Dopo essere sceso sotto i 55 dollari, il
prezzo del petrolio sembra essere in lievissima ripresa, ma è chiaro
che la tendenza è al ribasso e che, comunque, per un periodo di tempo
imprevedibilmente lungo, ci aggireremo intorno ai 60 dollari. Il che
significa che diventa molto concreta la possibilità che si blocchi la
ricerca del petrolio di shale, a causa del probabile crollo finanziario
delle società che hanno iniziato ad operare nel settore.
Altra plausibile conseguenza è il crollo del gas russo,
con conseguente blocco dei progetti di gasdotti (neppure il contratto
con la Cina, a questo punto, è più sicuro, data anche la situazione
dell’economia cinese). Se poi a questo dovesse accompagnarsi un nuovo
default russo, le conseguenze sarebbero di ben più lungo periodo.
In terzo luogo, prezzi così bassi del petrolio avranno come effetto assai probabile il default venezuelano, anche qui con effetti di medio-lungo periodo.
Dunque, nel giro di due anni, l’Arabia Saudita avrebbe messo fuori combattimento le tre principali sfidanti al
suo monopolio petrolifero e potrà essere padrona, per non pochi anni, di
determinare il prezzo del barile a piacimento, rifacendosi ad
abbundantiam dei guadagni persi in questo periodo. Ovviamente, questo
significa un nuovo shock petrolifero simile a quello di
sette-otto anni fa. E peggio ancora se, nel frattempo, dovesse
profilarsi una sia pur debole ripresa manifatturiera, con conseguente
ripresa della domanda. Questo potrebbe avvenire con una certa
gradualità, per effetto dei contratti future, ma occorre considerare che
si sono scottati in molti con i progetti di speculazione sul petrolio,
per cui si muoveranno tutti con una certa circospezione. Salvo
precipitarsi a comperare petrolio future ai primi segni di ripresa del
prezzo, ma con il probabile effetto di far salire la domanda e,
conseguentemente, far impennare il prezzo in tempi rapidissimi. Il che
renderebbe tutto più devastante.
E già questo è un primo tipo di effetti perversi che possono prodursi alla fine della manovra saudita. Ma ce ne sono altri.
Infatti, non è detto che l’operazione riesca sino in fondo e non produca prima effetti assai poco desiderabili.
Il crollo di molti hedge fund, al pari delle società di shale,
potrebbero contribuire ad amplificare la crisi finanziaria che si
profila e, peggio ancora, il default russo (magari accompagnato da
quello venezuelano) potrebbero avere conseguenze globali molto maggiori,
trasformando questa terza ondata della crisi in una recessione
spaventosa e decisamente peggiore delle due ondate che l’hanno
preceduta. E a quel punto, pompare liquidità potrebbe non servire a
molto, in presenza di una caduta senza precedenti della domanda
aggregata mondiale. In questo caso, la manovra saudita si rivelerebbe
essere stato l’innesco assai incauto di una tempesta che travolgerebbe
anche chi ha contribuito a scatenarla.
C’è poi da considerare la serie di effetti politici e forse militari
delle dinamiche innescate da questa perturbazione petrolifera. In primo
luogo, bisogna vedere come si comporranno gli interessi quatarioti con
quelli sauditi: il basso costo del petrolio scoraggia anche la
costruzione del gasdotto che i quatarioti vorrebbero costruire, per
penetrare nel mercato europeo. E, dunque, la manovra saudita dovrebbe
risultare sgradita, a meno che non ci sia una intesa, con precisi
accordi, per un subentro del gas quatariota nel momento in cui il prezzo
del petrolio saudita dovesse salire troppo e spingere alla ripresa
delle fonti alternative oggi buttate fuori mercato (shale, gas russo
ecc.).
In questo caso, avremmo il disegno di un
cartello monopolistico saudita-quatariota (cui, come sempre, si
assocerebbero le altre monarchie del Golfo) in grado di fare il bello ed
il cattivo tempo per un periodo indefinitamente lungo.
Nel primo caso (Arabia Saudita versus
Quatar) la cosa potrebbe essere gradita, almeno entro certi limiti, agli
israeliani che temono il Quatar più dell’Arabia Saudita (con la quale,
almeno, condividono l’avversione all’Iran), ma, ovviamente non sarebbe
affatto gradita ai quataorioti che potrebbero aizzare i Fratelli
Musulmani ed i settori ultra ortodossi contro Riyad.
Nel secondo caso, al contrario, la cosa
sarebbe gradita ai quatarioti ma non ad Israele che vedrebbe come il
fumo degli occhi un cartello petolifero arabo tanto potente. E c’è da
star sicuri che non starebbe con le mani in mano ad attendere che la
manovra si consumi.
Dunque, nel conto, mettiamo anche un
surriscaldamento dei rapporti politico-militari in Medio Oriente, anche
se non sappiamo su quale dei due versanti si accenderebbe la miccia.
Tendenzialmente ci sembra più convincente il primo dei due scenari.
Insomma, una partita a bocce in cui è
molto difficile calcolare la serie di urti e rimbalzi, ma in cui è facile
prevedere la scarsa auspicabilità di quasi tutti gli scenari possibili.
Effetti dello shock da globalizzazione…
Per non parlare di quelle che potrebbero essere le reazioni militari russe e forse cinesi.
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