di Tania Careddu
Violato, deturpato, abusato e
trascurato. Eppure, per il territorio italiano, vengono stanziate
ingenti risorse dedicate. Malamente utilizzate. Per esempio quelle
comunitarie, destinate ai lavori pubblici importanti, che tornano
periodicamente all’attenzione dell’interesse nazionale, vedi in
occasione dell’alluvione di Genova e per la ricostruzione post sismica
dell’Aquila.
Ebbene, secondo quanto riporta il 48esimo Rapporto Censis sulla
situazione sociale del Paese, le risorse programmate nell’ambito delle
politiche di coesione economica e sociale 2007- 2013 - finalizzate a
promuovere uno sviluppo equilibrato, armonioso e sostenibile delle
comunità - si aggirano intorno agli ottanta miliardi di euro, cui
corrisponde, però, una spesa certificata pari a circa trentadue miliardi
e poco più, con un avanzamento del 40,4 per cento. Di questi ottanta
miliardi di euro programmati, ben quarantacinque sono relativi a
interventi infrastrutturali, in soldoni opere pubbliche.
Ebbene, a
un anno dalla chiusura del periodo di programmazione europea si è speso
un quinto delle risorse a disposizione, cosicché rimangono da
certificare alla Commissione europea ancora ventuno miliardi.
Pare che la criticità che penalizza la capacità italiana di
utilizzare le risorse comunitarie e nazionali risieda nel lungo e
complesso processo amministrativo e tecnico che sta alla base della
realizzazione delle opere pubbliche. Non solo: i dettagli nei progetti
di lavori che (se) vedranno la luce da lì a sette anni, si perdono in
fiumi di retorica.
Di fatto, nessuno sa per certo quali effetti
possano avere i progetti finanziati con i fondi strutturali ma,
nonostante questo, tanto per dirne una, in cinque anni si sono
finanziati oltre cinquecentomila corsi di formazione e innumerevoli
altri progetti. Risultato: tutti cercano di massimizzare la somma che
l’Italia riceve e nessuno sembra chiedersi se ne valga la pena. E se i
soldi dedicati arrivino ai giusti destinatari.
Per esempio, per
intervenire sulla gestione delle infrastrutture di base delle risorse
idriche. Non consona agli standard di uno Stato avanzato, la grave
condizione in cui versano gli acquedotti italiani ha pesanti effetti
economici e ambientali, contribuendo al depauperamento della preziosa
risorsa.
Tanto
per capirne la portata: rispetto alla totalità dell’acqua che viene
messa in rete, più di un terzo sparisce, non viene consumata né
fatturata, non giungendo all’utente finale. E così, le perdite delle
reti acquedottistiche, tra il 2008 e il 2012, sono aumentate e
caratterizzano l’Italia tra i grandi Paesi europei. Che, oltretutto, fa
acqua pure sul fronte della raccolta e della depurazione: il 7 per cento
del carico inquinante non viaggia nelle reti fognarie e il 21 per cento
non viene depurato prima di arrivare ai corpi idrici di destinazione.
E
pensare che ogni anno, nel Belpaese, si investe pochissimo: trenta euro
ad abitante contro gli ottanta della Germania, i novanta della Francia e
i cento della Gran Bretagna. E gli investimenti delle politiche di
coesione dovrebbero anche essere concentrati, tra gli altri, sulla voce
efficienza energetica. Nel ciclo finanziario 2014-2020 saranno
disponibili più di trentotto miliardi di euro per sostenere il passaggio
a un’economia più ecocompatibile che guardi all’efficienza energetica e
delle energie rinnovabili.
Allo stato, gli incentivi e i forti
investimenti per lo sviluppo e l’adozione di tecnologie del genere hanno
portato a una crescita del settore, che nel 2013 ha raggiunto il 18 per
cento del consumo nazionale. Un terzo del quale è stato coperto dalla
produzione nel comparto elettrico.
Non senza contraccolpi. Se si calcola che i costi derivanti
dall’incentivazione delle fonti rinnovabili sono coperti per ben 12
miliardi di euro annui dal pagamento della bolletta energetica delle
famiglie italiane. Di più: penalizza il settore energetico nel suo
complesso per la riduzione delle ore di utilizzo degli impianti. Si
vedrà la luce nella semioscurità dei progetti, dei finanziamenti e degli
incentivi?
Fonte
Curioso che nell'articolo non si spenda una parola sul carattere sistemico degli sprechi che ammorbano gli investimenti infrastrutturali-
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