“I nuovi poveri sono gli autonomi a partita iva”: raramente articoli hanno avuto titoli più appropriati di quello di Roberto Ciccarelli, pubblicato lo scorso 29 ottobre su “Il Manifesto”.
Consapevole dell’assenza delle tutele spesso garantite al lavoratore dipendente, il più delle volte con un passato lavorativo precario alle spalle, chi al giorno d’oggi si appresta ad intraprendere un lavoro autonomo nel nostro Paese è a metà strada tra l’essere coraggioso e l’essere incosciente o molto più schiettamente è privo di alternative.
Attanagliato da obblighi contributivi elevati, complice una pressione fiscale con pochi eguali in Europa ed un accesso al credito bancario quasi sempre negato, il lavoro autonomo in Italia è sempre stato penalizzato ma ciononostante fino ad oggi, ai volenterosi giovani e meno giovani che aspiravano a mettersi in proprio e intraprendere una nuova attività professionale, recandosi dal commercialista veniva loro prospettata un’ancora di salvezza, il c.d. “regime dei minimi”, ultimo rifugio dall’oppressiva imposizione del nostro sistema tributario.
Introdotto per la prima volta con la L. 244/2007 già nella sua prima versione esonerava i contribuenti dagli studi di settore, dall’iva e contemplava un’applicazione al reddito di un’imposta sostitutiva di irpef, addizionale comunale, addizionale regionale e irap con aliquota fissata al 20%. Per aderirvi bastava non superare gli € 30.000,00 di ricavi nell’anno, non aver effettuato acquisti di beni strumentali nel triennio per un valore superiore ai 15.000 euro, non avere dipendenti e non esercitare attività ricomprese nel novero dei regimi speciali iva. Chi si avvaleva di tale regime nella sua formulazione iniziale poteva permanervi indefinitamente.
Alcuni anni dopo con il D.l. 98/2011 veniva approvato il c.d. “regime fiscale di vantaggio per l’imprenditoria giovanile e i lavoratori in mobilità”. Per effetto delle nuove disposizioni coloro che avevano intrapreso l’attività prima del 2008 fuoruscivano dal regime agevolato. Tra le condizioni ostative per l’accesso al regime veniva inserito il divieto di mera prosecuzione dell’attività e contemplato che il contribuente non avesse dovuto esercitare nei tre anni precedenti l’inizio dell’attività altra attività artistica, d’impresa o professionale. La scadenza naturale del nuovo regime veniva a essere di cinque anni, periodo che poteva essere anche più lungo qualora il contribuente avesse avuto meno di 35 anni, in quanto in quest’ultimo caso se ne sarebbe potuto avvalere fino al compimento del 35° anno d’età. A causa del D.l. 98/2011 molti beneficiari dell’originario regime dei minimi avrebbero perso le iniziali agevolazioni previste. Di contro quegli autonomi che hanno avuto la “fortuna” di aprire la partita iva col suddetto regime nel 2012 e negli anni seguenti, oltre a molti dei vecchi benefici hanno finora goduto di un’imposta sostitutiva con un’aliquota ancora più bassa rispetto alla precedente: ossia del 5% in luogo del 20%.
Poi con Renzi al governo avviene l’apoteosi: la legge di stabilità recentemente approvata porta infatti in dote un’involuzione del sistema di agevolazione fiscale per i contribuenti “minimi”. Per chi aprirà una nuova attività a partire dal prossimo 1 gennaio 2015, l’imposta sostitutiva non si attesterà più al 5% bensì al 15%. La riforma impone poi soglie differenziate di accesso in base all’attività svolta e non più il limite di 30 mila euro uguale per tutti. C’è anche una base imponibile forfetizzata in base a codici di attività e non più basata sulla differenza tra costi e ricavi. Il nuovo regime semplificato dei forfetizzati non sarà accessibile ai dipendenti che hanno un reddito prevalente rispetto a quello autonomo e complessivamente superiore ai 20mila €. Ma le brutte notizie per molti di coloro che si apprestano ad avviare una nuova attività di lavoro autonomo non finiscono qui: infatti nel 2015 si avrà pure un aumento di tre punti percentuali dell'aliquota contributiva della gestione separata INPS a cui sono iscritti molti autonomi e free-lance che passerà dal 27,72% al 30,72%.
Unico escomatage, almeno sul fronte fiscale: aprire la partita iva entro il 31-12-2014 come molti ordini professionali hanno consigliato di fare ai loro prossimi iscritti: in tal caso si riuscirà a conservare i benefici attuali fino alla loro scadenza naturale.
L’Italia ancora una volta dimostra di non essere un paese per giovani, a maggior ragione se sono lavoratori autonomi; non almeno ai tempi di Renzi, l’innovatore.
Fonte
Con buona pace di tutti quelli che pensano (e spesso consigliano) che mettendosi in proprio si fanno i quattrini e che a leggere ste cose, diranno senza dubbio che la colpa non è di Renzi, ma dei dipendenti pubblici che rubano lo stipendio.
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