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20/12/2014

La sindrome cubana

Cuba continua a rimanere una nemesi per la maggiore potenza imperialista del mondo: gli Stati Uniti. La Rivoluzione Cubana ha visto scorrere davanti a se dieci presidenti statunitensi e cinque pontefici, ha resistito alla dissoluzione del socialismo reale che ha cambiato profondamente la mappa politica del mondo, ha dato l'impulso decisivo per sottrarre all'egemonia statunitense “el patio trasero”, quel cortile di casa coincidente con l'America Latina che gli Usa avevano sempre considerato roba loro.

La "stella rossa" dei Caraibi è stata e rimane la dimostrazione di quanto e come sia possibile portare in profondità il cambiamento rivoluzionario, anche a poche decine di miglia da una potenza ostile, soprattutto quando questa è la più grande potenza del mondo.

In queste ore si sta celebrando un fatto storico rilevante che va compreso oggi nella sua concretezza e nelle prospettive che delinea per il domani.

I fatti sono questi: c'è stato uno scambio di prigionieri. Da un lato tre agenti cubani in carcere negli Usa da sedici anni. Dall'altro due agenti statunitensi, uno dei quali in carcere da quindici. I primi hanno potuto contare, in questi lunghi anni di detenzione, sulla solidarietà internazionale che ne rivendicava la liberazione, i secondi solo sulle decisioni di opportunità del loro governo. Già questo è un dettaglio che segnala una differenza sostanziale tra Cuba e gli Usa. La liberazione dei tre prigionieri, dei cinque cubani arrestati nel 1998 per la loro attività di intelligence tra i gruppi controrivoluzionari con sede a Miami, segna un risultato importante e atteso da anni. Intorno alla loro detenzione si è sviluppato un movimento internazionale che è arrivato in ben due occasioni a manifestare fino alla Casa Bianca. Nulla del genere è accaduto per i due agenti dei servizi statunitensi detenuti a Cuba né per i personaggi del cosiddetto dissenso anticastrista, tra cui la sig.ra Yoani Sanchez o i personaggi con telecamere della Cnn sempre al seguito come Elisardo Sanchez etc.

In un mondo che si dice e si vorrebbe dominato dall'egemonia statunitense, la guerra delle idee è stata ingaggiata e vinta da un piccolo paese rivoluzionario, dalla dignità del suo popolo e dalla straordinaria capacità strategica e tattica del suo gruppo dirigente.

Se non si coglie questo dettaglio si perdono di vista molti altri aspetti. L'isteria con cui i circoli reazionari statunitensi hanno reagito alla soluzione di questa vicenda, è del tutto speculare alla rabbia sorda e al senso di sconfitta che traspare dagli articoli della grande stampa italiana.

Sta in questo il tentativo della borghesia di esaltare il bicchiere mezzo pieno affermando che con questa trattativa, il colloquio telefonico di 45 minuti tra Obama e Raul Castro, la mediazione vaticana, Cuba si appresta a cedere terreno.

Anche su questo i fatti vanno conosciuti e analizzati concretamente. Obama ha annunciato un allentamento del blocco contro Cuba. Ma anche il presidente degli Stati Uniti – frutto della mediazione tra interessi diversi e talvolta divergenti – non può andare molto oltre.

Vediamo: ancora non si potranno importare ma si potranno avere i sigari cubani “per uso personale” (quasi come uno spinello) ma non oltre i 100 dollari; chi va a Cuba potrà portarsi souvenir per 400 dollari ma potrà portare alcoolici per non più di 100 dollari (sennò finisce che il gusano Bacardi ci va a rimettere). I cittadini statunitensi autorizzati a viaggiare a Cuba rimangono ristretti alle figure di giornalisti, ricercatori, sacerdoti, rappresentanti del governo. Si parla della possibilità di aumentare gli invii di denaro dagli emigrati cubani negli Usa verso Cuba da 500 a 2000 dollari a trimestre. Dunque stiamo ancora parlando di poca roba. Il meccanismo del blocco Usa contro Cuba è infatti giuridicamente molto più complesso, reso tale dai provvedimenti successivi e restrittivi introdotti via via dal 1961 in poi. Su questo groviglio il Presidente Obama può fare poco e il Congresso – oggi a maggioranza repubblicana – può congelare molto di più.

Dov'è allora il nodo politico rilevante? Il nodo sta nel fatto che un presidente Usa ormai al secondo mandato e nella scomoda posizione di “lame duck” (anatra zoppa), ha rotto una tradizione di aperta ostilità e di scontro frontale verso Cuba, una linea che i fatti hanno dimostrato essere totalmente inefficace. Non solo. Gli Stati Uniti del XXI Secolo non sono più quelli egemoni del XX Secolo. La loro supremazia militare è ancora indiscutibile, ma la loro supremazia economica ed ideologica non lo sono più. L'America Latina, quella che con la forza hanno costretto ad essere per oltre un secolo il loro cortile di casa, non è più così o non lo è più in gran parte. L'America Latina di oggi somiglia molto di più alla Nuestra America auspicata da Josè Martì che alla corte dei “nostri figli di puttana” (così gli Usa definivano il loro uomo Anastasio Somoza in Nicaragua). Una parte importante dell'America Latina si è ad esempio de-dollarizzata, usa una propria moneta di scambio ed ha creato una area di integrazione regionale indipendente: l'Alba.

Cuba e la tenuta della sua Rivoluzione, anche avendo pagando un prezzo altissimo per questo, è stata il motore decisivo delle idee che hanno portato a realizzare tale cambiamento ed a rompere l'isolamento. Le redazioni di La Repubblica, Corriere della Sera etc. potranno anche masticare amaro, ma i popoli dell'America Latina, dell'Africa e non solo, hanno maturato un debito di gratitudine immenso verso questo paese.

Cuba è un paese piccolo e povero dell'area caraibica, ma messo al confronto con i suoi vicini con storie e condizioni simili – da Haiti a Santo Domingo – è un gigante. I suoi indici di sviluppo umano, universalmente riconosciuti con i parametri delle Nazioni Unite, lo pongono molto al di sopra di gran parte dei paesi dell'area e, sul piano delle aspettative di vita, al pari degli Stati Uniti. Un sistema sociale fondato sull'anticapitalismo e sul socialismo possibile produce indubbiamente risultati, anche in condizioni materiali di debolezza.

Il dialogo che potrebbe aprirsi tra Cuba e Usa appare indubbiamente asimmetrico. Ma anche lo scontro in questi quasi sessanta anni dalla Rivoluzione era tale. Sulla base dei fatti concreti chi se la sente di dire che quello scontro è stato vinto dagli Usa? E se non hanno vinto sul piano di uno scontro totalmente asimmetrico, perché mai troppi temono che potrebbero vincere sul piano del dialogo? Cuba, anche in mezzo a prove difficilissime che hanno stroncato paesi anche con maggiori risorse, ha dato straordinarie prove di sé. Riconoscere questo significa affrontare la nuova fase con il necessario realismo e una fiducia più che meritata.

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