Presentazione


Aggregatore d'analisi, opinioni, fatti e (non troppo di rado) musica.
Da ciascuno secondo le sue possibilità, a ciascuno secondo i suoi bisogni

21/06/2025

Le guerre di Israele sono pagate dall'Occidente

Israele è una creazione coloniale e imperialista, e come tale non potrebbe sopravvivere senza i suoi padrini occidentali. Come spesso accade con i mostri del passato (quelli delle ‘missioni civilizzatrici’ che hanno prodotto il genocidio nelle Americhe, le mani mozzate nel Congo belga, e così via), spesso questi tornano nel presente con una ferocia tale da perderne il controllo.

Israele ha fatto precipitare l’intero Medio Oriente in guerra. Anzi, lo ha fatto ormai da un paio d’anni, e la sua ispirazione suprematista non ha ormai freni, nemmeno quelli di chi – l’imperialismo occidentale – ha sostenuto il sionismo per avere un presidio armato (e nucleare) nel mezzo di una regione dalla grande importanza strategica.

Eppure, basterebbe che USA e UE tagliassero i ponti e i finanziamenti per far finire tutto ciò. Se Israele continua a fare quel che fa è perché continua a ricevere sostegno diplomatico e, soprattutto, materiale da parte di Washington e delle capitali europee. Altrimenti, come potrebbe un paese come quello sostenere questa guerra continua?

Qualcuno ha provato a fare un paio di conti, e riteniamo utile riportarli. I primi due testi sono due post di Alessandro Volpi, Professore di Storia Contemporanea presso l’Università di Pisa, mentre il terzo è un articolo di Andrea Muratore apparso su InsideOver. In poche righe, risulta evidente che la responsabilità di un Medio Oriente in fiamme è tutta nelle tasche della borghesia occidentale.

***** 

Dove prende i soldi Israele? Tra la fine del 2023 e l’inizio del 2025, lo Stato di Israele ha emesso obbligazioni destinate a finanziare la guerra – war bonds – per quasi 20 miliardi di dollari che sono state comprate da 7 banche: Goldman Sachs ne ha acquistate per 7,2 miliardi, Bank of America per 3,5, Citigroup per 2,9, Deutsche Bank per 2,5, Bnp Paribas per 2 miliardi, Jp Morgan per 700 milioni e Barclays per 500 milioni.

In sintesi, le banche delle Big Three e una manciata di banche europee hanno “investito” sulla guerra di Israele. Ad alcune società produttrici di armi israeliane è arrivato persino 1 miliardo di euro di fondi del programma europeo Horizon e, soprattutto, attraverso la società greca Intracom Defense, interamente posseduta dalla compagnia pubblica di armamenti israeliana, la Israeli Aerospace Industries ha potuto partecipare ai finanziamenti di ben 15 progetti europei.

Se si leggono le carte, è facile capire chi consente a Netanyahu di portare la guerra ovunque.

Alessandro Volpi

***** 

Vorrei provare a fare una riflessione razionale, basata sui numeri. Israele ha un Pil di circa 500 miliardi di dollari, appena più grande di quello della Lombardia, ha sostenuto spese per le sue operazioni militari nel solo 2024 per quasi 70 miliardi, ha una spesa militare annua che è vicina al 9% del Pil ed ha entrate fiscali per circa 200 miliardi di dollari. Il rapporto deficit/Pil ha superato l’8% e il debito pubblico è salito di oltre 15 punti in due anni.

Dunque siamo di fronte ad un’economia molto piccola, con risorse limitate, che peraltro ha bisogno delle entrate del turismo e delle esportazioni verso l’Europa. Se il governo Netanyahu può permettersi di fare continue guerre, compresa l’ultima con l’Iran, è chiaro che può farlo non certo per le risorse interne di Israele.

Infatti, il debito pubblico israeliano è, in larga parte, nelle mani delle grandi banche e dei grandi fondi americani ed europei (nel caso italiano figura la partecipazione di Bper banca, ora impegnata nella scalata della Banca popolare di Sondrio!), mentre per la tenuta del bilancio sono decisivi gli aiuti americani, che nel 2024, durante la presidenza Biden, sono stati pari a quasi 20 miliardi di dollari, e le sovvenzioni a vario titolo provenienti dall’Europa, compreso il programma Horizon.

Con questi soldi Israele non sta facendo solo guerre, ma nel “lavoro sporco” è compreso il genocidio di Gaza. Alla luce di tutto ciò, è abbastanza evidente che, date le esigue risorse “proprie” dello Stato di Israele, la responsabilità di tutto quanto sta accadendo in Medio Oriente ha molto a che fare con il “libero” Occidente. Con una aggiunta, appunto, razionale.

La guerra all’Iran può essere la fonte di una nuova, colossale ondata inflazionistica, generata dai prezzi dell’energia in grado di impoverire in modo drastico il potere d’acquisto degli europei e delle europee, mentre, rispetto agli Stati Uniti, non sembra in alcun modo in grado di risollevarne le sorti economiche, come avvenuto in passato.

Se le crisi del 1973 e del 1979, infatti, videro una vera e propria corsa dei capitali mondiali verso gli Stati Uniti, considerati paese rifugio, oggi l’attacco all’Iran da parte di Israele ha aggravato le sorti del dollaro e del debito Usa, segnando la scomparsa, di fatto, dei petrodollari. L’Occidente è complice di una strage che finirà per aggravare le condizioni di vita soprattutto delle fasce più povere dei suoi paesi.

Alessandro Volpi

*****

725 milioni di dollari al giorno: la guerra all’Iran è un salasso economico per Israele

di Andrea Muratore

La guerra all’Iran sta costando molto a Israele, Paese andato in all-in contro la Repubblica Islamica e che, nonostante dei risultati militari significativi contro le forze armate, gli impianti nucleari e la catena di comando di Teheran, vede la sua offensiva sottoposta a numerosi vincoli. E tra questi quello di costo è tra i meno discussi ma forse più significativi.

I maxi costi di Israele nella guerra con l’Iran

C’est l’argent qui fait la guerre, e questo vale anche per Israele. Il brigadiere generale Re’em Aminach, ex direttore finanziario della Difesa israeliana, ha stimato parlando con Ynet un costo medio direttamente imputabile alla guerra pari a 725 milioni di dollari al giorno, dichiarando che “i costi indiretti, incluso l’impatto sul prodotto interno lordo, non possono essere misurati in questa fase”.

La voce di spesa più importante, ammontante a circa un terzo del totale, è quella della difesa antiaerea a più livelli che starebbe costando 285 milioni di dollari al giorno, con ogni missile del sistema Arrow che secondo la testata finanziaria israeliana The Marker costa 3 milioni di dollari.

Non a caso il Wall Street Journal calcola in 10-12 giorni il tempo massimo entro cui Israele potrebbe durare senza il sostegno Usa ai ritmi attuali di consumo e ai costi odierni prima di esaurire il suo arsenale. E del resto, in particolar modo sul fronte degli Arrow, delle carenze sono già segnalate.

Aggiungiamo, sulla base di una nostra valutazione, i costi dell’operatività dell’aeronautica. A un costo medio orario di 42mila dollari per operare in volo per gli F-35, di 27mila per gli F-16 e di circa 24mila per gli F-15 i caccia di Tel Aviv, se anche solo ognuno dei velivoli (66 F-15, 174 F-16 e 44 F-35) operasse giornalmente per una missione andata e ritorno dall’Iran, supponendo un totale di tre ore di volo complessive al giorno, la spesa sarebbe significativa. Parleremmo di 14,2 milioni di dollari per gli F-16, 5,5 milioni per gli F-35 e 4,8 milioni per gli F-15.

Un totale di 24,5 milioni di dollari al giorno di spese legate semplicemente all’operatività in volo e alla sua abilitazione a cui, ovviamente, andrebbero aggiunti i costi legati all’armamento e a eventuali modifiche di sistema, come i serbatoi aggiuntivi. Aminach stima in 593 milioni di dollari al giorno la spesa operativa non legata a movimenti interni, pagamento di stipendi, organizzazione dei riservisti e manovre logistiche, comprensiva della spesa per l’intercettazione antiaerea.

Le finanze pubbliche di Israele sotto pressione

I costi stimati da Aminach includono tutto quanto ha a che fare con l’operatività militare ma non tutto il resto, la voce di spesa forse più incisiva sul lungo periodo: i costi per far fronte ai danni dei missili iraniani, gli impatti sul sistema sanitario del ricoverare e curare i feriti, la pressione esercitata sull’economia avanzata di Israele, ad alta intensità tecnologica e con una forza lavoro estremamente qualificata, dalla necessità di tenere mobilitata un’ampia fetta della popolazione danneggiando i ritmi ordinari della produzione e del lavoro.

L’Economic Times ha scritto che ci saranno problemi sulle finanze pubbliche perché l’indebitamento di Tel Aviv ne sarà sicuramente impattato: “il Ministero delle Finanze israeliano aveva già fissato un limite massimo di deficit del 4,9% del Pil per l’anno fiscale in corso, pari a circa 27,6 miliardi di dollari”, in un contesto in cui il rimbalzo economico di Israele era già stato ridimensionato portando la crescita prevista dal 4,6% al 3,5% del Pil. 

Dopo Gaza l’Iran, un’economia di guerra pressante

Tutti questi dati non contavano la guerra con l’Iran, ma si limitavano a segnalare gli importanti impatti del conflitto a Gaza, stimati in 55,6 miliardi di dollari nel periodo 2023-2025 dalla Banca d’Israele contando solo i costi diretti ed espandibili fino a 400 miliardi di dollari sommando il rallentamento dell’attività produttiva e i costi futuri che lascerà in eredità. Ebbene, solo in termini di costi diretti basterebbero due mesi e mezzo di guerra ad alta intensità con l’Iran per pareggiare il risultato.

Il biennio bellico ha spinto le spese per la Difesa di Israele a 46,5 miliardi di dollari l’anno nel 2024, pari all’8,8% di un Pil superiore ai 500 miliardi. Tale dato è secondo solo a quello dell’Ucraina in guerra con la Federazione Russa e superiore anche a quello di Mosca (7,1%).

E Tel Aviv non ha messo in atto adeguate misure per difendere la finanza pubblica, la moneta nazionale, lo shekel, e sul lungo periodo i suoi fondamentali da un’economia di guerra in pieno sdoganamento e che rischia di lasciare cicatrici profonde. Il Ministro delle Finanze, Bezalel Smotrich, preferisce occuparsi di colonie in Cisgiordania e altri argomenti legati al nazionalismo più spinto. Ma sul lungo periodo deve guardare a finanze pubbliche che rischiano di scricchiolare sotto il peso dell’ambizione del governo di Benjamin Netanyahu.

Fonte

Nessun commento:

Posta un commento