di Michele Giorgio – Il Manifesto
Si discute, in Israele e all’estero, della sorte di Benyamin Netanyahu
interrogato lunedì sera, per tre ore, dalla polizia sui “doni”, con un
valore di decine di migliaia di euro, che ha ricevuto da facoltosi
uomini d’affari. E si ipotizza l’esistenza di un secondo filone
di indagine, segreto e molto più inquietante, che potrebbe costringere
il premier alle dimissioni.
Netanyahu intanto è passato all’attacco. Ieri ha preso di mira la ”stampa investigativa”
che a suo dire dovrebbe chiedergli scusa per i «lunghi anni di
persecuzioni quotidiane contro me e i miei familiari». Si è riferito al
giornalista televisivo Raviv Drucker che da anni indaga
sulle sue attività “extra” governative e su quelle della moglie Sara,
presa di mira anche per il pugno di ferro (a dir poco) che usa nei
confronti del personale di servizio nella sua residenza. Netanyahu ha spiegato i suoi problemi con la giustizia come un complotto di giornali ostili e dell’opposizione.
«Se io avessi adottato una politica diversa, avrebbero abbracciato con
calore non solo me ma anche la mia sposa... Si comportano così perché si
oppongono alla nostra politica, alla politica che io porto avanti per
conto di tutti noi». Malgrado la sua baldanza Netanyahu questa volta
rischia una incriminazione per appropriazione indebita, e forse per
altri reati più gravi, e di fare la stessa fine del suo predecessore Ehud Olmert costretto alle dimissioni dalle inchieste della magistratura e ora in carcere.
La vicenda del premier israeliano ha oscurato ciò che accade nei Territori occupati. Nelle ultime ore
l’esercito israeliano ha arrestato più di 40 palestinesi in
Cisgiordania e ha distrutto una scuola e 14 strutture abitative
“illegali” nel villaggio beduino di Khirbet Tana (Valle del Giordano).
Le telecamere sono lontane anche dalla Knesset. Ieri mentre i media
locali e internazionali riferivano dei problemi con la giustizia di
Netayahu, il parlamento israeliano votava a favore, in prima lettura,
della “Legge Facebook”. Se approvata in via definitiva, questa
legge permetterà a Israele di obbligare il gigante dei social a
rimuovere determinati contenuti attraverso un ordine dei giudici nei
casi di “istigazione” pericolosa per la sicurezza nazionale.
In realtà Facebook, dopo l’incontro della scorsa estate tra i suoi
dirigenti e il governo Netanyahu, ha già avviato una massiccia azione di
censura nei riguardi di contenuti, frasi e immagini che considera
“anti-israeliani”. Non basta ai parlamentari israeliani e ai promotori
della legge, i ministri Gilad Erdan e Ayalet Shaked,
secondo i quali Facebook non farebbe ancora abbastanza per fermare
«l’istigazione di atti di terrorismo contro gli ebrei». Negli ultimi
mesi Israele ha arrestato decine di palestinesi per ciò che avevano
scritto sui social media. Poco o nulla invece si è saputo di
simili misure repressive adottate nei confronti di cittadini israeliani
che invocano e incitano all’uso della violenza sui social contro
palestinesi e arabi.
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