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17/12/2014

Il “doppio Stato” dell’Isis in Siria e Iraq

di Chiara Cruciati – Il Manifesto

Raqqa e Mosul: ogni potere statale o informale ha la sua città di riferimento, lo specchio della propria autorità. Lo Stato Islamico ne ha due perché, seppure il confine sia ormai evaporato e un lungo corridoio colleghi le due comunità occupate, Raqqa e Mosul continuano ad essere simboli diversi delle strategie adottate dal califfo in Siria e Iraq.

Dietro sta la necessità del leader al-Baghdadi di mostrarsi non solo come uomo di guerra, ma anche di governo. Di ergersi a Stato alternativo. La limitazione della libertà sotto la bandiera nera è accompagnata al tentativo di strutturare un sistema di governo con cui gestire le comunità occupate e fornire loro i servizi essenziali. In modo diverso, a seconda delle necessità: con il fronte di guerra che si amplia, l’Isis pare aver adottato due strategie diverse in Siria e Iraq.

La sua leadership, per lo più irachena, gode in Iraq (o almeno godeva nei mesi scorsi) di un maggiore sostegno da parte delle comunità sunnite in rotta con Baghdad e degli ex baathisti fedelissimi di Saddam Hussein che hanno garantito la conoscenza del territorio necessaria ad espandersi rapidamente. Oggi, l’avanzata è rallentata: l’Isis combatte con peshmerga e esercito iracheno, rimanendo tendenzialmente all’interno dei “nuovi confini” disegnati dai primi mesi di offensiva, Ninawa, Mosul, parte di Anbar e Salah-a-din, fino alla parte occidentale di Diyala e, a sud, Ramadi e Fallujah.

Le bombe della coalizione hanno rallentato l’avanzata, mentre sul campo tribù sunnite – che all’inizio si erano gettate tra le braccia di al-Baghdadi perché «il nemico del mio nemico è mio amico» – ora si armano per fermare le barbare violenze jihadiste e aspettano la realizzazione della promessa Usa: un esercito informale di 100mila sunniti.

Così Mosul, prima città a cadere in poche ore, è passata da modello di organizzazione a comunità sull’orlo del collasso. Oggi quello che resta visibile del governo islamista sono le restrizioni, la chiusura forzata dei negozi durante la preghiera, le punizioni corporali. Il sostegno finanziario alle attività commerciali sì è affievolito e nei residenti monta la rabbia per la dura crisi economica abbattutasi sulla seconda città dell’Iraq.

Oggi a Mosul manca tutto: non c’è abbastanza acqua potabile, mancano riscaldamento e elettricità, disponibile solo due ore ogni 4 giorni. Il numero di persone che soffrono di epatite e infezioni intestinali perché l’acqua è contaminata è troppo alto per essere fronteggiato dagli ospedali. I prezzi di carburante e cibo sono schizzati alle stelle (il kerosene da cucina è passato da 50 dollari al barile a 160, un kg di pomodori costa dieci volte di più), i piccoli commercianti hanno chiuso i battenti. Le tasse imposte dall’Isis erodono il magro stipendio. La fuga di parte della popolazione ha provocato la mancanza di operai specializzati che possano occuparsi del funzionamento delle infrastrutture pubbliche.

Una vita miserabile, la descrivono i residenti rimasti che raccontano degli espedienti per avere un po’ di elettricità, come generatori e olio di scarsa qualità per accendere i motori, ma i costi sono troppo elevati e le bollette non si riescono a pagare. A ciò si aggiungono le violenze e le punizioni contro chi violerebbe la personale interpretazione della sharia dell’Isis: decapitazioni, taglio di mani, frustate. Ai cristiani rimasti è imposta una tassa di 250 dollari per garantirsi protezione. Così quella comunità che all’arrivo dell’Isis non ha combattuto, che è caduta in 24 ore e che in parte ha aderito alle milizie infilandosi l’uniforme islamista, oggi è vicina al collasso e accusa l’Isis di aver promesso il paradiso per poi trascinarla all’inferno.

Raqqa è lontanissima. Considerata la capitale dello Stato Islamico, è modello del sistema governativo islamista che ha riparato alla scomparsa dello Stato siriano. Damasco a Raqqa non c’è più da tempo, sostituito prima dalle opposizioni e oggi dall’Isis. Le necessità di al-Baghdadi in Siria sono diverse: la popolazione sunnita non si è piegata al nuovo corso e molte tribù locali non hanno aderito allo Stato Islamico. L’Isis ha bisogno di creare fedeltà sul terreno, mostrandosi come la sola alternativa al caos di una guerra civile lunga 4 anni.

La capacità di governare sia aree rurali che urbane in Siria è molto più elevata che in Iraq e Raqqa è il fiore all’occhiello. L’Isis ha dato vita a un sistema comprensivo di governo, religione, educazione, infrastrutture, sicurezza, giustizia. Lancia programmi di assistenza ai piccoli commercianti, ripara le linee elettrica e idrica, paga gli stipendi ai dipendenti pubblici, gestisce scuole con nuovi curriculum e tribunali, fornisce i servizi telefonici.

I residenti che resistono all’affiliazione politica all’Isis si stanno adattando alla presenza degli islamisti, per necessità: la stanchezza dovuta a anni di guerra civile e assenza di stabilità li porta ad accettare qualsiasi forma di governo, purché governo sia. E le regole e i divieti diventano meno intollerabili: obbligo alla preghiera, a tenere la barba per gli uomini e a coprirsi i capelli per le donne, divieto di fumare, ascoltare musica, vedere film.

E se molti lamentano l’assenza totale di libertà e il gap di condizioni di vita tra gli islamisti ricchi e i residenti più poveri, al-Baghdadi punta sulle alleanze con le tribù locali, riconoscendo loro autorità e sostegno finanziario, per garantirsi consenso.

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