Il parlamento turco ha dato l’ok alla controversa bozza
costituzionale che, se approvata ora al referendum, trasformerà il Paese
in una repubblica presidenziale. La costituzione emendata, avanzata dal
partito di governo Akp, ha ricevuto nella tarda nottata di oggi 339
“sì” superando i 330 voti necessari per l’adozione delle modifiche.
Hanno votato 488 parlamentari sui 550 complessivi (i 12 assenti sono i
membri del partito di sinistra fino curda dell’Hdp arrestati due mesi
fa).
Grande gioia per il passaggio della proposta costituzionale è stata espressa dal premier Binali Yildirim:
“Non abbiate alcun dubbio che il popolo certamente farà la scelta
migliore per la Turchia. Andrà ai seggi, voterà [sì] con il cuore e con
la mente”. La palla passa infatti adesso ai cittadini turchi che saranno
chiamati a breve a decidere se approvare o meno la nuova costituzione.
Ancora non è stata stabilita la data referendaria: secondo i deputati
dell’Akp, la consultazione popolare dovrebbe avvenire tra il 26 marzo e
la metà d’aprile.
Se l’esecutivo ostenta sicurezza e sprizza comprensibile gioia, di tutt’altro stato d’animo è l’opposizione.
Bulent Tezcan (Chp) ha infatti detto che il parlamento “sta creando un
regime con un solo uomo a comando che porterà [la Turchia] dove il suo
appetito desidera”. Il leader repubblicano Kemal Kilicdaroglu ha
criticato la decisione parlamentare perché “consegna la sua autorità [ad
Erdogan]” e “tradisce” la storia del Paese. Ha poi promesso di voler
“combattere una battaglia per la democrazia” affinché queste riforme
siano respinte al referendum.
Le discussioni e le votazioni in parlamento sulle modifiche ai 18 articoli della costituzione erano iniziate lo scorso 9 gennaio e hanno incluso sessioni terminate in tarda nottata. Le due settimane di dibattito sono state tesissime:
in almeno due circostanze i politici degli opposti schieramenti sono
venuti alle mani. Significativa è stata poi la protesta della
parlamentare Aylin Nazliaka (Hdp) che l’altro giorno, alla ripresa del
voto in seconda lettura, si è ammanetta al microfono del podio degli
interventi in parlamento per protestare contro la riforma e la
detenzione dei 12 membri del suo partito arrestati lo scorso novembre
(tra questi, anche i co-presidenti dell’Hdp Selahattin Demirtas and
Figen Yuksekdag).
La “maratona” parlamentare, come l’hanno definita molti commentatori locali e internazionali, è emblematica della fretta di Erdogan di piegare la costituzione a suo vantaggio per uscire dalla crisi politica in cui ha portato il Paese.
Se approvati, i maggiori poteri richiesti dal capo dello stato –
ufficialmente per poter difendere meglio la Turchia dalle “minacce”
interne ed esterne – stroncherebbero definitivamente qualunque forma di
opposizione al suo regime.
Tra le novità principali, il presidente avrà infatti il
potere di incaricare e licenziare i ministri. La carica del premier sarà
abolita mentre resterà quella del vice-presidente (o forse più di uno).
Il capo dello stato potrà inoltre intervenire direttamente nel sistema
giudiziario: un aspetto fondamentale per Erdogan che considera il mondo della magistratura controllato dall’amico diventato “nemico” Fethullah Gulen.
Il religioso, in esilio volontario in Pennsylvania (Usa), è accusato
dal leader turco di essere il responsabile del fallito putsch del 15
luglio. Gli emendamenti, inoltre, aumentano i casi in cui il presidente
potrà dichiarare lo stato di emergenza (in vigore nel Paese dopo il
tentato golpe) e stabiliscono ogni cinque anni una data unica per le
elezioni parlamentari e presidenziali. La proposta dell’Akp prevede un
aumento dei seggi parlamentari (dai 550 attuali a 600) e abbassa da 25 a
18 anni l’età minima per diventare deputato del parlamento.
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