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17/06/2014

Libano - “L’Italia ci aiuti a rafforzare lo Stato e l’esercito”

Il centenario degli accordi Sykes-Picot, siglati nel 1916 da Francia e Gran Bretagna per spartirsi e ridisegnare il Medio Oriente, probabilmente non si celebrerà. Perché la mappa della regione sembra scivolare inesorabilmente verso un destino diverso. E il Libano, piccolo stato in costante equilibrio tra gli scossoni dei suoi vicini ingombranti, chiede aiuto. Aiuto contro la minaccia jihadista che il conflitto siriano e le conquiste dell’Isis in Iraq hanno fatto entrare nel Paese dei Cedri. Ma anche aiuto per rafforzare quelle istituzioni in cui nessuno sembra credere più, le uniche in cui una popolazione frammentata dovrebbe riconoscersi. E infine, aiuto per quel milione di rifugiati siriani che stanno mettendo a dura prova le strutture e gli equilibri di Beirut.

Questi i punti centrali del Media Forum Italia-Libano, evento organizzato dal Ministero degli Esteri che ha visto rappresentanti della stampa libanese e italiana confrontarsi sulla situazione interna del Libano del conflitto siriano, sulle sue conseguenze economiche e demografiche della guerra sul Paese dei Cedri e sul destino di Beirut di fronte ai cambiamenti della regione. L’Italia, “primo partner del Libano” come hanno precisato sia il vice ministro degli Esteri Lapo Pistelli che il segretario generale della Farnesina Michele Valensise in apertura dei lavori, si è impegnata una settimana fa a cooperare per il rafforzamento delle forze armate libanesi: la parola d’ordine è la stabilizzazione del Libano, per evitare, come ha spiegato Valensise, gli “effetti devastanti che la crisi siriana sta avendo su tutta la regione”.

IL LIBANO ANCORA INDENNE? Nonostante le lodi fatte dai due rappresentanti della Farnesina per la sua “grande saggezza”, che gli ha permesso di rimanere “indenne” nonostante l’enorme numero di rifugiati siriani, il Libano non risulta propriamente indenne. Si prendano gli scontri tra alawiti pro-regime e sunniti filo-opposizione, che hanno ridotto la città settentrionale di Tripoli a un campo di battaglia; non si dimentichi, poi, la peggiore stagione di attentati mai vista dall’assassinio di Hariri, quella che lo scorso anno ha colpito essenzialmente obiettivi sciiti. Si aggiunga una disastrosa situazione economica aggravata dalla presenza di centinaia di migliaia di lavoratori siriani rifugiati in competizione con i libanesi, oltre al collasso di tutti i servizi a causa dell’attuale sovraffollamento dello stato – il paragone avanzato da Pistelli è quello di 15 milioni di rifugiati in Italia – e al razzismo che questa situazione esplosiva porta con sé (siriani allontanati dalle comunità, imposizioni di coprifuoco per i profughi, caccia all’uomo per piccoli furti e bagarre). Poi si mescoli il tutto con i precedenti del Libano: una guerra civile durata quindici anni alimentata, tra le altre cose, dall’arrivo massiccio di profughi palestinesi e dalla psicosi del capovolgimento degli equilibri demografici di una nazione che divide il potere politico tra 17 confessioni. Si otterrà una triste verità: che il Libano c’è già dentro fino al collo.

LA DEBOLEZZA DELLO STATO. “Il destino del Libano – dichiara Rosana Bou Monsef, editorialista del quotidiano an-Nahar – è indissolubilmente legato a quello della Siria, perché il Libano per lungo tempo è vissuto all’ombra del compromesso politico con Damasco e perché il problema siriano è stato a lungo posposto dai nostri politici”. Il riferimento è alla dichiarazione di Baabda, un accordo interno alle forze politiche libanesi per mantenersi neutrali rispetto al conflitto siriano. Le fa’ eco Umberto di Giovannangeli, inviato del quotidiano l’Unità, che ricorda che “il Libano può tornare a essere il campo di battaglia di guerre combattute da altri”. Delucida il tutto Scarlett Haddad, di l’Orient le Jour: “In Libano lo Stato è debole, e sono le comunità che si dividono il potere. E ogni comunità ha il suo punto di riferimento all’estero. Questo contribuisce a dividere la società libanese. Voi dovete smettere di guardare a noi come a delle comunità, ma a guardarci come stato e aiutarci a rafforzarlo”.

IL RAFFORZAMENTO DELLE ISTITUZIONI E L’INCOGNITA HEZBOLLAH. La mancanza di una forte identità nazionale percepita dalla popolazione: è questo, a detta di tutti i giornalisti presenti, il più grande dei problemi del Libano in questi giorni. La soluzione è rafforzare le istituzioni: e quindi, per estensione, l’esercito libanese. Un esercito multi-comunitario, secondo Lapo Pistelli, sostenuto da tutta la popolazione. “Ora – spiega Scarlett Haddad introducendo l’argomento più scottante della conferenza – Hezbollah è più forte dell’esercito. Ma con il tempo e con l’aiuto all’esercito, Hezbollah sarà meno potente”. Il Partito di Dio, iscritto nella black list dell’Unione Europea come organizzazione terroristica dall’anno scorso, non poteva rimanere fuori dalla discussione, soprattutto in virtù del peso politico e sociale che ha nel Paese dei Cedri e delle sue implicazioni nel conflitto siriano come sostenitore del regime.

“HEZBOLLAH E’ PARTE DI NOI” – I rappresentanti della stampa libanese si sono trovati quasi all’unanimità nello spiegare il ruolo di Hezbollah e nel difenderlo da chi lo taccia di mera organizzazione terroristica, con grande sorpresa dei rappresentanti della Farnesina. “Hezbollah – spiega Wafiq Kanso, manager editoriale del quotidiano al-Akhbar – è parte dello stato libanese, della comunità, della gente. Quando Israele si è ritirata dal Libano nel 2000, l’esercito libanese non ha potuto ignorare il ruolo e il peso che Hezbollah aveva tra la popolazione. Poi è diventata una forza legittimata dal governo, ma il suo traino è comunque la resistenza”. Marlene Khalife, editorialista di as-Safir, è ancora più diretta: “Non è il governo che legittima Hezbollah, ma le continue violazioni del nostro territorio da parte di Israele”. Bassel Aridi, reporter della tv panaraba al-Jadeed, chiede agli europei presenti nella sala conferenze del ministero: “ L’Unione Europea può sostenere il nostro esercito nazionale con delle armi allo stesso livello di quelle di Israele? Ha l’abilità di far pressione su Israele perché smetta di violare il nostro spazio aereo e marittimo? Io credo di no. E allora dobbiamo fare la nostra resistenza contro Israele. Non abbiamo un esercito equipaggiato, ma abbiamo Hezbollah. E non sono solo gli sciiti a sostenerlo: come giornalisti, intervistiamo persone diverse. E in moltissimi sostengono Hezbollah”.

Non mancano le critiche alle mosse del Partito di Dio: “Sì, è vero – ha replicato Rosana Bou Monsef – Hezbollah è parte di noi. Ma è anche un’emanazione dell’Iran. Io sono cristiana ma sostengo comunque la resistenza contro Israele, eppure Hezbollah a un certo punto è andato in Siria senza chiedere niente ai libanesi”. “Tutti intervengono in Siria – ha risposto Kanso – non solo Hezbollah. La sovranità del Libano non è stata mai totalmente rispettata da nessuno”. “Eppure – puntualizza Nada Andraos Aziz, conduttrice dell’emittente LBC – Hezbollah ha un suo stato nello stato. Ognuno, in Libano, ha la sua propria resistenza, ce l’avevano anche i cristiani contro i palestinesi. Hezbollah dice di combattere in Siria per proteggere il Libano da quello che ora è l’Iraq: ma la sua partecipazione al conflitto siriano non sarà forse uno dei fattori di destabilizzazione del paese?”. “E’ ingiusto – afferma Haddad – dire che Hezbollah indebolisce il paese. Quando Hezbollah è nato negli anni ’80 nel sud del Libano lo stato non c’era proprio. E ora Hezbollah è un elemento di stabilizzazione nel sud. C’è più calma e sicurezza”. Lo riconosce anche il vice ministro Pistelli, pur ricordando che “il governo italiano non partecipa alla tifoseria”: “L’Unifil, nel sud del Libano, collabora molto bene con Hezbollah”. E Khalife ricorda che “la missione dell’Unifil, così importante per l’italia e per l’Ue, non avrà alcun successo senza la cooperazione con Hezbollah, la popolazione e l’esercito”.

Alberto Negri, corrispondente del Sole 24 Ore, suggerisce allora di equipaggiare l’esercito, in modo da disarmare il Partito di Dio. I finanziamenti in realtà ci sarebbero già: l’Arabia Saudita si è solennemente impegnata davanti alla Francia e al Libano a donare 3 miliardi di dollari per il potenziamento dell’esercito del Paese dei Cedri. A condizione, però, che le armi siano di fabbricazione francese, in palese smacco a Washington, punita per non aver bombardato il regime di Damasco lo scorso anno come dettato da Riyadh. “L’impressione – conclude Alberto Stabile di la Repubblica – è che l’Arabia Saudita voglia stabilire un equilibrio militare nuovo in Libano contro Hezbollah. Bisogna fare più chiarezza, capire quali sono gli obiettivi strategici di questo ammodernamento, prima di procedere al sostegno finanziario all’esercito libanese”. E De Giovannangeli ricorda: “Non basta rafforzare le forze armate per risolvere la questione. La soluzione deve essere politica, altrimenti si avrà un nuovo conflitto”.

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Una cronaca da leggere bene, gli spunti d'interesse sono molteplici.

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