffermare a tutti i costi – e con tutti i mezzi – nella competizione con i paesi emergenti.

Questa debolezza interna della maggioranza dei leader del G7 dovrebbe indurre alla cautela, ma in un contesto in cui l’avventurismo delle classi dirigenti sembra dilagare, appare invece un ulteriore motivo di preoccupazione.

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