di Chiara Cruciati
Ieri le forze militari
kurde irachene hanno lanciato un’ampia controffensiva per riprendere la
zona di Sinjar e strapparla al controllo dello Stato Islamico. Salita
all’attenzione delle cronache ad agosto, l’area dove risiede la
minoranza yazidi e’ stata oggetto di brutali violenze da parte degli
islamisti di al-Baghdadi: ad oggi sono centinaia di migliaia gli
yazidi fuggiti in Kurdistan, in fuga dalla morte, centinaia quelli
massacrati durante la cattura di Sinjar e migliaia quelli resi
prigionieri e schiavizzati dall’Isis.
Ad agosto gli Stati Uniti usarono come giustificazione
all’avvio della campagna aerea contro il califfato proprio l’assedio del
monte Sinjar: lanciarono sulla comunita’ intrappolata aiuti
umanitari e cibo e sulle postazioni Isis le prime bombe. Poco dopo, gli
yazidi finirono nel dimenticatoio. Oggi sono i peshmerga
– che all’epoca furono accusati di essere fuggiti di fronte
all’avanzata islamista e di aver abbandonato la popolazione yazidi – a
lanciare la prima vera controffensiva, dai territori di Rabia ai confini con la Siria e da Zumar, poco fuori la diga di Mosul.
“I peshmerga hanno lanciato l’operazione per liberare le
aree di Sinjar e Zumar alle 7 del mattino di ieri – ha detto un
comandante kurdo – L’attacco e’ in corso con il supporto dei jet della
coalizione che stanno colpendo le postazioni Isis dalla scorsa notte”.
Secondo il comandante tre villaggi sarebbero già stati liberati, mentre
il presidente del Kurdistan iracheno Barzani dice di avere come
obiettivo la liberazione di Sinjar.
Un obiettivo non tanto legato alla terribile sorte della
minoranza yazidi, quanto al timore di un’ulteriore avanzata jihadista
verso i territori kurdi a nord: durante i primi mesi di
offensiva, l’Isis non arrivò mai ai confini con il Kurdistan iracheno,
permettendo ad Irbil di approfittare del caos per occupare centri
strategici come la ricca Kirkuk. Non pochi analisti parlarono allora di un accordo sottobanco tra kurdi iracheni e islamisti per la spartizione del territorio.
Oggi l’Isis ha modificato la propria strategia, andando ad attaccare
alla frontiera con il Kurdistan e entrando all’interno con kamikaze e
autobombe, esplose nel cuore di Irbil. Una seria minaccia per il
Kurdistan iracheno che dall’avanzata dell’Isis sperava di ottenere una
maggiore autonomia da Baghdad, soprattutto in campo energetico. E ora la
rinnovata minaccia islamista potrebbe rompere le uova nel paniere di
Barzani.
La controffensiva kurda viene seguita da vicino anche da Washington che ha fatto dei peshmerga
uno dei principali alleati sul terreno, dove Obama continua a dire di
non voler mettere gli stivali. Diversi sono i resoconti che arrivano
dall’Iraq: i 3mila consiglieri Usa oggi a Baghdad – a cui se ne
aggiungeranno a breve altri 1.500 – non resterebbero seduti dietro le
scrivanie. Secondo la stampa locale alcuni di loro avrebbero
preso parte a scontri diretti con l’Isis, lunedì scorso a mezzanotte
nella provincia di Anbar, uno dei principali teatri del conflitto, la
cui caduta definitiva significherebbe la sconfitta del nuovo governo di
Baghdad e l’allargamento del fronte Isis. Anbar confina con le
città irachene sciite più importanti, la capitale, Karbala, Babil. E
confina con Siria, Giordania e Arabia Saudita.
Per questo la Casa Bianca sta premendo per coinvolgere
direttamente le tribù sunnite della zona, molte delle quali
intenzionate a combattere l’Isis ma ancora marginalizzate da Baghdad,
che esita a rifornire di armi milizie sunnite che in futuro reclameranno
la loro parte di bottino politico. Una posizione opposta a
quella di Washington che sul tavolo ha da tempo un piano per la
creazione di un esercito informale sunnita che affianchi Baghdad e che
sia il primo passo verso la divisione dell’Iraq in regioni federate, una
sunnita, una sciita e una kurda. Ovvero il primo passo per la trasformazione definitiva della mappa mediorientale in grandi entità etniche, una sunnita e una sciita.
Una soluzione che non dispiacerebbe ai principali attori regionali,
Iran e Arabia Saudita, ma che istituzionalizzerebbe il settarismo
regionale di cui l’Isis fa ampio uso. Ultimo in ordine di tempo il
massacro di 230 membri della tribù sunnita Shaitat, in Siria, nella
provincia di Deir al-Zor: i corpi sono stati ritrovati nell’ennesima
fossa comune, probabilmente uccisi la scorsa estate perchè sollevatisi
contro il califfato di al-Baghdadi.
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