Che ci fa un professore della Bocconi (un altro...), presidente della Fondazione Debenedetti, editorialista di Repubblica, fondatore de Lavoce.info, ex senior economist dell'Ocse e tante altre cose alla presidenza dell'Inps?
A prima vista arriva a restituire normalità all'ente incaricato di
ritirare i contributi previdenziali dalle imprese ed erogare le
pensioni, secondo le regole stabilite in passato. Dopo la sciagurata
stagione di Mastrapasqua e due commissari straordinari, un presidente
autorevole potrebbe sembrare quello che ci vuole.
Il primo sospetto è venuto dalla constatazione della sproporzione
evidente tra il curriculum del Boeri più noto (il fratello Stefano,
architetto, ha firmato tra l'altro il "recupero" dell'arsenale de La
Maddalena per un vertice G8, in regime berlusconiano) e la presidenza di
un carrozzone di Stato, decisivo nelle politiche di redistribuzione ma
pur sempre un carrozzone di Stato.
Poi, dagli articoli dedicati alla nomina dai giornali mainstream, è cominciata a trapelare qualche ragione meno peregrina. Al Corriere della Sera,
per esempio, si sono ricordati con affetto di quel che alcuni anni fa
era stato un lavoro scientifico del prof. Boeri giudicato forse a torto
"minore": il meccanismo di "ricalcolo" delle pensioni.
Ai profani può sembrare in effetti poca cosa, ma il meccanismo
tecnico disegnato - in via d'ipotesi, per carità - da Boeri era
incardinato dentro un'idea di riforma complessiva del sistema
pensionistico pubblico. In pratica, Boeri si è segnalato in campo
pensionistico per l'idea di ricalcolare le pensioni in essere
interamente con il sistema contributivo, superando la stratificazione
normativa - e monetaria - creata dal tempo della "riforma Dini" (1995).
Un'altra riforma delle pensioni è del resto stata più volte evocata
come "necessaria" in ambito governativo e confindustriale, ma subito le
voci sono state silenziate, perché facevano sembrare il governo Renzi un
po' troppo simile a tutti quelli precedenti, specie all'odiatissimo
Monti-Fornero, e stavolta pure senza alcuna lacrima dietro il sorriso
strafottente.
L'idea di Boeri ha invece il pregio di apparire soltanto un
"dettaglio tecnico", non proprio una "riforma". Consentirebbe grandi
risparmi sulla spesa pensionistica senza dover allungare ulteriormente
l'età pensionabile (67 anni sono un limite che per il momento neanche la
Merkel chiede di superare).
Come? Tagliando gli assegni alle pensioni già in essere.
Il ragionamento è semplice quanto omicida: se si "ricalcola" l'assegno
pensionistico - di quelli che già si sino ritirati dal lavoro come di
chi ci andrà in futuro, da qui all'eternità - secondo il sistema
contributivo (in base cioè ai contributi effettivamente versati) si
ottiene una riduzione più o meno drastica della cifra erogata. Dipende
da quanti anni di servizio sono stati calcolati fin qui col
"retributivo" e naturalmente dall'entità dei contributi versati
annualmente (in proporzione allo stipendio).
A venir falciati in misura maggiore sarebbero dunque gli assegni
attualmente pagati ai pensionati che hanno avuto tutta la loro carriera
calcolata col retributivo (diciamo quelli che si sono ritirati dal
lavoro fino a una decina di anni fa, grosso modo). A seguire ci sarebbe
un taglio sostanzioso per quanti, all'epoca della Dini, si sono visti
spezzare la carriera in due periodi (una prima parte col "retributivo" e
una seconda col "contributivo"). In linea teorica - ma non ci
giureremmo - nulla cambierebbe per quanti già ora sanno che la loro vita
lavorativa sarà compensata con una pensione da fame, quantificata in
base al solo "contributivo". Constatiamo però che in campo pensionistico
non sembra esistere limite alle riduzioni possibili; quindi anche i
giovani attualmente al lavoro (quelli che hanno "la fortuna" di
avercelo) potrebbero vedersi amputare parti più o meno consistenti dei
quattro soldi che avranno a fine carriera (già ora è sotto attacco il Tfr...).
Insomma: una nomina che è tutto un programma. Di rapina.
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