Fine degli anni ottanta. I padiglioni auricolari dei metalheads più
incalliti stanno ancora grondando copioso sangue dopo le ripetute
coltellate Into The Macabre / Main Frame Collapse quando Peso, Claudio, Alberto & S.B. Reder decidono di fondere assieme la trafficata Highway to Hell che unisce Genova a Catania. Nasceva così il culto Mondocane.
Misterioso cadavere rimasto tale per vent'anni e recentemente
riesumato dall'attivissima F.O.A.D. Records (l' Università degli
Eighties... ), Project One è davvero un classico del crossover nostrano, una delle rarissime volte in cui il termine venerazione
non è tirato fuori a cazzo campana: dieci fottutissime schegge che
vanno a combinare il thrashcore dei siculi con l'impronta più evil dei
liguri, sorrette da quell' attitudine ironico - sarcastica tipica del
vecchio hardcore punk statunitense (early D.R.I. of course ! ).
L'incidere del disco è incredibile, nessun calo di qualità, non un
errore od una banalità, solo un potente attacco frontale, ora veloce,
ora cadenzato... ma sempre tremendamente coinvolgente. Bastano le prime
note dell'apripista Necroschizophrenia per capire il valore
complessivo della proposta e gioire ascoltando l'eccellente performance
(probabilmente tra le mie preferite di sempre... cazzo che rullate ! )
di un Marco Pesenti in stato di grazia, purtroppo ormai lontano parente
dello spompato batti-tamburi ammirato negli ultimi tempi. Tonnellate di
aggressività sono garantite anche con la forsennata Violence Abuse? e la maiuscola Mario Please Don't Cry
(un consiglio, sparatevi in heavy rotation il morbosissimo riff
iniziale ! ), traccia che - e qui non vorrei dire una castroneria -
dovrebbe essere dedicata ad una colonna portante dell'intero panorama
italiano: Mr. "The Black" Di Donato.
Le danze proseguono allegramente grazie alla sempre graffiante Fuck the U.S.L, squisita riproposizione di un classico degli Exploited, Couldn't Take Anymore Shit, ben impreziosita da azzeccatissimi stop' n' go, e The Inevitable Free-jazz Bloodbath, probabilmente l'episodio che più strizza l'occhio verso l'oscurità della morte.
Arrivati alla fine del dischetto l'esaltazione è certamente alta,
ma, ahimé, direttamente proporzionale ad uno strano senso di nostalgia:
tranquilli, non voglio tirare avanti la solita menata a favore dell'old
school, ma soltanto esprimere un forte rammarico nel constatare quanto
un certo modo di miscelare - e brutalizzare - thrash & death metal
non abbia mai sviluppato appieno le proprie potenzialità negli anni a
seguire. Le ultime perle che mi vengono in mente, infatti, si possono
contare sulla dita di una mano e rispondono al nome di: Beyond the
Unknow by Incubus (1990), Idolatry dei Devastation (1991), Epidemic of
Violence by Demolition Hammer (1992), The Heritage ( dei Protector,
1993) e Pray dei Solstice (1995).
Peccato davvero, così come è un peccato non esser riusciti a coinvolgere nel progetto in questione anche il mitico Andy “Bull...dozer” Panigada (colgo l'occasione per salutarlo calorosamente ! ) nei panni della classica ciliegina sulla torta.
In cauda venenum, ecco un paio di recenti note biografiche. Nel
2007, con tanto di slogan al limite del ridicolo propagandati tramite
myspace© , l'ennesima reunion sembrava cosa fatta: coerentemente con la
politica che, nel nuovo millennio, ha portato avanti - o meglio
distrutto - il monicker Ghostrider/ Necrodeath (vedi lavori tutto sommato anonimi coadiuvati da fantozziane line- up)
e data per scontata l'ormai cronica latitanza del desaparecido Ingo
Veleno (a parere di chi scrive il Vocalist estremo per antonomasia) ecco
la sciagurata scelta di ingaggiare l'illustre Carmelo Orlando dietro al
microfono... oh my fuckin' Belial God... sicuramente preparato ed
impeccabile professionista, ma attitudinalmente parlando uno che sta ai Mondocane come Oscar Giannino sta alla Chicago Booth University.
Fortunatamente, causa dissapori interni, tutto si è rapidamente
dissolto in una bolla di sapone, salvandoci dall'ennesima patetica
rabbinata. Datemi retta, certi ricordi è sempre meglio conservarli nel
cassetto.
Fonte
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