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30/06/2025

La “sicurezza” di chi comanda

Prepariamoci a vivere in uno stato de/costituzionalizzato. Le argomentate critiche della Corte di Cassazione e l’operazione di infiltrazione e spionaggio a danno di una forza politica e dei giornalisti da parte degli apparati di stato, hanno svelato in poche settimane quello che era diventato leggibile negli ultimi anni.

Siamo cresciuti in un contesto politico “costituzionale” in cui ogni governo, anche i peggiori, procedevano con cautela nella promulgazione di leggi e provvedimenti che minassero oltre un certo limite l’agibilità politica e democratica nel paese.

Non sempre però. Ci sono state anche “eccezioni”– per questo definite “d’emergenza” – accettate in modo totalmente bipartisan da destra e sinistra, a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta, con le leggi speciali in nome dell’antiterrorismo in cui fu consentito di tutto e di più, tortura inclusa.

Va anche detto che la logica dell’emergenza, ed anche alcuni suoi meccanismi, non sono affatto finiti con la “fine della fase acuta” ma sono rimasti come norma, mentalità, postura vendicativa sulla storia recente del Paese.

Ma questo assetto, formalmente costituzionale spesso oltre il limite dell’ipocrisia, ha retto fino a qualche anno fa, quando la crisi economica di sistema e il crollo di credibilità delle classi dirigenti hanno via via reso questo incerto equilibrio non più compatibile con le esigenze di dominio, a fronte dell’incapacità di assicurarsi il consenso.

“Se non ci obbedite per convinzione, ci obbedirete per forza”, sembrano essersi detti ai piani alti della classe dirigente... 

La natura del Decreto sicurezza voluto e approvato dall’attuale governo ha incattivito le linee di regolazione già manifestate nei governi precedenti.

La Corte di Cassazione, in 130 pagine di controdeduzioni, ha demolito ogni compatibilità del decreto con gli assetti costituzionali formali (a partire dalla sproporzione abnorme delle pene rispetto alle infrazioni).

Il fatto che il Presidente Mattarella abbia avallato quel decreto, invece di rimandarlo indietro, non giova alla sua credibilità, ma neanche al governo. Diventa evidente che ogni processo che si svolgerà in base alla nuova legge vedrà sollevarsi eccezioni di incostituzionalità.

Ma parallelamente al Decreto sicurezza è venuto fuori anche un consolidato sistema di spionaggio da parte degli apparati di sicurezza contro attivisti politici e giornalisti che non è addebitabile solo al governo Meloni. In alcuni casi ci si è affidati ai sistemi tecnologici messi a disposizioni dai maestri del settore – gli israeliani – in altri casi si è ricorsi al vecchio sistema dell’infiltrazione di agenti di polizia dentro le organizzazioni politiche.

In questo secondo caso potremmo però essere in presenza di una missione operativa diversa da quella dello spionaggio – ormai facilmente gestibile con i sistemi tecnologici – e più simile a quella della infiltrazione di “agenti di influenza”.

I giovani agenti di polizia infiltrati – quelli per ora individuati – probabilmente non dovevano solo raccogliere informazioni ma, quando possibile, cercare di condizionare le scelte di piazza, seminare zizzania dove possibile, introdurre elementi di difficoltà e disorientamento nei passaggi difficili, “facilitare” l’intervento repressivo.

Per fare questo non potevano utilizzare un personale troppo estraneo al mondo che dovevano monitorare e influenzare. Hanno scelto quindi agenti molto giovani, alle prese con studi universitari e voglia di fare carriera (è noto che il “servizio attivo” garantisce un numero di esami minore e spesso “col 6 politico”).

La “bomba politica” adesso è esplosa in tre tempi: lo spionaggio per via informatica, l’approvazione del decreto sicurezza, la scoperta degli agenti infiltrati.

Il governo fino ad ora è stato reticente sugli aspetti più imbarazzanti, reso forte in questo dal fatto che alcuni attivisti e giornalisti sono stati spiati con il via libera del governo Conte, poi confermato da quello Meloni.

Nel secondo caso – il decreto sicurezza – il governo fa quadrato puntando sul fatto che la “sicurezza” è sempre un bene spendibile e vendibile a fini elettorali quando non hai nient’altro da distribuire per il consenso ed anzi devi far ingoiare alla gente decine di miliardi di spese militari e scenari di guerra.

Certo appare in qualche modo ridicolo mettere al centro “la sicurezza delle forze di polizia” – in realtà la loro non punibilità penale, una sorta di “immunità di gregge” – come se questa dovesse diventare più importante di quella dei cittadini che sono chiamati a “proteggere”.

Nel terzo caso – i poliziotti infiltrati – l’operazione porta invece il marchio ben visibile del governo in carica. Ma anche su questo il ministro degli Interni sembra avere un diavolo per capello per la scarsa destrezza dei suoi collaboratori, sia nella fase operativa che nella gestione politica.

La vicenda appare tutt’altro che conclusa e definita. Le infiltrazioni in sé ci dicono poco di nuovo, ma molto sul contesto in cui ci troveremo ad agire politicamente nei prossimi mesi ed anni.

Lo scudo costituzionale, fin qui, era stato spesso aggirato o “ammorbidito” ad hoc. Oggi è aperta la strada alla sua completa eliminazione, sotto lo sguardo comprensivo e silente di quello che dovrebbe esserne “il custode”.

Sono tempi in cui la barbarie non si vergogna più di manifestarsi senza alcuna maschera, in cui si può attuare un genocidio e vietare l’uso della parola. Che volete che sia, ignorare una Costituzione...

La “sicurezza” che viene imposta non è un bene comune, ma solo quella di chi comanda. In azienda e/o nello Stato.

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