Il blocco delle ex opposizioni di destra, guidata dalla leader Erna Solberg, ha vinto ieri le elezioni legislative che si sono tenute in Norvegia, ottenendo il 54,7% dei voti e 99 dei 169 seggi in palio allo Stortinget, il Parlamento. A fronte dei 72 seggi, corrispondenti al 41%, ottenuti dalla coalizione di centrosinistra del primo ministro uscente, il laburista Jens Stoltenberg, al potere dal 2005 ma uscito sconfitto dalle urne. Nonostante il crollo, i laburisti sono stati la forza politica più votata con il 30,7% e 56 seggi, cinque punti in meno rispetto alle scorse elezioni. Al secondo posto si è piazzato il Partito Conservatore di centrodestra, con il 27,5% e 50 seggi, ben 10 punti percentuali in più. Il successo dei conservatori ha danneggiato il cosiddetto Partito del Progresso, formazione ultranazionalista e xenofoba che si è – per così dire – fermata dal 16% ottenendo 30 seggi, 7 punti percentuali in meno rispetto all’enorme exploit della scorsa tornata elettorale. Stesso risultato del 2009 per il Partito Cristiano Democratico, fermo al 5,5% e 10 seggi, mentre il Partito Liberale ha ottenuto il 5% passando da 2 a 9 eletti. Non entusiasmanti i risultati dei soci di coalizione del Partito Laburista: il Partito Centrista ha conquistato il 6,2%, perdendo qualche decimo di punto, mentre il Partito di Sinistra Socialista è sceso di ben due punti finendo al 4% e ottenendo solo due eletti contro gli 11 del parlamento uscente. I Verdi entrano nell’assemblea con un seggio anche se ottengono solo il 2,6% dei consensi. Un seggio sarebbe stato conquistato da una formazione politica di estrema sinistra.
La vittoria del centrodestra era prevista, ma il paese da oggi entra in una ‘nuova’ era, visto che al governo insieme ai Conservatori andranno anche gli estremisti di destra del Partito del Progresso, formazione alla quale aveva aderito, seppur criticamente, Anders Breivik, il criminale nazista autore della strage di Utoya. Lo scontento nel paese, afflitto per la prima volta negli ultimi anni da problemi in numerosi campi – sanità, pensioni, istruzione, fiscalità – si è orientato a destra, punendo un governo di centrosinistra giudicato troppo europeista. In realtà la situazione socio-economica della Norvegia, se confrontata con quella di altri paesi europei, appare rosea: Oslo mantiene alta la spesa sociale ma non ha praticamente debito pubblico, la disoccupazione è sotto il 3,5% e l’economia cresce (grazie all’industria estrattiva).
Uno dei temi centrali della campagna elettorale è stato l’utilizzo delle ingenti risorse economiche che lo Stato ricava dal settore petrolifero, quello trainante dell’economia del piccolo paese scandinavo. A dominare è anche l’insicurezza sociale generata dalla diffusa consapevolezza che nel giro di qualche tempo – anno più, anno meno – il petrolio e il gas accumulatisi nel sottosuolo e nei mari norvegesi si esauriranno. Scrive in proposito il Sole 24 Ore: “Non passa giorno senza che lo Stato (l'azienda petrolifera nazionale) annunci nuove scoperte di giacimenti, o non si infiammi il dibattito sulla necessità di nuove prospezioni e perforazioni, magari in paradisi naturalistici come le isole Lofoten. Questo Paese così vicino all'Artico e così lontano dall'Europa avendo scelto di non entrare nella Ue né tantomeno di adottare l'euro, è percepito dai suoi abitanti come troppo legato al petrolio, anche in considerazione del fatto che possiede il primo fondo sovrano al mondo legato al settore energetico con oltre 750 miliardi di euro in azioni estere, immobiliare e bond”.
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Davvero non capisco come anche una società evoluta come quella norvegese si senta obbligata a rifugiarsi a destra di fronte ai primi problemi.
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