Dire le cose giuste con le chiavi interpretative fuorvianti. Capita anche ai migliori, lo sappiamo. Questa volta è capitato al Censis, sempre ottimo osservatore della realtà sociale che ha presentato stamattina «Il vuoto della generazione adulta», ricerca incentrata sulla condizione degli ultra 50enni in Italia.
Diciamo subito che si tratta di una fotografia esatta e impietosa – con le politiche di austerità fin qui messe in atto da tutti i governi degli ultimi anni – di una situazione sociale che sarebbe esplosiva se non riguardasse soprattutto “anziani o quasi”. La sintesi del titolo è quasi perfetta: In esubero, prepensionati, esodati, staffettati: i precari a fine carriera, ma la pressione dei luoghi comuni è già pronta, in agguato: “C’è un conflitto latente fra le generazioni sul mercato del lavoro. In sofferenza anche gli over 50: +146% di disoccupati negli ultimi sei anni. E sono un milione quelli spinti dalla crisi dei redditi a cercare un impiego”.
Domanda. Dove vedete mai il “conflitto latente tra le generazioni”? Questi ultra 50enni sono precari e/o disoccupati tanto quanto i loro figli (appena un poco meno in percentuale), ma più di loro vengono visti come “inutili” dal mercato del lavoro. Chi assume, oggi, un ultra 50enne? Nessuno. Al massimo una collaborazione, una prestazione usa-e-getta, un “lavoretto”.
Peggio dei loro figli, comunque, perché non hanno più futuro davanti, quindi non possono neppure attingere alle risorse dell'immaginazione, al “training autogeno” per farsi forza, stringere i denti e cercare ancora. Alle loro spalle sta chiudendo i battenti il welfare. Renzi e Poletti promettono di eliminare la cassa integrazione (molte delle varie forme oggi esistenti) e di metter mano (meglio: forbice) agli altri ammortizzatori esistenti (mobilità, assegno disoccupazione, ecc). Quindi, ripetiamo, di quale conflitto state parlando? Se c'è n'è uno – e c'è certamente – è quello tra imprenditori e Stato da un lato e tutti coloro che lavorano (o lo cercano, o hanno smesso di farlo) dall'altro. Non tra giovani e anziani, tra precari e “garantiti” che non esistono più.
Detto questo, il resto è appunto la fotografia esatta di un universo in via di impoverimento rapido, irreparabile, disperante.
Gli over 50 anni in Italia sono 24,5 milioni. Tra loro gli occupati sono poco più di un quarto, quasi 6,7 milioni, di cui gli uomini superano di poco i 4 milioni e le donne raggiungono i 2,6 milioni. In questo segmento, tra il 2008 e il 2013 è aumentata l’incidenza dei lavoratori dipendenti e degli occupati a tempo pieno, ma solo per effetto dello slittamento in avanti dell’età da pensione. Sono i fuochi artificiali della statistica, insomma: ci sono meno lavoratori “stabili” in generale, ma “aumenta la percentuale” all'interno di una fascia di età dove chi ha un lavoro non può più lasciarlo e chi non ce l'ha non può trovarlo. Miracoli della dea Kalì-Fornero...
Ma nello stesso periodo c’è stato un aumento del 7,6% dei lavoratori autonomi (reazione individuale alla perdita del posto) e tende a raddoppiarsi la componente degli occupati a tempo parziale, che nel 2013 diventano circa un milione, con un incremento in sei anni pari al 47,5%.
I disoccupati over 50 hanno invece raggiunto le 438mila unità, con un aumento rispetto al 2008 di 261mila persone in termini assoluti e del 146% in termini relativi (in soli dodici mesi l’area della disoccupazione ha visto un incremento di 64mila unità: +17,2% tra il 2012 e il 2013). E i disoccupati di lunga durata ultracinquantenni sono quasi triplicati negli ultimi sei anni: sono passati da 93mila a 269mila (+189%).
L’insicurezza economica determinata dalla crisi, l’erosione oggettiva dei redditi, la necessaria compressione dei consumi spingono molti over 50 a cercare di entrare nel mercato del lavoro. Se si somma il numero delle persone in cerca di occupazione e quello di chi, pur inattivo, si dichiara disponibile a lavorare, la pressione esercitata sul mercato del lavoro da parte degli over 50 supera il milione di individui. E anche questo, naturalmente, aiuta chi spinge per la riduzione generalizzata dei salari.
Avere un impiego non è mai stato così difficile, constata il Censis, soprattutto per i giovani. Ed è proprio qui che il mito mediatico del “conflitto generazionale” si infrange come una palla di Natale sul marmo. Si è infatti ridotto l’orizzonte di opportunità anche per le persone più avanti nell’età, a partire da chi ha oggi 50 anni. “Per molti di loro è scattata la ricerca affannosa del mantenimento dei livelli di benessere raggiunti e comportamenti conservativi che riflettono la riduzione oggettiva degli spazi di iniziativa e alimentano un egoismo difensivo”. Il segmento degli adulti di 50-70 anni sembra in buona parte abbandonato al triste destino di esuberi, prepensionati, esodati, staffettati, senza alcun meccanismo utile per conservare almeno una porzione di quell’importante capitale umano.
Le politiche attive del lavoro e la Cassa integrazione si sono orientate in questi anni ad affrontare le condizioni dei lavoratori più anziani in difficoltà. Fra il 2010 e il primo semestre del 2013 tra i beneficiari degli interventi (escludendo dal totale gli apprendisti) aumentano proprio gli over 50, che passano dal 12,4% al 15,5% (circa 100mila persone).
L’impatto di una lunga recessione – prova a suggerire ancora il Censis, probabilmente al governo – “può essere contrastato sul piano delle opportunità occupazionali, del reddito e della sicurezza economica attraverso un efficace adattamento delle risorse individuali disponibili e attraverso la valorizzazione del capitale umano”. Ma non c'è un quadro positivo neppure su questo fronte. A una bassa dimensione quantitativa del capitale umano si associa infatti una bassa qualità nel rendere effettive le conoscenze acquisite nei processi di apprendimento. Nell’ultimo anno il 95% degli occupati non ha partecipato ad alcuna attività formativa nel mese precedente la rilevazione. Se si allarga l’osservazione ai dodici mesi precedenti, la percentuale supera comunque il 78%. E fra gli over 50 il tasso di partecipazione ad attività formative nell’ultimo mese si ferma al 4,6%.
Secondo una recente indagine del Censis, solo il 17,4% dei rispondenti con 50 anni e oltre è convinto che il possesso di una solida formazione sia l’elemento più importante per trovare lavoro in Italia, mentre la maggioranza (il 51,6%) indica la possibilità di contare su una raccomandazione. Seguono, a buona distanza, la conoscenza di una lingua straniera (23,1%) e solo dopo le capacità personali (21,2%).
Se fate le stesse domande a degli under 30 avrete grosso modo le stesse risposte. Dov'è il conflitto generazionale?
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