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19/12/2014

IRAQ. I peshmerga liberano Sinjar, gli Usa decapitano i vertici Isis

La controffensiva kurda per la riconquista di Sinjar, lanciata mercoledì, ha segnato la prima vittoria: ieri i peshmerga sono riusciti ad aprire un corridoio umanitario per permettere la liberazione delle migliaia di yazidi ancora intrappolati sul monte Sinjar, assediato dall’Isis.

Le forze kurde hanno attaccato da Zumar, a est di Sinjar, rioccupando circa 700 km quadrati di territorio in due giorni. Sostenute da 45 raid della coalizione, fa sapere un comandante kurdo, le forze di Irbil hanno mosso il primo passo verso la liberazione delle comunità occupate dallo Stato Islamico, prevalentemente abitate dalla minoranza yazidi.

Il presidente kurdo Barzani gongola, sottolineando che l’operazione è stata condotta senza l’aiuto dell’esercito iracheno: “Il corridoio è stato aperto per evacuare quelle persone – ha detto Barzani – Abbiamo chiesto al governo iracheno di fornire munizioni per l’operazione. Ma sfortunatamente non hanno mandato nulla, il loro contributo è stato nullo, ad essere sinceri”.

La controffensiva è stata lanciata ufficialmente per liberare i migliaia di yazidi che ad agosto erano rimasti ostaggio dell’Isis sul monte Sinjar, impossibilitati a fuggire come altre migliaia di loro, che erano riusciti a raggiungere il Kurdistan iracheno dove oggi vivono in condizioni estremamente precarie: Irbil non è in grado di accogliere tanti profughi e molti sono costretti a rifugiarsi in case in costruzione o sotto i ponti, senza protezioni contro l’arrivo del freddo inverno iracheno.

A livello strategico, in realtà, Sinjar rappresenta un bastione fondamentale per Irbil: a poca distanza dalla Siria, la zona è vicinissima al Kurdistan iracheno, ormai diventato target degli islamisti che in passato avevano volutamente “risparmiato” il territorio della regione autonoma. Oggi non è più così: era necessario per i kurdi riprendere Sinjar e togliere all’Isis un importante punto di partenza di una possibile offensiva contro il Kurdistan.

Un’analisi che troverebbe conferma nel precedente abbandono di Sinjar da parte di Irbil: ad agosto, quando lo Stato Islamico occupò la comunità e massacrò la minoranza yazidi, i peshmerga fuggirono senza combattere nella convinzione di non essere un target islamista. Oggi quella certezza è evaporata e Sinjar è tornato elemento centrale della battaglia per il controllo dell’Iraq.

Proseguono intanto i raid della coalizione guidata dagli Stati Uniti: ieri il capo dello Stato maggiore Usa, Martin Dempsey, ha fatto sapere che in bombardamenti condotti tra il 3 e il 9 dicembre sono stati uccisi diversi leader del califfato, un’azione “distruttiva del loro sistema di comando e controllo”. “Riteniamo che la perdita di leader chiave diminuisce la capacità dell’Isis di comando e di controllo delle attuali operazioni contro l’esercito iracheno, i peshmerga e altre forze locali in Iraq”, ha aggiunto il portavoce Kirby.

Si tratterebbe infatti di leader di alto livello, dei vertici dell’Isis: tra loro Haji Mutazz, vice di al-Baghdadi, Radwin Talib, governatore di Mosul, e Abd al Basit, capo delle operazioni militari in Iraq.

L’obiettivo Usa è indebolire la struttura interna dell’Isis, decapitandone la testa. Ma molti analisti ritengono l’Isis tanto organizzato al suo interno da poter sostituire la propria leadership in tempi brevi: l’eventuale scomparsa dello stesso al-Baghdadi, figura centrale sia sul piano simbolico che politico, potrebbe essere vissuta in un primo momento come una cocente sconfitta, ma potrebbe trasformarsi in vendetta e rappresaglia, gestibili dai suoi più stretti collaboratori.

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