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23/03/2015

La colpa d’origine del colonialismo e l’insorgenza fondamentalista

L’Europa è stata molto generosa con sé stessa, autoassolvendosi del suo passato coloniale: concessa l’indipendenza agli ex colonizzati, ha ritenuto che ogni problema fosse risolto e che una parentesi di storia si fosse chiusa senza strascico. Ma è così?

Per circa un ventennio, dagli anni venti ai quaranta, nelle facoltà di medicina francesi si insegnava che gli algerini hanno una conformazione neurologica particolare, che li rende fisiologicamente criminali, aggressivi, violenti. Delinquono perché sono delinquenti di natura e non possono far altro. Nel linguaggio coloniale francese ogni parola che indicava un algerino corrispondeva ad un insulto come “bicot” (capretto) sinonimo di nordafricano. Nelle scuole di primo e secondo grado delle colonie, i libri di testo – tutti di autori europei parlavano della naturale superiorità razziale dei bianchi che le genti di colore, malgrè soi, dovevano sforzarsi di imitare. Sino a circa mezzo secolo fa, medici, antropologi, biologi, psicologi ecc davano per scontata l’inferiorità naturale delle popolazioni di colore.

Tutto questo gli europei lo hanno rimosso. Gli islamici no. La fine del colonialismo è di circa 60 anni fa, ma mezzo secolo, sul piano della storia, è un tempo trascurabile.

D’altro canto, se ogni fede religiosa è soprattutto un’antropologia, dobbiamo chiederci quale sia stato il sedimento storico profondo della vittoria militare di una cultura monoteista (quella cristiana) su un’altra cultura monoteista (quella islamica): Jan Assmann sostiene che il seme della guerra di religione è proprio nel monoteismo. E’ un fatto che le religioni monoteiste siano quelle che hanno prodotto più frequentemente guerre di religione e che il conflitto più lungo (di fatto dall’VIII secolo in poi) è proprio quello che ha contrapposto a più riprese le due grandi religioni monoteiste.

Potiers, le crociate, la cacciata dei Mori di Spagna, Lepanto, Vienna, ecc. non sono ombre dissolte del passato, vivono nel perdurante senso di ostilità che è sepolto nel profondo della psicologia dei popoli arabi ed  europei. E’ sintomatico che gli islamici siano gli immigrati che raccolgono più ostilità fra gli europei.

Ed è nella cornice di questo conflitto millenario che trova posto la vicenda del colonialismo europeo nel Medio Oriente e Nord Africa.

C’è un aspetto di quella vicenda, che non ha ricevuto la necessaria attenzione da parte della maggioranza degli storici: il colonialismo, prima e più ancora che di territorio fu invasione della mente. Su questo resta insuperata l’opera di Franz Fanon che ancora oggi può dirci molto sulla sostanza psicologica del conflitto in atto.

Il colonizzato, tenuto in costanti condizioni di inferiorità, fu costretto al permanente confronto con il bianco. Persino nell’intimità sessuale il comportamento era determinato da questo confronto: “..Nel rapporto col bianco la donna di colore conquista finalmente l’accesso al venerato mondo dei dominatori: l’uomo di colore nel rapporto sessuale con una donna bianca si vendica del padrone coloniale e dimostra la sua parità, il suo essere uomo. In fondo, però, questo atteggiamento dimostra solo una cosa: i valori del colonizzatore vengono riconfermati dal senso dall’importanza che il colonizzato attribuisce alla situazione eccezionale: il pregiudizio razzista ne riceve una nuova ratifica”

Questo continuo confronto con il bianco in condizioni di inferiorità, determina la nevrosi collettiva diffusa fra i colonizzati, che hanno sia manifestazioni psicosomatiche (ulcere, disturbi del linguaggio, coliche nefritiche, ipersonnie, tremiti idiopatici, irrigidimento muscolare), sia comportamentali come i sensi di insicurezza, la pronunciata aggressività che sfocia nei tassi insolitamente alti di attività criminali nell’Algeria degli anni in cui Fanon opera. Ma, tale violenza non si indirizzava nei confronti del “padrone bianco” (troppo lontano e potente) ma contro gli altri colonizzati: “Nella situazione coloniale… gli indigeni  hanno tendenza a farsi reciprocamente da schermo. Ciascuno nasconde all’altro il nemico nazionale. E quando, spossato dopo una dura giornata di sedici ore, il colonizzato si lascia cadere su una stuoia e un bambino attraverso il tramezzo di tela piange e gli impedisce di dormire, come per caso, è un piccolo algerino. Quando va a domandare un po’ di semola ed un po’ d’olio dal droghiere cui deve già alcune centinaia di franchi e si vede rifiutare questo favore, un immenso odio e una gran voglia di ammazzare lo sommergono, e il droghiere è un algerino…”

Queste sofferenze neurologiche e psicologiche non si sono dissolte con l’indipendenza, hanno lasciato ferite profonde (e non solo in Algeria). Di mezzo, però, c’è stata la guerra di indipendenza che ha mutato molte cose: gli algerini hanno imparato a rivolgere la loro aggressività verso l’invasore e non più fra di loro (è sintomatico che, a partire dalla rivolta di Algeri, nel 1954, i tassi di criminalità locali crollarono di colpo e si mantennero bassi dopo l’indipendenza). Ed a combattere il nemico esterno impararono – pur se con scarsa fortuna anche egiziani, giordani, siriani, libanesi, iraqueni nelle guerre con Israele. Poi vennero le guerre inter islamiche (Iran-Iraq, Arabia Saudita-Yemen ecc.). L’aggressività non era più rivolta verso l’interno di ciascun paese ma sempre più verso l’esterno, assumendo i panni sia di guerre regolari che di guerriglie (Algeria, Yemen, Palestina, Afghanistan, Iraq).

E’ degno di nota che la netta maggioranza dei conflitti attualmente in corso vedano impegnato almeno un paese o un’etnia islamica. Questo ha dato ai maomettani un senso di accerchiamento, che si è combinato con le troppe sconfitte subite in questo secolo, dopo la disfatta dell’Impero Ottomano che dissolveva l’ultimo califfato.

La modernizzazione ha avuto un urto drammatico sul mondo islamico che è quello che stenta più di ogni altro a trovare un suo equilibrio, sia esterno sia interno, tanto dell’area quanto ai singoli stati.

E’ di qui che parte l’insorgenza islamista in una progressione sempre più fitta di avvenimenti: 1928 (non molto dopo la dissoluzione dell’impero Ottomano), nascita dei fratelli musulmani, 1949 morte di Al Banna assassinato, 1952 la rivolta di Alessandria di Egitto, 1966 morte in carcere di Al Qutb, 1967 guerra dei sei giorni, 1979 rivoluzione fondamentalista in Iran ed insurrezione fondamentalista a Le Mecca, 1979-89 invasione sovietica in Afghanistan, quindi nascita di Al Quaeda…

Come si noterà, il fenomeno ha radici lontane nel tempo (1928) ma è “esploso” in particolare a partire dagli anni novanta, in parallelo alla marcia trionfale della globalizzazione. E pare evidente che si tratti di una rivolta contro la modernità imposta dalla globalizzazione, vissuta come una nuova “invasione della mente”. Lo jihadismo è il frutto più vistoso ed imprevisto della globalizzazione che ha un suo nascosto contenuto conflittuale. Lo jihadismo è il principale fattore di shock. L’eccidio di Parigi lo manifesta con particolare evidenza: una sorta di ripetizione del messaggio dell’11 settembre.

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