Ogni volta che si scrive un articolo su come sta andando la guerra – Ucraina/Russia o Israele/Iran, fa lo stesso – il rischio è quello di sconfinare nel “complottismo”, o più banalmente nel “noncielodicono”. Colpa delle propagande di guerra incrociate, certo, ma soprattutto della censura strettissima ormai vigente su ogni media mainstream.
Però qualcosa di interessante si può trovare lo stesso, naturalmente non sui media italiani, nonostante persino l’agenzia Ansa – la più ufficiale e inamidata – si sia sentita in dovere di segnalare, sebbene sulla filiale minore, Ansamed, quanto pubblicato da un giornale niente affatto secondario, e certamente non filo-ayatollah, come il... Wall Street Journal.
Una notizia certamente importante, per valutare gli sviluppi dell’aggressione sionista e della risposta di Tehran: “Israele sta esaurendo i propri intercettori difensivi Arrow, sollevando preoccupazioni circa la capacità del Paese di contrastare i missili balistici a lungo raggio provenienti dall’Iran se il conflitto non verrà risolto a breve”.
In pratica, pur avendo il “dominio dei cieli” – ovvero una aviazione moderna, oltretutto supportata operativamente dagli Usa (sia per quanto riguarda i dati satellitari che il rifornimento in volo) – Tel Aviv si ritrova a corto di “munizioni”, gli intercettori difensivi Arrow, per tenere in piedi il sistema Iron Dome.
Un sistema molto preciso e molto costoso, con un numero di batterie piuttosto limitato, che aveva fatto ottima figura con i razzi artigianali Kassam e qualche missile analogo dal Libano. Un sistema che insomma funziona davanti ad attacchi con bassi numeri, ma che già nel 2024 era stato “bucato” con attacchi “a saturazione” ovvero con lanci di droni e missili, in tempi diversi (i droni sono molto più lenti) ma con orario d’arrivo sincronizzato.
I costosissimi Arrow potevano insomma buttare giù un numero corrispondente di oggetti volanti, ma non tutti. E qualcosa di molto pesante arrivava lo stesso su Israele. Ora le ondate in successione, probabilmente con la stessa logica, stanno producendo effetti cumulati, tali da rendere per esempio il centro di Tel Aviv somigliante a quello di Beirut, qualche mese fa...
Beh, si può pensare, quelle necessarie da ora in poi gliele daranno sempre gli americani... Il problema è che gliele hanno già date, e pure per loro ormai scarseggiano, anche perché servono anche agli stessi USA (come si è visto nel breve conflitto con gli Houthi o Ansarallah).
A dirlo sono funzionari del Pentagono, coperti ovviamene dall’anonimato. Ma se la verifica è fatta dal WSJ – una bibbia per gli operatori economici, che dunque non si può permettere di sparare scemenze – possiamo star tranquilli che “la voce” è in questo caso attendibile.
In effetti, scrive il giornale statunitense, “Il funzionario ha affermato che gli Stati Uniti sono a conoscenza dei problemi di capacità da mesi e che Washington sta potenziando le difese di Israele con sistemi terrestri, marittimi e aerei. Da quando il conflitto si è intensificato a giugno, il Pentagono ha inviato ulteriori risorse di difesa missilistica nella regione, e ora si teme che anche gli Stati Uniti stiano esaurendo i propri intercettori”.
Anche un altro big del settore, come Tom Karako, direttore del Missile Defence Project presso il Center for Strategic and International Studies, ha affermato che “né gli Stati Uniti né Israele possono continuare a intercettare missili a tempo indeterminato”. Ha sollecitato un’azione tempestiva per affrontare la situazione, affermando che non è sostenibile continuare a rispondere agli attacchi missilistici senza una soluzione.
Pure il Washington Post ha dovuto mollare la narrazione trionfalistica delle prime ore e segnalare che invece qualche problema c’è. Il quotidiano ha riferito infatti di aver parlato in forma anonima con “una persona informata sull’intelligence statunitense e israeliana” che ha affermato come, senza rifornimenti dagli Stati Uniti, “alcune valutazioni prevedono che Israele possa mantenere la sua difesa missilistica per altri 10 o 12 giorni se l’Iran mantiene un ritmo costante di attacchi”.
Naturalmente i bombardamenti israeliani hanno preso di mira anche le basi di lancio dei missili iraniani, ed un certo numero è andato distrutto. Ma qui finisce l’informazione “verificata” e si entra nelle opposte propagande di guerra, con valutazioni sempre esagerate sui propri “successi” e le immense perdite per il nemico (secondo gli ucraini, per esempio, nella guerra sarebbe morti oltre un milione di soldati russi, ossia molti di più di quelli impiegati e ancora in azione).
Insomma, si entra in quella “terra di nessuno” in cui le valutazioni sulla residua forza reciproca diventano “scommesse” che troveranno verifica solo con gli avvenimenti.
Per dire, anche la propaganda iraniana scimmiotta e sfotte quella occidentale e sionista. Le Guardie della rivoluzione iraniana hanno infatti dichiarato di avere raggiunto “il dominio totale sui cieli dei territori occupati (Israele, ndr), rendendo le difese israeliane impotenti di fronte agli ultimi attacchi missilistici dell’Iran”.
Lo riferisce Tasnim, agenzia vicina ai pasdaran, secondo cui “una nuova tornata di attacchi missilistici da parte dell’Iran ha preso di mira posizioni nei territori occupati mercoledì mattina, segnando l’undicesima ondata della risposta di Tehran all’aggressione israeliana”.
Inutile castellare su chi esageri di più, anche perché in entrambi i casi si gioca su numeri (missili e antimissili) abbastanza limitati, che garantiscono verifiche piuttosto rapide.
Il problema è capire che questa guerra, così come quella in Ucraina, non è la ormai vecchia “guerra asimmetrica” dove l’Occidente ha tutto, un piccolo Stato da attaccare quasi nulla, e tutto si decide rapidamente con pochi bombardamenti ben mirati che lasciano la vittima senza più possibilità di reagire (se non nei confronti delle truppe quando scendono “on the ground”).
Qui c’è una partita molto più simmetrica, dove “si lavora” sui consumi di materiali e armi, e non è detto che armamenti meno tecnologici e meno costosi, ma molto più numerosi, non possano determinare esiti imprevisti.
Sarà un caso, ma improvvisamente i ministri degli Esteri di Germania, Francia, Gran Bretagna (il cosiddetto E3) e l’Alta rappresentante Ue Kaja Kallas terranno venerdì a Ginevra colloqui sul nucleare con l’Iran.
I ministri incontreranno prima Kallas, presso il consolato tedesco a Ginevra, poi avranno un incontro congiunto con il ministro degli Esteri iraniano Abbas Araghchi.
Ma tranquilli, non si tratta di un’iniziativa autonoma. Il piano è stato concordato con gli Stati Uniti.
Segno che al di là dei proclami e dei bombardamenti qualcosa non va come previsto da Netanyahu (e Trump) al momento di aprire le ostilità contro Tehran.
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