di Irene Chias*
Io la tentazione separatista la capisco. Come credo sia chiaro, non ritengo che femmine e maschi siano diversi per natura, non credo che esistano talenti specificamente maschili o femminili. Credo piuttosto alle inclinazioni individuali che, almeno in potenza, prescindono dai genitali con cui si viene al mondo.
Ma è vero anche che alla fine maschi e femmine si sviluppano in una maniera inevitabilmente differente perché differente è la collocazione che la cultura patriarcale ci impone o, nella migliore delle ipotesi, verso cui ci orienta.
E, pur non condividendole, non mi risulta difficile capire le ragioni, alcune almeno, di quelle femministe che rivendicano un posto simbolico solo per sé, un posto che escluda il sesso oppressore. Si può avere voglia di accompagnarsi a chi condivide un tratto specifico della propria storia personale, quello di essere nate col “sesso della paura, dell’umiliazione”, col “sesso straniero” per dirla con Virginie Despentes.
Partirei anche questa volta – come nella lettera che ti scrissi ormai due anni fa e che tu, ispirandoti a una frase contenuta nel testo, intitolasti Per le femministe della differenza: ci avete prolassato l’utero – da una mia esperienza personale, piuttosto banale se vogliamo.
Qualche mese fa mi è capitato di trovarmi con mio cugino, di oltre dieci anni più giovane di me, e con un suo amico. Quelli che si direbbero due bravi ragazzi. In particolare il suo amico è anche un mio vicino di casa, siamo in confidenza, mi ha inviata a cena con i suoi coinquilini in diverse occasioni, mi è venuto a prendere una volta che ero rimasta a piedi, mi ha accompagnata a visitare delle case per un eventuale acquisto che ancora non mi sono decisa a fare. Ma queste sono divagazioni. Il punto su cui concentrarsi è: bravo ragazzo.
Quella sera d’estate che trascorsi con lui e mio cugino, mi sorprese definendo cagne delle donne nude le cui foto un amico gli stava mandando via whatsapp. Rideva e ci riferiva, direi con candore, delle battute che si scambiava con questo interlocutore via chat. Cose come: se continui a mandarmi queste foto dovrò aprire un canile.
Quando gli ho fatto notare che questo scambio trasudava misoginia senza possibilità di equivoco e gli ho chiesto se non credesse che questo modo di scherzare non solo dimostrasse una forma mentis, ma in qualche modo anche la creasse e la rinforzasse, lui mi ha risposto: ma noi scherziamo, le donne mica le trattiamo davvero così. La forma mentis del sessismo per gioco mi disturba. “Ma si fa per ridere, non essere bacchettona” è una frase che con maggiore probabilità ti arriverà da un uomo.
Ora è chiaro che il maschilismo è trasversale alle classi sociali, alle grandi ideologie politiche, e spesso anche al genere di appartenenza. Ci sono donne maschiliste in ogni dove. Ma è anche evidente che gli uomini partono fin dalla prima infanzia da una posizione diversa, per cui in certi momenti è il caso di sottolineare il bisogno di denuncia del privilegio maschile che spesso gli uomini non percepiscono neanche. È vero che ci sono quelli che si interrogano sul loro stare al mondo anche da una prospettiva di genere, sul sessismo insito nella loro cultura, che non tacciono davanti a manifestazioni sessiste. Ma è vero anche che è molto meno automatico e frequente di quanto non sarebbe auspicabile.
Il mondo è pieno di “bravi ragazzi” che a conti fatti sono maschilisti. Per cui, pur non condividendola, capisco la tentazione separatista. Pur ritenendo parziale la dicitura Violenza maschile sulle donne spesso usata, ed erroneamente, come sinonimo di Violenza patriarcale (della società patriarcale fanno parte a pieno titolo molte donne che ne perpetuano i valori), capisco la tentazione separatista come rivendicazione di uno spazio simbolico, e anche fisico, tutto per sé. Tuttavia una manifestazione secondo me non è il posto giusto per proclamare una divisione di questo tipo.
Inoltre, a conti fatti, ci sono anche tante donne con cui ritieni di poter conversare serenamente dando per scontato un territorio comune di condivisione di valori in quanto anche loro esponenti del sesso oppresso, che poi però danno della troia a una per i suoi costumi sessuali, o tirano fuori frasi come “per un uomo è diverso, l’uomo non ha bisogno di essere bello, la donna sì”, o ancora “le donne non sanno guidare”.
Detto questo, fatta insomma una premessa di segno totalmente diverso, devo giungere alle stesse conclusioni di due anni fa: sono molto più vicina al mio amico Luca, che si interroga sul suo modo di stare al mondo, in coppia, in società anche attraverso una prospettiva di genere, che alla mia conoscente RS, secondo cui “noi donne siamo per natura più romantiche, più dolci, più attente ai sentimenti, più bisognose di amore”. Eppure, anche se preferirei marciare al fianco di Luca in una manifestazione contro la violenza patriarcale, non impedirei a RS di manifestare anche lei, come non lo impedirei alla mia vicina trans brasiliana di professione prostituta anche se alle 3 del mattino mi sveglia con gli schiocchi delle sonore sculacciate inferte alle natiche dei suoi diversissimi clienti.
Mi sono abituata a dormire con i tappi di gommapiuma e, dato il presupposto di buona fede fino a prova contraria, a nessuno precluderei una manifestazione contro la violenza maschilista, la violenza contro le donne, che fa male a tutti: trans MtoF, trans FtoM, maschi, femmine e cantanti.
E prima o poi riprenderò la ricerca di una casa nuova e abbandonerò i tappi.
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