di Chiara Cruciati – Il Manifesto
Raqqa e Mosul: ogni
potere statale o informale ha la sua città di riferimento, lo specchio
della propria autorità. Lo Stato Islamico ne ha due perché, seppure il
confine sia ormai evaporato e un lungo corridoio colleghi le due
comunità occupate, Raqqa e Mosul continuano ad essere simboli diversi delle strategie adottate dal califfo in Siria e Iraq.
Dietro sta la necessità del leader al-Baghdadi di mostrarsi non solo
come uomo di guerra, ma anche di governo. Di ergersi a Stato
alternativo. La limitazione della libertà sotto la bandiera nera è
accompagnata al tentativo di strutturare un sistema di governo con cui
gestire le comunità occupate e fornire loro i servizi essenziali. In
modo diverso, a seconda delle necessità: con il fronte di guerra che si
amplia, l’Isis pare aver adottato due strategie diverse in Siria e
Iraq.
La sua leadership, per lo più irachena, gode in Iraq (o almeno godeva
nei mesi scorsi) di un maggiore sostegno da parte delle comunità
sunnite in rotta con Baghdad e degli ex baathisti fedelissimi di Saddam
Hussein che hanno garantito la conoscenza del territorio necessaria ad
espandersi rapidamente. Oggi, l’avanzata è rallentata: l’Isis combatte con peshmerga
e esercito iracheno, rimanendo tendenzialmente all’interno dei “nuovi
confini” disegnati dai primi mesi di offensiva, Ninawa, Mosul, parte di
Anbar e Salah-a-din, fino alla parte occidentale di Diyala e, a sud,
Ramadi e Fallujah.
Le bombe della coalizione hanno rallentato l’avanzata, mentre sul
campo tribù sunnite – che all’inizio si erano gettate tra le braccia di
al-Baghdadi perché «il nemico del mio nemico è mio amico» – ora si
armano per fermare le barbare violenze jihadiste e aspettano la
realizzazione della promessa Usa: un esercito informale di 100mila
sunniti.
Così Mosul, prima città a cadere in poche ore, è passata da
modello di organizzazione a comunità sull’orlo del collasso. Oggi quello
che resta visibile del governo islamista sono le restrizioni, la
chiusura forzata dei negozi durante la preghiera, le punizioni
corporali. Il sostegno finanziario alle attività commerciali sì è
affievolito e nei residenti monta la rabbia per la dura crisi economica
abbattutasi sulla seconda città dell’Iraq.
Oggi a Mosul manca tutto: non c’è abbastanza acqua potabile, mancano
riscaldamento e elettricità, disponibile solo due ore ogni 4 giorni. Il
numero di persone che soffrono di epatite e infezioni intestinali perché
l’acqua è contaminata è troppo alto per essere fronteggiato dagli
ospedali. I prezzi di carburante e cibo sono schizzati alle stelle (il
kerosene da cucina è passato da 50 dollari al barile a 160, un kg di
pomodori costa dieci volte di più), i piccoli commercianti hanno chiuso i
battenti. Le tasse imposte dall’Isis erodono il magro stipendio. La
fuga di parte della popolazione ha provocato la mancanza di operai
specializzati che possano occuparsi del funzionamento delle
infrastrutture pubbliche.
Una vita miserabile, la descrivono i residenti rimasti che raccontano
degli espedienti per avere un po’ di elettricità, come generatori e
olio di scarsa qualità per accendere i motori, ma i costi sono troppo
elevati e le bollette non si riescono a pagare. A ciò si aggiungono le
violenze e le punizioni contro chi violerebbe la personale
interpretazione della sharia dell’Isis: decapitazioni, taglio di mani, frustate. Ai
cristiani rimasti è imposta una tassa di 250 dollari per garantirsi
protezione. Così quella comunità che all’arrivo dell’Isis non ha
combattuto, che è caduta in 24 ore e che in parte ha aderito alle
milizie infilandosi l’uniforme islamista, oggi è vicina al collasso e
accusa l’Isis di aver promesso il paradiso per poi trascinarla
all’inferno.
Raqqa è lontanissima. Considerata la capitale dello Stato Islamico, è
modello del sistema governativo islamista che ha riparato alla
scomparsa dello Stato siriano. Damasco a Raqqa non c’è più da tempo,
sostituito prima dalle opposizioni e oggi dall’Isis. Le
necessità di al-Baghdadi in Siria sono diverse: la popolazione sunnita
non si è piegata al nuovo corso e molte tribù locali non hanno aderito
allo Stato Islamico. L’Isis ha bisogno di creare fedeltà sul terreno,
mostrandosi come la sola alternativa al caos di una guerra civile lunga 4
anni.
La capacità di governare sia aree rurali che urbane in Siria è molto più elevata che in Iraq e Raqqa è il fiore all’occhiello. L’Isis ha dato vita a un sistema comprensivo di governo, religione, educazione, infrastrutture, sicurezza, giustizia.
Lancia programmi di assistenza ai piccoli commercianti, ripara le linee
elettrica e idrica, paga gli stipendi ai dipendenti pubblici, gestisce
scuole con nuovi curriculum e tribunali, fornisce i servizi telefonici.
I residenti che resistono all’affiliazione politica all’Isis si
stanno adattando alla presenza degli islamisti, per necessità: la
stanchezza dovuta a anni di guerra civile e assenza di stabilità li
porta ad accettare qualsiasi forma di governo, purché governo sia. E le
regole e i divieti diventano meno intollerabili: obbligo alla preghiera,
a tenere la barba per gli uomini e a coprirsi i capelli per le donne,
divieto di fumare, ascoltare musica, vedere film.
E se molti lamentano l’assenza totale di libertà e il gap di
condizioni di vita tra gli islamisti ricchi e i residenti più poveri,
al-Baghdadi punta sulle alleanze con le tribù locali, riconoscendo loro
autorità e sostegno finanziario, per garantirsi consenso.
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