La controffensiva kurda per la riconquista di Sinjar, lanciata mercoledì, ha segnato la prima vittoria: ieri i peshmerga
sono riusciti ad aprire un corridoio umanitario per permettere la
liberazione delle migliaia di yazidi ancora intrappolati sul monte
Sinjar, assediato dall’Isis.
Le forze kurde hanno attaccato da Zumar, a est di Sinjar,
rioccupando circa 700 km quadrati di territorio in due giorni. Sostenute
da 45 raid della coalizione, fa sapere un comandante kurdo, le forze di
Irbil hanno mosso il primo passo verso la liberazione delle comunità
occupate dallo Stato Islamico, prevalentemente abitate dalla minoranza yazidi.
Il presidente kurdo Barzani gongola, sottolineando che l’operazione è stata condotta senza l’aiuto dell’esercito iracheno: “Il
corridoio è stato aperto per evacuare quelle persone – ha detto Barzani
– Abbiamo chiesto al governo iracheno di fornire munizioni per
l’operazione. Ma sfortunatamente non hanno mandato nulla, il loro
contributo è stato nullo, ad essere sinceri”.
La controffensiva è stata lanciata ufficialmente per liberare i
migliaia di yazidi che ad agosto erano rimasti ostaggio dell’Isis sul
monte Sinjar, impossibilitati a fuggire come altre migliaia di loro, che
erano riusciti a raggiungere il Kurdistan iracheno dove oggi vivono in
condizioni estremamente precarie: Irbil non è in grado di accogliere
tanti profughi e molti sono costretti a rifugiarsi in case in
costruzione o sotto i ponti, senza protezioni contro l’arrivo del freddo
inverno iracheno.
A livello strategico, in realtà, Sinjar rappresenta un
bastione fondamentale per Irbil: a poca distanza dalla Siria, la zona è
vicinissima al Kurdistan iracheno, ormai diventato target degli
islamisti che in passato avevano volutamente “risparmiato” il territorio
della regione autonoma. Oggi non è più così: era necessario
per i kurdi riprendere Sinjar e togliere all’Isis un importante punto di
partenza di una possibile offensiva contro il Kurdistan.
Un’analisi che troverebbe conferma nel precedente abbandono di Sinjar da parte di Irbil: ad agosto, quando lo Stato Islamico occupò la comunità e massacrò la minoranza yazidi, i peshmerga fuggirono senza combattere nella convinzione di non essere un target islamista. Oggi quella certezza è evaporata e Sinjar è tornato elemento centrale della battaglia per il controllo dell’Iraq.
Proseguono intanto i raid della coalizione guidata dagli Stati Uniti:
ieri il capo dello Stato maggiore Usa, Martin Dempsey, ha fatto sapere
che in bombardamenti condotti tra il 3 e il 9 dicembre sono stati uccisi diversi leader del califfato, un’azione “distruttiva del loro sistema di comando e controllo”.
“Riteniamo che la perdita di leader chiave diminuisce la capacità
dell’Isis di comando e di controllo delle attuali operazioni contro
l’esercito iracheno, i peshmerga e altre forze locali in Iraq”, ha aggiunto il portavoce Kirby.
Si tratterebbe infatti di leader di alto livello, dei vertici
dell’Isis: tra loro Haji Mutazz, vice di al-Baghdadi, Radwin Talib,
governatore di Mosul, e Abd al Basit, capo delle operazioni militari in
Iraq.
L’obiettivo Usa è indebolire la struttura interna dell’Isis, decapitandone la testa. Ma molti analisti ritengono l’Isis tanto organizzato al suo interno da poter sostituire la propria leadership in tempi brevi:
l’eventuale scomparsa dello stesso al-Baghdadi, figura centrale sia sul
piano simbolico che politico, potrebbe essere vissuta in un primo
momento come una cocente sconfitta, ma potrebbe trasformarsi in vendetta
e rappresaglia, gestibili dai suoi più stretti collaboratori.
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