Chi conosce Giuseppe Aragno, storico dell’antifascismo e della Resistenza – alle cui ricerche, esposte in saggi e articoli dirompenti, dobbiamo il salutare e felice ribaltamento della rappresentazione e narrazione “picaresca” delle Quattro Giornate di Napoli, che il professore, appunto, ha dimostrato essere state l’esito consapevole e programmato di una capillare rete di attivisti, e non l’esplosione inconsulta e istintiva di un manipolo di lazzari affamati – sa che ogni suo intervento pubblico, nelle piazze della protesta, che non ha mai disertato, come nelle aule e nei centri propulsori della cultura, che ha continuato a frequentare assiduamente, si trasforma immancabilmente in una grande lezione di metodo storiografico, cioè di umanità, se si pensa a quella celebre similitudine di Marc Bloch che apparenta lo storico all’orco delle favole, immancabilmente e irresistibilmente attratto dall’odore di ogni essere umano.
Non ha fatto eccezione la presentazione della sua ultima, intensa fatica, il suo primo romanzo, pubblicato dall’editore La valle del tempo, organizzata negli spazi della libreria Spark, a piazza Bovio, il 15 Gennaio. L’approdo di Aragno alla dimensione letteraria è giustificato dalla contiguità e vischiosità dei processi di ricostruzione storica e di creazione di figure a vario titolo paradigmatiche, capaci di sprigionare tutto il potenziale ideologico e psicagogico di fonti che il rigore preteso dalla loro interpretazione a fini storiografici non consentirebbe di piegare a fini di edificazione morale o di riflessione teoretica.
L’autore ha confessato di aver dovuto superare, nel comporre il suo “Romanzo della resurrezione”, che allude alla rinascita del paese e a quella personale, dopo la tragedia immane della guerra, ostacoli più gravi di quelli incontrati nel suo lavoro di storico, svolto sempre in archivio, su documenti spesso tralasciati, nel solco degli insegnamenti ricevuti dai suoi grandi maestri, Renzo De Felice, da cui prese le distanze, e Gaetano Arfè. Giustificare una divergente opzione ermeneutica in qualche nota a pie’ di pagina, infatti, può richiedere coraggio intellettuale, ma evocare i propri fantasmi e lottare, con tutta l’angoscia che ciò può comportare, per oggettivare e universalizzare il proprio vissuto, così da trasformarlo in uno specimen dell’esistenza di una intera classe sociale in un momento storico cruciale, è un’impresa che fa tremare, una scarnificazione generosa che può lasciare strascichi amari.
I ricordi familiari più intimi e strazianti del professore Aragno, strappato a forza a un destino di miseria e ignoranza dall’amore “ritorsivo” e non rassegnato di una madre annientata dalla mentalità patriarcale e stigmatizzata dalla patologizzazione forzata e interessata della ribellione all’ingiustizia, sono stati trasformati in figure emblematiche di un percorso di riscatto ed emancipazione che il paese ha saputo intraprendere, nel dopoguerra, e che lo ha portato a risorgere da macerie materiali e morali che parevano inamovibili.
Ma il cruccio di Aragno è quello di aver assistito ad un’involuzione culturale e politica che, complice anche una Sinistra che ha abdicato alla sua vocazione politica e alla sua funzione sociale, scegliendo di scimmiottare la destra quando non addirittura di superarla nelle proposte e azioni liberticide, ha sdoganato il classismo e il razzismo, legittimato la repressione e rimesso in auge il semplicismo balordo e ipocrita compendiato nel violento tricolon “dio, patria, famiglia”.
Il romanzo della resurrezione costituisce il tentativo speranzoso e disperato di consegnare alla generazione svuotata e disincantata di oggi e a quelle future, il culto della dea Mnemosyne, presente nel libro come interlocutrice del narratore e come proiezione mitica della memoria storica degli ultimi, che della Storia sono trama e ordito. Questa Memoria va preservata perché è il tessuto della nostra dignità, perché quel che è stato sofferto viene inflitto nuovamente, quel che è stato conquistato viene perduto, ma quel che è stato raccontato bene non verrà mai dimenticato, e sarà lievito di libertà, modello di resistenza nuova.
Non possiamo che ringraziare con commosso affetto il prof. Aragno per aver trasfigurato la sua esperienza senza risparmiarsi, facendo della sua vita privata un fatto politico, perché diventasse il filo conduttore di un racconto che, come ha detto in conclusione l’autore, “quando pretende di essere storico per davvero, non parla mai del Passato”.
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