Si è svolta ieri, presso la sala ‘Caduti di Nassirya’ del Senato della Repubblica, la conferenza stampa “Ci hanno spiati e infiltrati. Software spia contro giornalisti e attivisti, poliziotti infiltrati nei partiti politici. Dissenso e autoritarismo ai tempi del Governo Meloni“. Questo megafono parlamentare è stato messo a disposizione dall’iniziativa del senatore Peppe De Cristofaro, presidente del Gruppo Misto e membro di Alleanza Verdi e Sinistra (AVS).
La conferenza stampa è stata voluta da Potere al Popolo, insieme alle organizzazioni giovanili Cambiare Rotta e Collettivo Autorganizzato Universitario (CAU), dopo le notizie emerse dall’inchiesta di Fanpage sulle infiltrazioni di forze di polizia dentro le tre realtà politiche. Non era uno, ma erano ben cinque gli agenti della Direzione Centrale della polizia di prevenzione – ovvero l’antiterrorismo – che per 8 mesi si sono infiltrati tra le fila delle organizzazioni politiche.
In realtà, l’evento ha voluto ricostruire il filo rosso di spionaggio e repressione che, come si è detto nell’introduzione della conferenza stampa, lega insieme tre casi: oltre a quello di infiltrazione diretto in ultima istanza verso Potere al Popolo, negli ultimi mesi ha tenuto banco nel dibattito pubblico l’utilizzo dello spyware israeliano Paragon per controllare e intercettare le attività dei giornalisti di Fanpage.it Francesco Cancellato, direttore della testata, e Ciro Pellegrino, così come l’utilizzo dello stesso software sui dispositivi dei fondatori dell’ONG Mediterranea Saving Humans, Luca Casarini e Beppe Caccia.
Il filo rosso denunciato è quello della gestione autoritaria del dissenso, che ha assunto la sua conformazione definitiva con la recente approvazione del decreto Sicurezza, smantellato appena ieri da una relazione della Corte di Cassazione. Uno strumento che, prima ancora di ricevere il via libera definitivo, ha palesemente già mietuto le sue prime vittime, almeno nella logica con cui è stato creato e che si nota nei casi riportati: quella di un pesante attacco alle libertà politiche e democratiche.
Il primo intervento è stato quello del portavoce di Potere al Popolo, Giuliano Granato. Il portavoce ha subito evidenziato che il fatto per il quale cinque agenti, più o meno nello stesso lasso di tempo, si siano infiltrati in un partito che partecipa regolarmente alle elezioni non possa essere derubricato a coincidenza o ad un’azione individuale. Si tratta di un’operazione in grande stile, e Granato chiede al governo e in particolare al ministro Piantedosi di far sapere chi ha pianificato tale operazione, chi l’ha ordinata e per quale motivo.
Granato ha poi chiesto che sia fatta chiarezza anche sul caso Paragon, e su come questo strumento sia stato usato per attaccare i media che, in maniera indipendente, portano alla luce notizie scomode, ma fondamentali per la formazione di un’opinione critica da parte dei cittadini. Ha poi denunciato anche l’attacco continuo al diritto di sciopero, da parte di Salvini, e di tutte quelle forme di lotta che vengono portate avanti per rivendicare diritti sacrosanti, come quello di un salario dignitoso o di un tetto sopra la testa.
Unendo i puntini di questo quadro, dice Granato, la conclusione è automatica: “siamo arrivati ad un punto in questo paese per il quale, visto che è stata infiltrata gente dell’antiterrorismo, fa terrore chi dà battaglia quotidianamente su questioni che sono di interesse pubblico, collettivo e generale“. Fa terrore il dissenso, che Granato ricorda essere il vero sale della democrazia, al di là della formale impalcatura democratica di un sistema di governo, e per questo l’operazione di infiltrazione è una questione che riguarda tutti, non solo Potere al Popolo.
È intervenuto poi Don Mattia Ferrari, cappellano di bordo di Mediterranea, rispondendo al quesito del perché spiare un’organizzazione che salva persone in mare. E una delle motivazioni che ha delineato è l’importanza che le informazioni contenute in uno dei telefoni infettati ha avuto per la denuncia dei trafficanti libici di esseri umani, e per la cattura di al-Masri.
Don Ferrari ricorda che Beppe Caccia e Luca Casarini sono stati spiati dal 2019 dall’intelligence, con un salto di qualità nel 2024, per motivazioni che sono dette legate a “immigrazione illegale“. E ricorda pure che lui stesso e Cancellato, stando alle notizie del Copasir, sono stati spiati, ma non dai servizi segreti italiani… e allora la domanda è: chi è stato a spiare?
Ciro Pellegrino ha sottolineato un’ipotesi inquietante: se l’inchiesta di Fanpage.it che ha svelato l’infiltrazione in Potere al Popolo fosse stata portata avanti mentre i telefoni dei giornalisti erano sotto controllo, ciò avrebbe potuto mettere in pericolo l’inchiesta stessa. E ha poi palesato la sorpresa nella mancanza di esternazioni di solidarietà da parte di tante parti politiche, in primis dal sindaco di Napoli, città nella quale è stato individuato il primo infiltrato in Potere al Popolo. Pellegrino ha concluso dicendo: “su questa storia non molleremo di un centimetro, perché la mia sensazione è che avremo altre sorprese“.
La parola è passata a Gianluca Bruni del CAU di Napoli, che ha ricostruito sinteticamente la storia del primo infiltrato citato da Pellegrino per poi denunciare la gravità inaudita dell’attacco portato avanti non solo dalla polizia di stato, ma anche dal governo, e non solo verso Potere al Popolo e due organizzazioni giovanili, ma verso la democrazia tutta. “Il governo Meloni sta calpestando la Costituzione“.
La domanda che si pone poi Bruni è perché tale infiltrazione, ricordando che non c’è ancora risposta a tre interrogazioni parlamentari in merito. E questo, senza dubbio, è perché Potere al Popolo e le due organizzazioni giovanili rappresentano un’alternativa alla barbarie che avviene a Gaza, alla barbarie della guerra interna contro i lavoratori, che muoiono a tre al giorno, alla criminalizzazione dei senza casa. Se la risposta del governo Meloni è considerare chi si batte contro tale barbarie come ‘terrorismo’, dice Bruni, “allora sì, siamo colpevoli“.
È intervenuta poi Alice Natale, senatrice accademica dell’Università di Genova per Cambiare Rotta, la quale ha ripercorso gli altri casi di infiltrazione che hanno interessato l’organizzazione giovanile comunista. Soprattutto, Natale ha sottolineato che l’infiltrazione fallita di Roma ha avuto questo esito anche per l’alta attenzione dei militanti locali, che avevano già subito un tentativo simile da parte di una ragazza, poi scoperta a parlare a più riprese con le forze dell’ordine.
Le infiltrazioni, dice Natale, sono un evidente attacco alla democrazia, e seppur siano partite prima dell’approvazione del decreto Sicurezza, ne condividono la matrice, quella di un contesto crescente di repressione nei confronti di organizzazioni che rappresentano un oppositore politico considerato ‘preoccupante’. Eppure, Cambiare Rotta fa tutto alla luce del sole, tanto che è reduce dalla partecipazione alle elezioni per il Consiglio Nazionale degli Studenti Universitari (CNSU).
Proprio perché l’agire di Cambiare Rotta è sempre limpido e cristallino, l’organizzazione ha deciso di rilanciare immediatamente sul piano politico, chiamando per lunedì 30 giugno e martedì 1° luglio due giornate di agitazione davanti ai rettorati, per chiedere ai Rettori che si esprimano su questo attacco alla legittima libertà al dissenso, avvenuto innanzitutto in luoghi del sapere critico come gli atenei.
Verrà lanciato anche un appello per chiedere sostegno e solidarietà a tutte le liste che hanno partecipato alle elezioni per il CNSU, al di là delle divergenze politiche, perché, come ripetuto da tutti gli interventi, l’attacco subito riguarda tutti, mentre il governo dovrà rendere conto delle tre interrogazioni parlamentari e dire chi c’è stato dietro le operazioni di spionaggio e infiltrazione.
La parola è stata poi lasciata ai tre parlamentari che hanno presentato le interrogazioni sul tema. Peppe De Cristofaro (AVS), che ha denunciato la torsione autoritaria del paese e la necessità di una solidarietà ampia per chi ha subito questi atti di spionaggio e infiltrazione.
Gilda Sportiello, del Movimento 5 Stelle, ha criticato il silenzio del governo Meloni di fronte alle infiltrazioni in Potere al Popolo e nelle due organizzazioni giovanili, e all’uso di Paragon. La denuncia si è estesa ai contenuti del decreto Sicurezza.
Infine, ha preso parola il deputato del PD Arturo Scotto, che ha attaccato il sovversivismo del governo Meloni. Scotto ha ricordato la propria distanza politica da Potere al Popolo, ma che in questi casi la denuncia non può che essere unanime.
Le domande dei giornalisti hanno sottolineato le responsabilità del centrosinistra e del cosiddetto ‘campo largo’ nel percorso che ha portato agli eventi discussi durante la conferenza stampa (dai decreti Minniti ai decreti Salvini, fino al fatto che le intercettazioni di Casarini e Caccia cominciarono sotto il governo Conte).
Giuliano Granato ha ribadito che Potere al Popolo ha sempre sottolineato le continuità tra centrosinistra e centrodestra, e continua a farlo, mentre la critica dovrebbe essere estesa all’intero modello capitalistico che vuole cancellare ogni alternativa, come successo col terrorismo finanziario contro la Grecia, ad esempio.
L’infiltrazione, dice, “rivela qualcosa dello stato dell’arte dall’altra parte“, cioè il pericolo che viene visto in Potere al Popolo e nelle organizzazioni giovanili che hanno animato le lotte degli ultimi mesi, soprattutto contro il genocidio. Tali lotte si sono poste su di un piano direttamente politico, in tendenza sistemico. E allora è salita la paura che la mobilitazione possa acquisire forza e partecipazione.
A partire dalle giornate di agitazione lanciate da Cambiare Rotta per il 30 giugno – 1° luglio, proprio per questo la lotta verrà invece rilanciata, e non si fermerà nemmeno durante questa calda estate.
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