È stata appena presentata la nuova edizione di “Noi Italia”, la pubblicazione dell’Istat che, dal 2008, raccoglie in maniera sintetica una serie di statistiche che aiutano a fotografare la situazione del paese. 100 indicatori statistici, divisi tra 6 aree tematiche e 19 settori, coprono ogni aspetto del paese. Non è possibile riassumerli qui tutti quanti, ma qualcuno di essi merita di essere evidenziato.
Nel 2023 la spesa media mensile delle famiglie residenti in Italia è stata pari, in valori correnti, a 2.738 euro, in aumento del 4,3% rispetto al 2022. Ma in termini reali si riduce dell’1,5% per effetto dell’inflazione. Il che significa che l’esborso è maggiore, ma quel che si acquista è meno di prima.
Non sorprende dunque il dato su povertà assoluta e relativa: nella prima categoria sono conteggiate 5,7 milioni di persone, nella seconda 8,4 milioni. Il PIL pro capite in termini reali aumenta, ma una volta misurato in PPS – lo strumento statistico pensato per calcolare il potere d’acquisto in maniera depurata dalle differenze di prezzo dei vari paesi UE, permettendo così un confronto – risulta che il valore italiano (37.508 euro) è al di sotto della media europea (38.132 euro).
Inoltre, rimangono sostanziali i divari territoriali. Nel 2022, il livello del PIL pro capite in termini reali nel Mezzogiorno era quasi la metà di quello del Centro-nord (44,5%), e comunque inferiore del 34,8% rispetto alla media nazionale. La questione meridionale risulta ancora una dei nodi fondamentali dello sviluppo italiano.
Significativi sono alcuni dati sul futuro del paese, inteso come formazione e giovani. Nel 2023 la spesa pubblica per l’istruzione era pari al 3,9% del PIL, di gran lunga minore della media europea (4,7%). Per il 2022 la spesa in Ricerca e Sviluppo (R&S) è stata calcolata sui 27,3 miliardi di euro, con un’incidenza sul PIL dell’1,37% e in aumento rispetto agli ultimi anni. Eppure, la media UE è maggiore di quasi un punto percentuale (2,21%).
“Nel 2024 – si legge nella sintesi per i media – la quota di giovani (18-24 anni) che abbandonano precocemente gli studi è pari al 9,8 per cento; nel Mezzogiorno il valore è più elevato (12,4 per cento)”. L’obiettivo postosi a livello europeo è di ridurre l’abbandono scolastico al 9% entro il 2030, e anche in questo caso l’Italia deve lavorare ancora molto.
Nel 2024 la percentuale delle persone tra i 25 e i 34 anni che vantava un titolo di studio universitario era del 31,6%. “Per l’Italia il valore è ancora molto lontano dall’obiettivo medio europeo stabilito per il 2030 dal Quadro strategico per la cooperazione europea nel settore dell’istruzione e della formazione (almeno il 45 per cento nella classe di età 25-34 anni)”.
Sempre nel 2024, i cosiddetti NEET (persone che non sono in formazione e non lavorano) sono circa il 15,2% per cento della popolazione di età compresa tra i 15 e i 29 anni. Anche in questo caso, la quota nel Mezzogiorno è più del doppio di quella del Centro-nord (23,3% contro 10,7%). L’Italia risulta tra i paesi europei con la percentuale di NEET più elevata.
Sotto il punto di vista della salute, nel 2022 la spesa sanitaria pubblica italiana si è attestata a 130,3 miliardi di euro, pari al 6,7% del PIL, ovvero 2.212 euro annui per abitante. A parità di potere di acquisto, la spesa per abitante nel nostro paese è inferiore a quella di Repubblica Ceca, Finlandia, Belgio, Irlanda, Danimarca, Francia, Austria, Lussemburgo, Paesi Bassi, Svezia e Germania.
I posti letto sono appena 3 ogni mille abitanti, uno dei numeri più bassi in Europa, per di più con forti squilibri territoriali. Nel 2023 si è assistito anche a un incremento dell’emigrazione ospedaliera, dal Centro-sud al Centro-nord.
Il sunto che si può trarre da tutte queste informazioni è che l’Italia continua a galleggiare, ma come sistema-paese continua a imbarcare acqua, senza che la classe dirigente sia capace di trovare alternative.
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