Fallito l’ultimo tentativo di eleggere il presidente, la Grecia va verso elezioni anticipate, il 25 gennaio. Secondo i sondaggi è al momento in testa (con maggioranza relativa) il partito di sinistra Syriza.
Syriza viene abitualmente chiamata “sinistra radicale”, e cosi in effetti dice anche il suo nome. Tuttavia il suo programma
è tendenzialmente socialdemocratico, neokeynesiano e a tratti
addirittura rooseveltiano. Il Psi di Nenni, cinquant’anni fa, era
probabilmente più radicale. Non è che se da noi si autodefiniscono di
sinistra Boschi, D’Alema e Gutgeld, debba andare così per forza
dappertutto.
Altro equivoco diffuso è che se in Grecia vince Syriza, Atene uscirà
dall’euro e questo potrebbe essere l’inizio della fine della moneta
unica, a domino.
Syriza in realtà non chiede
l’uscita dall’euro, ma la rinegoziazione del debito greco; in
particolare degli interessi, che soffocano ogni possibilità di
investimento pubblico finalizzata alla ripresa. Il modello a cui Tsipras
ha fatto più volte riferimento
è quello che ha permesso alla Germania di rinascere quando, nel 1953,
la sua economia era strangolata dai debiti (tra cui quelli di guerra) e
il governo di Bonn ottenne una rimodulazione con moratoria di cinque
anni.
In merito al rapporto con l’Europa, il tratto forte di Syriza è la
richiesta di un cambiamento nel ruolo della Bce perché finanzi
direttamente gli Stati e i programmi di investimento pubblico: «Siamo in
attesa di vedere la portata e soprattutto i risultati del Quantitative
Easing, che Draghi ha promesso e che dovrebbe apportare benefici
tangibili all’economia reale», ha spiegato
recentemente Dimitrios Papadimoulis, vicepresidente del Parlamento Ue e
principale esponente di Syriza nella Ue. Non è esattamente una
posizione bolscevica, né lunare.
Ovviamente non mancano gli interrogativi, il primo dei quali riguarda
la stessa Syriza (che, non dimentichiamolo, nasce come coalizione, per
di più di sinistra: dunque con tutti i limiti di compattezza derivati) e
la possibile maggioranza di governo che attorno a Syriza può formarsi.
Ma credo che gli elementi forti di una possibile vittoria di Syriza
trascendano gli aspetti programmatici che riguardano la Grecia e siano
invece altri due; questi sì, potenzialmente molto rilevanti anche per il
resto d’Europa.
Il primo è che per la prima volta, nel Continente, potrebbe andare al
governo una forza esterna all’accoppiata classica
centrodestra-centrosinistra, le due forze che si sono alternate per
oltre mezzo secolo e che oggi ancora dominano (talvolta in alleanze più o
meno allargate) dalla Germania alla Francia, dalla Spagna al Regno
Unito, Italia compresa. In altri termini, sarebbe la prima prova di
governo, con tutte le responsabilità connesse, per uno di quegli
aggregati politici che – in diversissimo modo – tendono a rappresentare
la cosiddetta maggioranza invisibile (il turno dopo potrebbe essere quello spagnolo).
Il secondo aspetto, ancora più fondamentale, è che per la prima volta
da molto tempo avremmo uno Stato europeo che tenterebbe di rapportarsi
alla stessa Ue, alla Troika e più in generale ai poteri economici con
tutta la forza che deriva dal suo essere uno Stato e una democrazia,
cioè cercando di restituire alla politica la sovranità che le spetta.
Questa sì che sarebbe una rivoluzione, dopo gli ultimi trent’anni.
Chissà se gliela lasceranno fare.
Fonte
Nessun commento:
Posta un commento