Mosca non cede. Dopo l'annuncio di sabato del presidente Obama -
rinviare l'attacco alla Siria una volta ottenuto il via libera del
Congresso - il ministro degli Esteri russo, Sergey Lavrov, ha definito
le prove di utilizzo di armi chimiche da parte del regime di Assad, in
mano agli Stati Uniti, "assolutamente non convincenti".
"Non c'è niente di specifico - ha detto Lavrov - Non ci sono
coordinate geografiche, non ci sono nomi, non ci sono prove che i test
siano stati portati avanti da professionisti". Insomma, Mosca
prosegue nella difesa ad oltranza del presidente siriano e si prepara:
oggi sarà inviata sul Mar Mediterraneo una nave di ricognizione, partita
ieri dall'Ucraina per "raccogliere informazioni", ha detto una fonte
militare anonima citata dall'agenzia stampa Interfax.
Lavrov non ha commentato la notizia, ma l'appoggio russo a Damasco non viene meno. Negli ultimi due anni di guerra civile, Mosca
ha sempre interferito nei tentativi americani di intervenire
direttamente o indirettamente in Siria. Ha posto veti al Consiglio di
Sicurezza, insistito per il coinvolgimento di Assad nel processo di
transizione politica e inviato strumenti di difesa militare al regime.
Gli interessi economici, strategici e energetici russi nell'area sono
consistenti e Mosca non intende lasciare carta bianca ad Obama. Un Obama
sempre più solo: senza il via libera dell'Onu, il presidente ha deciso
per un intervento "limitato" in solitaria, per poi tornare sui propri
passi, consapevole dell'opposizione di gran parte della comunità
internazionale e della sua stessa opinione pubblica. Tutto rimandato: il
9 settembre il Congresso degli Stati Uniti si riunirà per discutere la
questione, voto previsto entro il 15 settembre.
Un voto difficile e dall'esito non così scontato: il partito
repubblicano si oppone ad un intervento senza il benestare delle Nazioni
Unite, nonostante la tradizionale politica interventista dei
conservatori. Che potrebbero utilizzare la Siria come strumento di
ulteriore indebolimento dell'attuale amministrazione. Obama non ha
bisogno del voto del Congresso per intervenire, ma preferisce prendere
tempo e capire di che portata è l'isolamento della Casa Bianca.
La patata bollente è finita tra le mani del segretario di Stato Kerry,
impegnato in una serie di incontri per convincere opinione pubblica e
parlamentari della necessità dell'attacco, presentando le prove in mano
all'amministrazione statunitense. Lo stesso Obama incontrerà oggi
alla Casa Bianca il senatore John McCain, suo ex avversario alle
presidenziali, nella speranza di ottenere l'appoggio dei repubblicani.
A peggiorare la posizione della Casa Bianca è stato pochi giorni fa il
voto del parlamento inglese, che ha rigettato la mozione del premier
Cameron: la Gran Bretagna non prenderà parte all'attacco contro Damasco.
Ma il governo non ci sta e tenta un'altra carta: alcuni
parlamentari, guidati dal sindaco di Londra Boris Johnson, stanno
facendo pressioni perché il parlamento voti di nuovo, alla luce delle
prove raccolte dall'amministrazione Obama.
In casa siriana, intanto, dopo i proclami del regime ("La Siria sarà il
nuovo Vietnam americano), Damasco si rivolge direttamente alle Nazioni
Unite. In una lettera indirizzata al segretario generale Ban Ki-moon e
alla presidentessa del Consiglio di Sicurezza, Maria Cristina Perceval, l'ambasciatore
siriano all'Onu ha chiesto di intervenire "per prevenire un'aggressione
contro la Siria e per spingere verso una soluzione politica". "Il
Consiglio di Sicurezza deve mantenere il suo ruolo di valvola di
sicurezza per evitare un assurdo uso della forza al di fuori della
legittimità internazionale", ha scritto l'ambasciatore Ja'afari, che ha
nuovamente negato l'utilizzo di armi chimiche contro civili da parte del
regime di Damasco.
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