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20/12/2014

Tunisia - Lo spettro del califfato sulle presidenziali

Il 6 febbraio 2013 il leader laico dell’opposizione di sinistra tunisina, Chokri Belaid, veniva uccisi a sangue freddo: il 25 luglio 2013 toccava a Mohammed Brahmi. I due omicidi  aprirono la strada ad un’ampia crisi politica. Oggi arrivano le rivendicazioni di quegli agguati: un gruppo jihadista affiliato allo Stato Islamico di Abu Bakr al-Baghdadi in un video pubblicato ieri su internet si dichiara il responsabile della morte dei due leader e minaccia altri omicidi pochi giorni prima del ballottaggio per le presidenziali.

“Sì, tiranni, noi siamo quelli che hanno ucciso Belaid e Brahmi. Stiamo tornando e uccideremo altri di voi. Non avrete una vita facile fino a quando la Tunisia non implementerà la legge islamica”. La voce e il volto sono quelli del miliziano Abu Mouqatel, nome di battaglia di Abu Bakr al-Hakim, nato a Parigi nel 1983 e considerato uno dei leader dei jihadisti stranieri in Iraq. Nel video appare insieme ad altri tre miliziani armati e alla bandiera jihadista.

Il Ministero degli Interni reagisce con indifferenza: “I tunisini sono più forti di questi terroristi. Non significano niente per noi”. Ma la possibilità di attentati o azioni armate in vista del ballottaggio delle presidenziali, previsto per domenica, non è da sottovalutare: il governo ha già dispiegato nel paese migliaia di militari e poliziotti.

Con il voto la Tunisia spera di porre fine a quattro anni di transizione politica seguita alla caduta del dittatore Ben Alì, cacciato il 14 gennaio 2011 dal popolo in rivolta. Alle urne i tunisini dovranno scegliere tra il leader del partito laico Nidaa Tounes, Beji Caid Essebsi, e il presidente uscente e oppositore del vecchio regime, Moncef Marzouki, che al primo turno si sono accaparrati rispettivamente il 39,46% e il 33,43 delle preferenze, uno scarto di soli 200mila voti. Essebsi, 88 anni, è dato per favorito, l’unico – secondo i sui sostenitori – in grado di porre fine ai governi islamisti, una figura del vecchio regime secondo i detrattori perché ex ministro degli Esteri sotto Bourguiba negli anni ’80 e presidente della Camera sotto Ben Ali. Alle elezioni parlamentari di ottobre è stato il partito laico Nidaa Tounes a trionfare, aggiudicandosi 85 seggi su 217, contro i 69 dell’islamista Ennahda. 

Chokri Belaid, leader del Fronte Popolare, fu assassinato il 6 febbraio 2013 fuori dalla sua abitazione a Tunisi, Mohammed Brahmi il 25 luglio dello stesso anno. All’epoca le autorità tunisine ne imputarono la responsabilità al gruppo qaedista Ansar al-Sharia (oggi affiliato all’Isis), ma la società civile e le organizzazioni di opposizione al partito islamista di governo Ennahda accusarono l’esecutivo di aver incitato alle violenze e di essere dietro i due agguati. Le proteste di piazza e i duri scontri che seguirono alla morte dei due leader di sinistra provocarono una profonda crisi politica, le dimissioni dell’allora premier Hamadi Jebali e l’approvazione di una nuova Costituzione, nel 2014.

A gennaio di quest’anno il Ministero dell’Interno aveva annunciato l’uccisione del presunto killer di Belaid, Kamel Hadhgadhi, durante un’operazione anti-terrorismo. Un annuncio che non è stato accolto con favore della famiglia del leader scomparso, secondo la quale è impossibile che l’uomo abbia agito da solo senza la complicità di poteri più alti. E proprio l’uccisione dell’unico in grado di raccontare quanto accaduto ha riacceso i sospetti di parte della società civile tunisina che non ha mai smesso di pensare che dietro quegli omicidi mirati ci fosse proprio il partito Ennahda.

Dietro resta una situazione socio-economica ancora estremamente difficile, soprattutto nelle regioni centrali e meridionali del paese, dove la rivoluzione non ha portato a cambiamenti concreti delle condizioni di vita. Il governo Ennahda non ha messo in atto altro che le stesse ricette neoliberali del precedente esecutivo e represso le rivendicazioni popolari e le voci di opposizione. La disoccupazione è ancora alle stelle e il livello di corruzione e nepotismo, retaggio del regime di Ben Ali, stritolano ancora le speranze di cambiamento della popolazione.

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