Presentazione


Aggregatore d'analisi, opinioni, fatti e (non troppo di rado) musica.
Cerco

26/12/2014

Ambientalismo e governo

Tutte le “culture critiche” degli ultimi due secoli, dal frikkettonismo al marxismoleninismo-pensierodiMaoZedong, hanno subito la sussunzione da parte del capitale.

L’attuale Presidente della Repubblica era un PCI-ista di ferro che si complimentava per l’azione militare sovietica in Ungheria nel ’56, i giornali borghesi sono pieni di gente che viene da Lotta Continua e dal Manifesto, gli anarchici di una volta fanno gli opinionisti per Confindustria, i decrescisti che a Genova assaltavano la zona rossa ora partecipano all’Expo a braccetto con Renzi e Farinetti

Rimane innegabile che più una “cultura critica” si presenta come nuova e svincolata dai vecchi meccanismi che hanno fatto fallire le altre, più velocemente viene riassunta nell’ordine esistente. Questi due articoli ragionano di Taranto, ma colgono punti generali.

*****

Il governo dell’ambientalismo. Parte prima

Ha senso sovrapporre i termini governo e ambientalismo? È risaputo che l’ambientalismo – sia con riferimento ai movimenti politici, locali e nazionali, che si richiamano esplicitamente ad esso, che alla galassia di associazioni/organizzazioni/comitati che fanno più o meno apertamente riferimento a questo sistema di valori – non è coinvolto in nessuna esperienza di esercizio formale del potere amministrativo. È, però, altresì evidente che i discorsi in termini di difesa/ripristino/valorizzazione dell’ambiente occupino, nel dibattito pubblico ionico, un posto di assoluto rilievo. È possibile imbattersi in un intervento pubblico che non faccia riferimento – anche solo strumentalmente o per convenienza politica – alla salvaguardia dell’ambiente? Verosimilmente no. Da questo punto di vista, almeno da sei anni a questa parte – per lo meno a partire dal grande corteo del 28 novembre 2008 promosso da Altamarea – l’ambientalismo rappresenta un campo di sapere, pratiche e linguaggi così esteso e pervasivo, radicato e partecipato, da costituire – a tutti gli effetti – un campo di potere con il quale è impossibile non fare i conti.

In quest’ottica, il tema del governo sembra interessare l’ambientalismo da due punti di vista differenti ma connessi. Il sapere ambientalista è sottoposto – come tutti i movimenti potenzialmente idonei a sovvertire l’ordine delle cose – al costante logoramento da parte di strumenti, retoriche, interventi che lavorano per depotenziare, limitare, indirizzare, disinnescando la sua carica potenzialmente trasformativa. In una parola, l’ambientalismo è costantemente sottoposta ai tentativi di governo da parte dei dispositivi di potere che, tramite l’inserimento nell’ordine del discorso ambientalista di efficaci elementi retorici di indirizzo e cattura, tendono a normalizzare la sua carica potenzialmente sovversiva, finendo col rendere l’ordine generale del discorso ambientalista compatibile con la razionalità dominante, a Taranto e ovunque: quella del mercato e del profitto.

Da questo punto di vista, un certo trionfalismo con il quale si descrive l’evidente consenso e partecipazione che accompagnano le manifestazioni in difesa dell’ambiente è probabilmente per lo meno frettoloso: non facciamo sufficientemente i conti con la capacità dei dispositivi di potere di inserirsi, recuperandole e governandole prima ancora che tramite divieti e censure, nelle pratiche di movimento potenzialmente sovversive. Il punto è centrale, e sembra opportuno precisarlo ulteriormente: questa capacità di recupero non si sviluppa principalmente tramite l’imposizione di forme del divieto (che resta comunque un’ipotesi residuale e emergenziale) ma, al contrario, avviene inducendo la proliferazione del discorso ambientalista lungo percorsi consolidati, in direzione dell’assoluta compatibilità con l’esistente, in un efficace processo di disciplinamento sociale.

Appare evidente quanto il tema del governo, quindi, interessi (anche) le tematiche ambientaliste: più che osteggiati, impediti, vietati, i discorsi in termini di ambiente – con particolare riferimento alle pulsioni, alle idee e alle tendenze incompatibili con l’ordine dominante del profitto e del mercato – vengono governati, tramite l’utilizzo di una serie di strumenti, dispositivi e retoriche che, lungi dall’opporsi al discorso ambientalista, lo amministrano, lo disinnescano, e infine lo riconducono in una zona di compatibilità con quel particolare tipo di organizzazione sociale che chiamiamo neoliberismo.

Si obietterà: l’ambientalismo, più che un sistema di valori omogeneo, è un insieme eterogeneo di tendenze a volte molto diverse tra loro. È indubbiamente vero, e proprio per questo può essere utile – tenendo ben presente la composizione multiforme e diversificata del campo ambientalista – valutare qual è la risultante di questo affollato campo di forze. Il discorso sull’ambiente, quindi, come campo di battaglia, nel quale i dispositivi di potere, lungi dall’impedire, limitare, contenere la circolazione del sapere, utilizzano questo stesso insieme di sapere come arma di governo per esorcizzare le controcondotte potenzialmente trasformatrici, a vantaggio delle prese di posizioni compatibili con le miserie dell’esistente.

Si domanderà: ha senso analizzare la portata del discorso ambientalista in un territorio amministrato da corpi politici di altre tendenze? La risposta, probabilmente, è affermativa. Lo si immagini come una forma di autotutela collettiva: è molto probabile che una parte importante della rappresentanza politica del prossimo futuro provenga e/o utilizzi (anche solo strumentalmente) il campo di sapere proveniente dal mondo ambientalista. Inoltre, intorno alla disfatta del vendolismo e alla farsesca epopea dell’amministrazione Stefàno, iniziano ad esserci riflessioni/prese di parola approfondite e interessanti. Mancano, allo stato attuale, forme di autovalutazione collettiva della portata dei discorsi ambientalisti, che appaiono decisamente troppo importanti per il presente e il futuro di questa città per essere ignorati e/o accettati e replicati acriticamente.

Con l’avvicinamento al corteo del 19 dicembre – lavorando affinché sia partecipato dal punto di vista dei numeri e molteplice ed eterogeneo dal punto di vista delle prese di parola – potrebbe essere utile far si che quella data sia anche l’occasione per fare un bilancio collettivo del sapere ambientalista. Di più: se complessivamente, nonostante la diffusione e il generoso attivismo di tante e tanti, il sapere ambientalista non è stato in grado di contrastare la devastazione che pure descrive, un check up collettivo è quanto mai necessario, alla ricerca di quei dispositivi di potere che, insediati anche in questa galassia, favoriscono l’eterno ritorno dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo e dell’uomo sull’ambiente.

Il tema è centrale, anche per un’altra circostanza. L’ambientalismo, come abbiamo indicato precedentemente, è sottoposto a mirate tecniche di governo e, allo stesso tempo, è esso stesso uno strumento di governo. È esso stesso costantemente utilizzato per produrre passioni, governare le condotte, imporre punti di vista e linguaggi. E’, in aggiunta, una forma di governo particolarmente efficace, forte dell’utilizzo di una terminologia tutt’altro che neutra (piena di termini come vita, morte, malattia, sofferenza, dolore) capace di veicolare emozioni, creando un denso campo di passioni. Questo intenso campo di passioni, probabilmente, è tra i più incisivi strumenti di assoggettamento e soggettivazioni per una sterminata moltitudine di giovani e giovanissimi nata e cresciuta nella nostra città.

In un secondo intervento sul tema de “il governo dell’ambientalismo” verrà presentata una prima ipotesi di elenco e descrizione dei citati strumenti, dispositivi e retoriche, utilizzati dal potere per depotenziare la carica potenzialmente sovversiva dell’ambientalismo. Non può che essere l’inizio di una riflessione collettiva e molteplice. È appena il caso – per ragioni di metodo – richiamare in questa sede, schematicamente, uno di questi potenti dispositivi, tra i più efficaci e utilizzati. Tendenzialmente, chiunque inserisca elementi di riflessione critica, o semplicemente suggerisce letture inconsuete, o ancora produce interrogativi o solleva dubbi, che interloquiscono con l’ordine del discorso ambientalista, non accodandosi con le tendenze dominanti ma cercando di far emergere il nascosto, il non detto e il molteplice, è frequentemente tacciato, a seconda dei casi, come colluso/amico dei Riva/funzionale all’inquinamento/nemico dei bambini. Ecco un esempio – appena accennato – dei dispositivi retorici che ostacolano la nascita di un pensiero complesso, approfondito, articolato ed efficace intorno al rapporto tra l’ambiente e società. Potremmo provare a farci caso, nell’avvicinarci all’importante giornata del 19 Dicembre: il futuro resta possibile se il presente viene messo in movimento.

*****

Il governo dell’ambientalismo. Parte seconda: retoriche dominanti


In un precedente intervento abbiamo formulato un’ipotesi, e proposto un possibile campo d’indagine: è ipotizzabile che l’indubbio potenziale sovversivo presente nelle rivendicazioni intorno al tema della qualità dell’ambiente, più che represso e/o ostacolato dai dispositivi di potere, sia allo stesso tempo accolto e governato, incoraggiato e disciplinato dai/nei luoghi del potere stesso, a condizione che lo stesso si doti di dispositivi retorici che lo rendano compatibile con la norma del mercato e del profitto?

In questo secondo intervento proponiamo una prima parzialissima ricognizione alla ricerca di tendenze, retoriche e punti di vista, egemoni nel magma della galassia ambientalista, che limano, emendano, modificano il suo potenziale di trasformazione, insistendo in particolare intorno a tre parole che, tra le tante, contribuiscono a ricostruire complessivamente l’ordine del discorso. Ognuna di queste parole meriterebbe trattazioni monotematiche, e tanti altri termini e dispositivi retorici dovrebbero essere analizzati collettivamente, e disarticolati. Si rimanda, in questo senso, ad un percorso a venire di autovalutazione – con finalità di autodiagnosi e autotutela – in vista della manifestazione del 19, provando a fare in modo che quella data sia, dal punto di vista delle prese di parola, dei punti di vista e delle rivendicazioni politiche, assolutamente articolata e molteplice. Si precisa, inoltre, che le annotazioni che seguono non sono imputabili alla totalità delle prese di posizione ambientaliste, che al contrario molto spesso sono eterogenee e divergenti tra loro. Allo stesso tempo, però, per diffusione e pervasività, finiscono con tutta evidenza per infestare complessivamente il campo politico organizzato intorno alla difesa dell’ambiente.

Infine, le riflessioni che seguono, formulate con riferimento all’ambientalismo come potere costituente, possono risultare utili anche per analizzare il potere costituito, anche con riferimento alle amministrazioni locali, per quanto l’evidente disaffezione complessiva nei confronti, per esempio, del centrosinistra ionico, certificata dalla scarsa partecipazione delle cittadine e dei i cittadini di Taranto alle ultime primarie, evidenzia come probabilmente siamo già proiettati in una fase post Stefàno, oltre che ovviamente post Vendola, e dovremmo iniziare a dotarci di strumenti di inchiesta e di intervento politico per capire ed intervenire nei nuovi scenari che si aprono davanti.

Interclassismo. Nel complesso, la risultante delle prese di posizione ambientaliste, lungi dal considerare la società strutturalmente divisa tra sfruttatori e sfruttati, finiscono con frequenza per rappresentare una situazione nella quale, in fin dei conti, saremmo tutti sulla stessa barca (inquinata). Un ritratto della società di questo tipo, oltre che evidentemente errato, non può che favorire gli interessi degli uni (gli imprenditori), a scapito degli altri (disoccupati, precari, studenti, neet, ecc.), in particolar modo quando, nel progettare ipotesi di sviluppo verde per la città, la tutela degli interessi d’impresa assume un ruolo d’assoluta centralità (senza incrociare alcuna problematizzazione oltre il richiamo al green), e le rivendicazioni in termini di welfare, diritto al reddito, accessibilità ai saperi, ecc (in linea invece con le esigenze dei ceti subalterni) risultano assolutamente marginali quando non completamente assenti.

Territorio. Anche col tema del territorio, la retorica dominante ambientalista ha un rapporto per lo meno ambivalente. Nella costruzione di una mobilitazione efficace, è ovviamente necessario fare i conti, in maniera approfondita, col qui ed ora del contesto nel quale si opera. Allo stesso tempo, un rapporto identitario col proprio territorio, finisce per depotenziare i possibili percorsi di connessione tra lotte nate in contesti diversi. In questo senso, facciamo fatica a leggere ciò che avviene a Taranto come gli effetti devastanti di un paradigma globale. Più frequentemente, ci autocommiseriamo descrivendo ciò che avviene da queste parti come eccezione rispetto ad un sistema mondo tendenzialmente caratterizzato da una razionalità complessiva efficace, accogliente, auspicabile. In aggiunta, a testimonianza delle problematicità della relazione instaurata con l’identità/territorio, si pensi alla mancanza di una pur minima problematizzazione intorno alle categorie, tutt’altro che neutre e pacificate, di cultura e turismo, presentate come automatiche panacee per tutti i mali locali. Si rimanda, anche con riferimento alla tematica introdotta, alle fondamentali riflessioni di Stefania Castellana.

Unidirezionalità. Proseguendo, un’altra delle caratteristiche dominanti del discorso ambientalista è collegata alla sua portata totalizzante, unicamente schiacciata intorno al tema dell’inquinamento. Si dirà: è normale che sia così, per definizione un movimento che si descrive come ambientalista non può che avere queste caratteristiche! In realtà, con la scelta di una significativa parte di questa variegata galassia di candidarsi, alla ultime elezioni comunali, per governare la città, si è contemporaneamente assunta la prospettiva di rappresentare la totalità della volontà generale cittadina. In aggiunta, una diffusa retorica che accompagna di frequente le prese di posizioni ambientaliste finisce per etichettare come fuorvianti e/o fuori tema rispetto al dramma Taranto qualsiasi presa di posizione che metta luce le altre forme di sfruttamento che, in aggiunta a quello ambientale, compromettono la qualità della vita, con particolare riferimento ai ceti subalterni.

In ultimo, si propone un’annotazione di stile, affrontando una tematica decisamente delicata. Il linguaggio con il quale mediamente descriviamo il dramma Taranto è, appunto, quello della tragedia, della sofferenza, della morte. Il motivo è evidente: è indubbio che le logiche del profitto e del mercato abbiano distribuito, sotto forma di mortale inquinamento e alienante lavoro, una dose pervasiva di limitazione/sottrazione della qualità della vita così penetrante da inquietare gli animi e, quindi, anche i linguaggi. Occorre, però, provare a riflettere sul ruolo che gioca la necrofilia lessicale nella quale spesso indugiamo. Occorre farlo perché probabilmente questa stessa tristezza diffusa, che accompagna anche buona parte dell’attivismo ambientale, è una doppia punizione alla quale siamo sottoposti – oltre la pena, la colpa – e probabilmente anch’essa è un efficace strumento di governo delle condotte, indirizzandole verso forme collettive di autocommiserazione, passività, triste rassegnazione. Vale, in definitiva, il monito di Foucault:

Non credere che occorra essere tristi per essere militanti, per quanto sia abominevole ciò che si combatte. E’ la connessione del desiderio con la realtà (e non la sua fuga nella forma della rappresentazione) che possiede forza rivoluzionaria.

*****

Nessun commento:

Posta un commento