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31/12/2014

Cosa c’è in gioco in Grecia (e in Europa)

Fallito l’ultimo tentativo di eleggere il presidente, la Grecia va verso elezioni anticipate, il 25 gennaio. Secondo i sondaggi è al momento in testa (con maggioranza relativa) il partito di sinistra Syriza.

Syriza viene abitualmente chiamata “sinistra radicale”, e cosi in effetti dice anche il suo nome. Tuttavia il suo programma è tendenzialmente socialdemocratico, neokeynesiano e a tratti addirittura rooseveltiano. Il Psi di Nenni, cinquant’anni fa, era probabilmente più radicale. Non è che se da noi si autodefiniscono di sinistra Boschi, D’Alema e Gutgeld, debba andare così per forza dappertutto.

Altro equivoco diffuso è che se in Grecia vince Syriza, Atene uscirà dall’euro e questo potrebbe essere l’inizio della fine della moneta unica, a domino.

Syriza in realtà non chiede l’uscita dall’euro, ma la rinegoziazione del debito greco; in particolare degli interessi, che soffocano ogni possibilità di investimento pubblico finalizzata alla ripresa. Il modello a cui Tsipras ha fatto più volte riferimento è quello che ha permesso alla Germania di rinascere quando, nel 1953, la sua economia era strangolata dai debiti (tra cui quelli di guerra) e il governo di Bonn ottenne una rimodulazione con moratoria di cinque anni.

In merito al rapporto con l’Europa, il tratto forte di Syriza è la richiesta di un cambiamento nel ruolo della Bce perché finanzi direttamente gli Stati e i programmi di investimento pubblico: «Siamo in attesa di vedere la portata e soprattutto i risultati del Quantitative Easing, che Draghi ha promesso e che dovrebbe apportare benefici tangibili all’economia reale», ha spiegato recentemente Dimitrios Papadimoulis, vicepresidente del Parlamento Ue e principale esponente di Syriza nella Ue. Non è esattamente una posizione bolscevica, né lunare.

Ovviamente non mancano gli interrogativi, il primo dei quali riguarda la stessa Syriza (che, non dimentichiamolo, nasce come coalizione, per di più di sinistra: dunque con tutti i limiti di compattezza derivati) e la possibile maggioranza di governo che attorno a Syriza può formarsi.
Ma credo che gli elementi forti di una possibile vittoria di Syriza trascendano gli aspetti programmatici che riguardano la Grecia e siano invece altri due; questi sì, potenzialmente molto rilevanti anche per il resto d’Europa.

Il primo è che per la prima volta, nel Continente, potrebbe andare al governo una forza esterna all’accoppiata classica centrodestra-centrosinistra, le due forze che si sono alternate per oltre mezzo secolo e che oggi ancora dominano (talvolta in alleanze più o meno allargate) dalla Germania alla Francia, dalla Spagna al Regno Unito, Italia compresa. In altri termini, sarebbe la prima prova di governo, con tutte le responsabilità connesse, per uno di quegli aggregati politici che – in diversissimo modo – tendono a rappresentare la cosiddetta maggioranza invisibile (il turno dopo potrebbe essere quello spagnolo).

Il secondo aspetto, ancora più fondamentale, è che per la prima volta da molto tempo avremmo uno Stato europeo che tenterebbe di rapportarsi alla stessa Ue, alla Troika e più in generale ai poteri economici con tutta la forza che deriva dal suo essere uno Stato e una democrazia, cioè cercando di restituire alla politica la sovranità che le spetta.

Questa sì che sarebbe una rivoluzione, dopo gli ultimi trent’anni.

Chissà se gliela lasceranno fare.

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