In questo post abbiamo visto come la presenza dell’euro (cioè di un accordo di cambio fisso) abbia impedito il graduale aggiustamento degli squilibri macroeconomici (commerciali e finanziari) tra i paesi dell’eurozona. In questo sistema totalmente rigido, le politiche tedesche di controllo dell’inflazione, per le quali il paese è storicamente famoso, hanno fatto esplodere il surplus commerciale della Germania nei confronti dei partner europei nel periodo 2000-2010 e portato il sistema sull’orlo del collasso. Gli squilibri commerciali, come le vostre buste paga conoscono meglio di voi, sono stati curati con l’austerità ovvero con la distruzione della domanda interna nei paesi del sud.
In questo post non mi dilungherò sulle politiche anti-inflattive (cioè di compressione dei salari) della Germania, piuttosto mi concentrerò sulla crisi della produttività italiana.
Chiarendo questo punto potremo (forse) evitare le solite obiezioni dei commentatori da bar che individuano nella scarsa produttività del nostro paese il solo motivo della stagnazione economica in cui ci troviamo.
Secondo il commentatore produttivista, nonostante quello che ormai si può leggere e sentire quotidianamente persino sulla stampa mainstream, il problema della stagnazione economica italiana sta nel fatto che siamo improduttivi. L’euro non c’entra niente e anzi la sua stabilità (?) ci avrebbe salvato da un imprecisato disastro economico. Le spiegazioni addotte per giustificare la crisi della produttività italiana variano a seconda del bar in cui vi trovate. Ci sono quelli che: non abbiamo investito in ricerca e innovazione, quelli che: gli italiani sono pigri, quelli che: il familismo amorale, la corruzione... insomma ce n’è per tutti i gusti. Qui proviamo a fare un ragionamento un po’ più coerente coi dati.
La ferrea logica del produttivista
Prima di addentrarci nel discorso però fatemi mettere in chiaro che l’obiezione produttivista alla critica della moneta unica è illogica prima ancora che sbagliata.
Se anche fosse vero che i tedeschi sono antropologicamente più produttivi di noi pigroni, scansafatiche del sud, per quale motivo dovremmo avere la stessa moneta? La Germania è brava e produce tanto? Che rivaluti la sua moneta! Se svalutare è un male (come pensano i produttivisti) i tedeschi saranno felicissimi di fare il contrario! No?
Perché un paese improduttivo deve avere la stessa valuta del paese produttivo, accumulare deficit di partite correnti per 10 anni e infine tagliare i salari per compensare questo squilibrio? Oltretutto i salari dipendono dalla produttività e tagliare i salari in un paese poco produttivo è molto più doloroso. Togliere 100 euro dalla busta paga di un tedesco è un po’ diverso che toglierli da quella di un greco, non vi pare?
Va be’ facciamo finta di niente e andiamo avanti.
Il caso italiano
I dati storici della produttività italiana sono comodamente scaricabili da tutti dal sito del OECD. La variabile a cui siamo interessati è definita come l’output per ora lavorata, cioè il PIL generato per ogni ora di lavoro. Per avere un termine di paragone concreto ho preso la misura del PIL a prezzi costanti in dollari del 2010. Il grafico che si ottiene è questo:
Guardandolo notiamo subito che effettivamente abbiamo un problema. Oggi un lavoratore italiano produce in media in un ora 15 dollari in meno di valore aggiunto rispetto al suo omologo tedesco. Il grafico però ci dice anche che fino al 1989 la produttività italiana è stata in linea con quella tedesca, anzi persino superiore. I problemi iniziano a manifestarsi dal 1989. La produttività sembra fermarsi fino al 1992 quando riparte e quasi raggiunge di nuovo quella tedesca nel 1995. Dopo la crescita si appiattisce di nuovo e questa volta senza alcun segno di ripresa fino ad oggi.
Ho sottolineato in rosso gli anni in cui la produttività italiana si arresta: i 3 anni dal 1989 al 1992 e il lunghissimo periodo che va dal 1996 ad oggi. Ora proviamo a vedere (giusto così, per curiosità) l’andamento del tasso di cambio tra la lira italiana e il marco tedesco negli stessi anni. I dati si possono scaricare dal sito della Banca d’Italia e ci dicono per ogni anno (in media) quante lire erano necessarie per comprare un marco tedesco. Ecco il grafico:
Sorpresa! I periodi di stagnazione della produttività coincidono “stranamente” con quelli in cui l’Italia ha deciso di irrigidire il suo cambio rispetto al Marco tedesco. Ripercorriamo brevemente la storia di quegli anni: il 13 Marzo 1979, nonostante il parere negativo del Partito Comunista, l’Italia entra nel Sistema Monetario Europeo (SME), ovvero un accordo di cambio semi-fisso all’interno del quale alla lira era garantita una banda di oscillazione di ±6% rispetto all’ECU, una valuta scritturale data dalla media delle valute dei paesi aderenti allo SME.
È molto “divertente” rileggere oggi l’appassionato discorso dell’onorevole Giorgio Napolitano durante la seduta della Camera dei Deputati del 13 Dicembre 1978 quando adduceva queste motivazioni contro l’entrata dell’Italia nello SME. Ne estraggo un passo tra i tanti:
“È così venuto alla luce un equivoco di fondo, [..] se cioè il nuovo sistema monetario debba contribuire a garantire un più intenso sviluppo dei paesi più deboli della Comunità, delle economie europee e dell’economia mondiale, o debba servire a garantire il paese a moneta più forte, ferma restando la politica non espansiva della Germania federale e spingendosi un paese come l’Italia alla deflazione.”Chissà se poi Napolitano ha trovato una risposta convincente all’equivoco.
Nel Gennaio 1990 la Lira decide di entrare nella banda di oscillazione stretta del ±2.25% come la Germania, la Francia e gli altri paesi dell’area del marco.
La produttività italiana entra in sofferenza fino al 1992, quando dopo mesi di inutili sofferenze e riserve della Banca d’Italia sprecate per difendere un cambio insostenibile, la lira svaluta ed esce dallo SME.
Liberata dal giogo del cambio fisso la produttività italiana riparte e si riavvicina a quella tedesca fino al 1996 quando decidiamo di rivalutare bruscamente per poi fissare definitivamente il cambio e entrare nell’euro. La produttività italiana di fatto ha smesso di crescere da quando vent’anni fa è stata presa quella decisione
Thirlwall & Verdoorn vs. Say
Abbiamo visto come i dati ci suggeriscano una storia molto diversa di quella che sentiamo di solito dai media e al bar. La favola secondo cui gli italiani sono per indole improduttivi si squaglia di fronte al fatto che, fino alla fine degli anni ’80, era il nostro paese ad essere più produttivo della Germania. E anche dal 1992 al 1996 la produttività italiana è cresciuta più di quella tedesca. È interessante e inquietante invece notare la coincidenza tra i periodi di stagnazione della produttività e quelli in cui il cambio è stato fissato.
Un semplice caso? Le leggi di Thirlwall e Verdoorn ci dicono di no.
La legge di Thirlwall (di cui abbiamo già parlato qui) ci dice che la crescita dell’economia è proporzionale alla crescita delle esportazioni nette. La legge di Verdoorn invece ci spiega che la crescita della produttività è proporzionale alla crescita dell’economia. Mettendo insieme queste due leggi otteniamo una spiegazione convincente della stagnazione della produttività italiana.
Il cambio fissato a un valore troppo alto per l’economia italiana ha strozzato le crescita delle esportazioni. Questo ha causato un rallentamento della crescita dell’economia che ha causato infine la stagnazione della produttività. Questo è successo prima nello SME e poi con l’euro.
Indipendentemente dai dettagli tecnici il discorso è facile da capire. Se non ho prospettive di vendere per quale motivo dovrei produrre di più? Se ho un bar e ogni mattina arrivano circa 10 clienti all’ora perché dovrei mettermi a produrre 20 caffè?
La produttività dipende dalla domanda. Se aumenta la domanda dei miei beni mi metterò a produrne di più, altrimenti no.
Semplice, ma impossibile da accettare per tutti i neo-liberisti, che di neo hanno ben poco visto che si basano su teorie economiche che hanno più di 100 anni. Loro credono fermamente nella legge di Say.
Sono convinti che la produzione di beni crei necessariamente la loro domanda, quindi, per definizione si vende tutto quello che si produce e più si produce più si vende, sempre e comunque.
Noi abbiamo affidato le sorti del nostro continente a questi squilibrati.
Fonte
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