Il centenario degli accordi Sykes-Picot, siglati nel 1916 da Francia e
Gran Bretagna per spartirsi e ridisegnare il Medio Oriente,
probabilmente non si celebrerà. Perché la mappa della regione sembra
scivolare inesorabilmente verso un destino diverso. E il Libano, piccolo
stato in costante equilibrio tra gli scossoni dei suoi vicini
ingombranti, chiede aiuto. Aiuto contro la minaccia jihadista che il
conflitto siriano e le conquiste dell’Isis in Iraq hanno fatto entrare
nel Paese dei Cedri. Ma anche aiuto per rafforzare quelle istituzioni in
cui nessuno sembra credere più, le uniche in cui una popolazione
frammentata dovrebbe riconoscersi. E infine, aiuto per quel milione di
rifugiati siriani che stanno mettendo a dura prova le strutture e gli
equilibri di Beirut.
Questi i punti centrali del Media Forum Italia-Libano, evento
organizzato dal Ministero degli Esteri che ha visto rappresentanti della
stampa libanese e italiana confrontarsi sulla situazione interna del
Libano del conflitto siriano, sulle sue conseguenze economiche e
demografiche della guerra sul Paese dei Cedri e sul destino di Beirut di
fronte ai cambiamenti della regione. L’Italia, “primo partner del
Libano” come hanno precisato sia il vice ministro degli Esteri Lapo
Pistelli che il segretario generale della Farnesina Michele Valensise in
apertura dei lavori, si è impegnata una settimana fa a cooperare per il
rafforzamento delle forze armate libanesi: la parola d’ordine è la
stabilizzazione del Libano, per evitare, come ha spiegato Valensise, gli
“effetti devastanti che la crisi siriana sta avendo su tutta la
regione”.
IL LIBANO ANCORA INDENNE? Nonostante le lodi fatte
dai due rappresentanti della Farnesina per la sua “grande saggezza”, che
gli ha permesso di rimanere “indenne” nonostante l’enorme numero di
rifugiati siriani, il Libano non risulta propriamente indenne. Si
prendano gli scontri tra alawiti pro-regime e sunniti filo-opposizione,
che hanno ridotto la città settentrionale di Tripoli a un campo di
battaglia; non si dimentichi, poi, la peggiore stagione di attentati mai
vista dall’assassinio di Hariri, quella che lo scorso anno ha colpito
essenzialmente obiettivi sciiti. Si aggiunga una disastrosa situazione
economica aggravata dalla presenza di centinaia di migliaia di
lavoratori siriani rifugiati in competizione con i libanesi, oltre al
collasso di tutti i servizi a causa dell’attuale sovraffollamento dello
stato – il paragone avanzato da Pistelli è quello di 15 milioni di
rifugiati in Italia – e al razzismo che questa situazione esplosiva
porta con sé (siriani allontanati dalle comunità, imposizioni di
coprifuoco per i profughi, caccia all’uomo per piccoli furti e bagarre).
Poi si mescoli il tutto con i precedenti del Libano: una guerra civile
durata quindici anni alimentata, tra le altre cose, dall’arrivo
massiccio di profughi palestinesi e dalla psicosi del capovolgimento
degli equilibri demografici di una nazione che divide il potere politico
tra 17 confessioni. Si otterrà una triste verità: che il Libano c’è già
dentro fino al collo.
LA DEBOLEZZA DELLO STATO. “Il destino del Libano – dichiara Rosana Bou Monsef, editorialista del quotidiano an-Nahar
– è indissolubilmente legato a quello della Siria, perché il Libano per
lungo tempo è vissuto all’ombra del compromesso politico con Damasco e
perché il problema siriano è stato a lungo posposto dai nostri
politici”. Il riferimento è alla dichiarazione di Baabda, un accordo
interno alle forze politiche libanesi per mantenersi neutrali rispetto
al conflitto siriano. Le fa’ eco Umberto di Giovannangeli, inviato del
quotidiano l’Unità, che ricorda che “il Libano può tornare a
essere il campo di battaglia di guerre combattute da altri”. Delucida il
tutto Scarlett Haddad, di l’Orient le Jour: “In Libano lo
Stato è debole, e sono le comunità che si dividono il potere. E ogni
comunità ha il suo punto di riferimento all’estero. Questo contribuisce a
dividere la società libanese. Voi dovete smettere di guardare a noi
come a delle comunità, ma a guardarci come stato e aiutarci a
rafforzarlo”.
IL RAFFORZAMENTO DELLE ISTITUZIONI E L’INCOGNITA HEZBOLLAH.
La mancanza di una forte identità nazionale percepita dalla
popolazione: è questo, a detta di tutti i giornalisti presenti, il più
grande dei problemi del Libano in questi giorni. La soluzione è
rafforzare le istituzioni: e quindi, per estensione, l’esercito
libanese. Un esercito multi-comunitario, secondo Lapo Pistelli,
sostenuto da tutta la popolazione. “Ora – spiega Scarlett Haddad
introducendo l’argomento più scottante della conferenza – Hezbollah è
più forte dell’esercito. Ma con il tempo e con l’aiuto all’esercito,
Hezbollah sarà meno potente”. Il Partito di Dio, iscritto nella black
list dell’Unione Europea come organizzazione terroristica dall’anno
scorso, non poteva rimanere fuori dalla discussione, soprattutto in
virtù del peso politico e sociale che ha nel Paese dei Cedri e delle sue
implicazioni nel conflitto siriano come sostenitore del regime.
“HEZBOLLAH E’ PARTE DI NOI” – I rappresentanti della
stampa libanese si sono trovati quasi all’unanimità nello spiegare il
ruolo di Hezbollah e nel difenderlo da chi lo taccia di mera
organizzazione terroristica, con grande sorpresa dei rappresentanti
della Farnesina. “Hezbollah – spiega Wafiq Kanso, manager editoriale del
quotidiano al-Akhbar – è parte dello stato libanese, della
comunità, della gente. Quando Israele si è ritirata dal Libano nel 2000,
l’esercito libanese non ha potuto ignorare il ruolo e il peso che
Hezbollah aveva tra la popolazione. Poi è diventata una forza
legittimata dal governo, ma il suo traino è comunque la resistenza”.
Marlene Khalife, editorialista di as-Safir, è ancora più
diretta: “Non è il governo che legittima Hezbollah, ma le continue
violazioni del nostro territorio da parte di Israele”. Bassel Aridi,
reporter della tv panaraba al-Jadeed, chiede agli europei
presenti nella sala conferenze del ministero: “ L’Unione Europea può
sostenere il nostro esercito nazionale con delle armi allo stesso
livello di quelle di Israele? Ha l’abilità di far pressione su Israele
perché smetta di violare il nostro spazio aereo e marittimo? Io credo di
no. E allora dobbiamo fare la nostra resistenza contro Israele. Non
abbiamo un esercito equipaggiato, ma abbiamo Hezbollah. E non sono solo
gli sciiti a sostenerlo: come giornalisti, intervistiamo persone
diverse. E in moltissimi sostengono Hezbollah”.
Non mancano le critiche alle mosse del Partito di Dio: “Sì, è vero –
ha replicato Rosana Bou Monsef – Hezbollah è parte di noi. Ma è anche
un’emanazione dell’Iran. Io sono cristiana ma sostengo comunque la
resistenza contro Israele, eppure Hezbollah a un certo punto è andato in
Siria senza chiedere niente ai libanesi”. “Tutti intervengono in Siria –
ha risposto Kanso – non solo Hezbollah. La sovranità del Libano non è
stata mai totalmente rispettata da nessuno”. “Eppure – puntualizza Nada
Andraos Aziz, conduttrice dell’emittente LBC – Hezbollah ha un
suo stato nello stato. Ognuno, in Libano, ha la sua propria resistenza,
ce l’avevano anche i cristiani contro i palestinesi. Hezbollah dice di
combattere in Siria per proteggere il Libano da quello che ora è l’Iraq:
ma la sua partecipazione al conflitto siriano non sarà forse uno dei
fattori di destabilizzazione del paese?”. “E’ ingiusto – afferma Haddad –
dire che Hezbollah indebolisce il paese. Quando Hezbollah è nato negli
anni ’80 nel sud del Libano lo stato non c’era proprio. E ora Hezbollah è
un elemento di stabilizzazione nel sud. C’è più calma e sicurezza”. Lo
riconosce anche il vice ministro Pistelli, pur ricordando che “il
governo italiano non partecipa alla tifoseria”: “L’Unifil, nel sud del
Libano, collabora molto bene con Hezbollah”. E Khalife ricorda che “la
missione dell’Unifil, così importante per l’italia e per l’Ue, non avrà
alcun successo senza la cooperazione con Hezbollah, la popolazione e
l’esercito”.
Alberto Negri, corrispondente del Sole 24 Ore, suggerisce
allora di equipaggiare l’esercito, in modo da disarmare il Partito di
Dio. I finanziamenti in realtà ci sarebbero già: l’Arabia Saudita si è
solennemente impegnata davanti alla Francia e al Libano a donare 3
miliardi di dollari per il potenziamento dell’esercito del Paese dei
Cedri. A condizione, però, che le armi siano di fabbricazione francese,
in palese smacco a Washington, punita per non aver bombardato il regime
di Damasco lo scorso anno come dettato da Riyadh. “L’impressione –
conclude Alberto Stabile di la Repubblica – è che l’Arabia
Saudita voglia stabilire un equilibrio militare nuovo in Libano contro
Hezbollah. Bisogna fare più chiarezza, capire quali sono gli obiettivi
strategici di questo ammodernamento, prima di procedere al sostegno
finanziario all’esercito libanese”. E De Giovannangeli ricorda: “Non
basta rafforzare le forze armate per risolvere la questione. La
soluzione deve essere politica, altrimenti si avrà un nuovo conflitto”.
Fonte
Una cronaca da leggere bene, gli spunti d'interesse sono molteplici.
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