Si è svolto ieri, a Villa Pamphilj, il vertice internazionale “The Mattei Plan for Africa and the Global Gateway: A common effort with the African Continent”. A presiedere l’incontro due delle ‘signore della guerra’ dell’Unione Europea, Giorgia Meloni e Ursula von der Leyen. Giusto per ricordarci che c’è un filo indissolubile che lega le politiche di Bruxelles e quelle di Roma.
Ovviamente, all’evento erano presenti anche diversi esponenti africani, tra cui il presidente della Commissione dell’Unione africana, Mahmoud Ali Youssou. Ma ci sono anche il presidente della Banca Mondiale Ajay Banga, la direttrice esecutiva del FMI Kristalina Georgievala, la vicepresidente della BEI Gelsomina Vigliotti, e persino il presidente di Microsoft Brad Smith.
Commissione e governo italiano, al di là di qualche scaramuccia passata, condividono la proiezione imperialistica della UE verso quello che vorrebbe affermare come proprio ‘cortile di casa’, ovvero l’Africa, allungando poi gli artigli verso il Mediterraneo allargato. “L’Africa – ha detto Meloni – è un continente nel quale si gioca il nostro futuro, rafforzare l’Africa significa anche rafforzare l’Europa”.
La presidente del Consiglio italiano ha ribadito che “fin dall’inizio del lancio [del Piano Mattei] siamo stati consapevoli che per raggiungere gli obiettivi ambiziosi che ci eravamo prefissati fosse necessario lavorare in sinergia con i partner internazionali a partire dalla Commissione europea”. Ma la sinergia tra l’iniziativa italiana e il Global Gateway europeo l’ha resa più chiara von der Leyen.
“Il Piano Mattei è un esempio perfetto di come diamo forma insieme al Global Gateway. Il Global Gateway è un programma di investimenti dell’Unione europea di 300 miliardi di euro, 150 miliardi dei quali destinati all’Africa”. L’utilizzo di questi fondi è però tarato da una forte impronta neocoloniale, come denunciato in un rapporto di qualche mese fa da Oxfam, Counter Balance ed Eurodad.
Il Piano Mattei e il Global Gateway sono insomma due facce dello stesso imperialismo, quello europeo, che cerca al proprio Sud lo spazio per garantire l’espansione del mercato delle multinazionali su base continentale, a discapito anche di obiettivi dichiarati, quali la riduzione della povertà ad esempio, stando sempre alle analisi delle organizzazioni non governative menzionate sopra.
A parole sue lo ha detto anche von der Leyen: l’Africa “è un continente ricco di risorse ma ciò che manca sono le infrastrutture. Quindi investiamo in infrastrutture di energia pulita e in moderni corridoi economici. Oggi discutiamo di come colleghiamo i nostri mercati digitali, ma anche di come, ad esempio, sbloccare la filiera alimentare e, soprattutto, di come formare le persone e sviluppare le competenze delle persone nella regione”.
Dietro il velo di sostegno allo sviluppo, in realtà traspaiono in maniera chiara le mire sulle risorse naturali del continente, sulle opportunità di migliorare l’autonomia energetica europea nella competizione globale, anche sfruttando le opportunità offerte da una maggiore autonomia alimentare.
In un’intervista rilasciata il 6 giugno, il ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, aveva affermato che attraverso i progetti del Piano Mattei si può migliorare “il percorso di fornitura del gas o di vegetali ai fini della produzione di biocarburanti”, anch’essi dunque usati nella prospettiva dell’autonomia energetica.
L’impegno maggiore è indirizzato verso il miglioramento infrastrutturale dell’Africa. Tra i principali progetti citati c’è stato il ‘Corridoio di Lobito’, un’arteria ferroviaria da 830 km che dalla costa atlantica dell’Angola dovrà arrivare fino al porto di Dar es Salaam, in Tanzania. Tale strada ferrata dovrebbe diventare un asse logistico regionale per il trasporto non solo di minerali strategici, ma anche di prodotti agricoli e input energetici.
Dello spazio è stato dedicato anche al potenziamento dell’interconnessione digitale ‘Blue-Raman’, la quale prevede il collegamento tra India ed Europa, passando per il Medio Oriente. Insomma, il percorso della ‘Via del Cotone’, concorrente infrastrutturale pensata tra Roma e Nuova Delhi alla ‘Via della Seta’ cinese. Blue-Raman servirà a sostenere lo sviluppo delle filiere agroalimentari e delle catene di approvvigionamento.
Infine, non va dimenticato che tra i possibili investimenti combinati tra Piano Mattei e Global Gateway potrebbe esserci il SouthH2Corridor, per il trasporto di idrogeno verde dal Nord Africa alla Germania, con l’Italia che ne diventerebbe un hub fondamentale. Sul giornale ce ne siamo già occupati nell’orizzonte degli accordi che il governo Meloni ha cercato lungo il Mediterraneo allargato.
Ovviamente, il vertice non è stato solo una bella vetrina per la propaganda imperiale europeista, ma è stata anche l’occasione di chiudere alcuni accordi con paesi africani. Inoltre, a Roma è stata inaugurata la ‘AI Hub for Sustainable Development’, piattaforma strategica del Ministero delle Imprese e del Made in Italy, lanciata dentro al Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo (UNDP).
Il progetto prevede di rendere l’Italia un punto di riferimento dell’innovazione digitale in Africa, sostenendo entro pochi anni fino a 500 mila startup africane e la sottoscrizione di una cinquantina di partenariati internazionali. Per ora, hanno mostrato interesse a partecipare, tra i tanti, Microsoft, Cineca, Confindustria Anitec-Assinform.
Infine, durante il vertice sono stati discussi alcuni strumenti finanziari per facilitare l’afflusso di capitali verso l’Africa. “Il successo più grande – ha detto von der Leyen – è riuscire a portare il capitale privato europeo in Africa”. Letteralmente, la descrizione di un processo imperialistico, formulato nell’atteggiamento da ‘missione civilizzatrice’ di Bruxelles.
Alcune ultime parole vanno dedicate a uno degli aspetti più interessanti dell’incontro, ovvero la proposta di Giorgia Meloni di convertire i circa 235 milioni di euro di cui sono in debito gli stati africani in progetti del Piano Mattei, nella misura del 100% per le nazioni meno sviluppate (secondo i criteri della Banca Mondiale) e del 50% per quelle a reddito medio-basso.
L’obiettivo vuole essere raggiunto nel 2035, il che significano dieci anni in cui una fetta del debito pubblico estero africano verrà legato in maniera indissolubile ai progetti imperialistici europei. Una sorta di ‘trappola del debito’, di cui viene spesso accusata ingiustamente la Cina, ma che a quanto pare è considerata ‘progresso’, se fatta da bianchi occidentali.
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