Da quasi un mese Israele ha aggiunto uno strumento alle sue tecniche genocide, raggiungendo un livello tragicamente disumano della propria violenza: sta usando una propria organizzazione di distribuzione di aiuti umanitari per far ammassare i gazawi in posti precisi, per poi sparargli e massacrarli più facilmente.
Si tratta della Gaza Humanitarian Foundation (GHF), l’Organizzazione Non Governativa con sede nel Delaware statunitense e sostenuta in maniera combinata da Washington e Tel Aviv per la consegna di scorte alimentari agli abitanti della Striscia, sotto assedio e ridotti alla fame.
Fondata a febbraio, la ONG ha iniziato a operare il 27 maggio, di fatto sostituendo le strutture delle Nazioni Unite e altre organizzazioni verificate e affermate. In meno di un mese, sarebbero già 410 i palestinesi uccisi dall’esercito israeliano mentre stavano semplicemente cercando di ottenere il minimo indispensabile per sopravvivere, in punti destinati alla distribuzione.
Il portavoce dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani, Thameen Al-Keetan, ha dichiarato: “il meccanismo militarizzato di assistenza umanitaria di Israele è in contraddizione con gli standard internazionali sulla distribuzione degli aiuti” e “la militarizzazione del cibo destinato ai civili, oltre a limitare o impedire il loro accesso ai servizi essenziali, costituisce un crimine di guerra e, in determinate circostanze, può costituire elementi di altri crimini ai sensi del diritto internazionale”.
Insomma, ancora una volta gli alti vertici dell’ONU palesano i crimini efferati commessi da Israele, come del resto aveva già denunciato Philippe Lazzarini, che guida l’UNRWA, l’agenzia delle Nazioni Unite che si occupa dei rifugiati palestinesi. Il meccanismo creato tramite la GHF “è una trappola mortale, che costa più vite di quante ne salvi”, ha detto di recente.
Lunedì 15 organizzazioni internazionali per i diritti umani hanno chiesto alla GHF e alle affiliate Safe Reach Solutions e UG Solutions di interrompere le operazioni a Gaza, o dovranno andare incontro a conseguenze legali. Non rispettando i principi di neutralità e indipendenza, si ritrovano a “favorire o altrimenti rendersi complici di crimini di diritto internazionale, inclusi crimini di guerra, crimini contro l’umanità o genocidio”.
La modalità con cui la GHF si rende complice delle forze armate israeliane è semplice: dai 400 punti di distribuzione presenti un mese fa, si è passati a solo 4 grandi hub. Tre sono nelle zone di Rafah e Khan Yunis, nel Sud, e uno è a Netzarim, al centro della Striscia. Non esistono più centri nel Nord, per un motivo molto evidente: l’IDF vuole forzare il trasferimento della popolazione che vi è presente.
Dove non arriva questo criminale sistema di pulizia etnica, arrivano direttamente i proiettili, come successo appena qualche giorno fa, proprio a Khan Yunis. E come continua a succedere giorno dopo giorno, con i soldati israeliani che ogni volta accusano possibili pericoli di sicurezza per l’ammassarsi di persone, che loro stessi hanno indotto.
All’inizio di giugno il Center for Constitutional Rights, con sede negli Stati Uniti, aveva avvisato Johnnie Moore, leader evangelico e consigliere di Trump nominato a capo della GHF, che lui e altri rappresentanti della fondazione avrebbero dovuto presto affrontare o un contenzioso civile o un procedimento penale.
La risposta di Washington è stata la promessa di un ulteriore finanziamento, pari a 30 milioni di dollari, stando a un’inchiesta condotta da Reuters. Il genocidio continua, e l’Occidente continua a impegnarvisi diplomaticamente, economicamente, militarmente.
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