di Michele Paris
Una bozza di un
decreto presidenziale fatta circolare nei giorni scorsi dalla Casa
Bianca ha aggiunto un nuovo motivo di allarme per i contorni che
minaccia di assumere precocemente l’amministrazione entrante di Donald
Trump. Il documento, non confermato dal portavoce del neo-presidente, è
stato pubblicato mercoledì da New York Times e Washington Post
e sembra gettare le basi per un possibile ritorno alle detenzioni
arbitrarie e alle torture di presunti terroristi da parte della CIA
autorizzate da George W. Bush dopo l’11 settembre 2001.
Vista la
gravità del contenuto della bozza di un provvedimento sui cui Trump
potrebbe mettere la firma nel prossimo futuro, in molti ritengono che la
proposta sia solo un'altra iniziativa per galvanizzare gli ambienti di
estrema destra che hanno sostenuto la sua candidatura.
Il
ripristino dei metodi più estremi della “guerra al terrore” dovrebbe in
effetti fronteggiare svariati ostacoli legali, oltre che politici; ma il
documento in questione, al di là delle smentite, è sintomatico del
dibattito interno a una amministrazione i cui membri, a cominciare dal
presidente, hanno già mostrato pochissimi scrupoli per il diritto
internazionale e le più elementari norme democratiche.
La bozza
di decreto sarebbe stata diffusa da un membro dello staff del segretario
del Consiglio per la Sicurezza Nazionale, il generale Keith Kellogg,
allo scopo di stimolare una discussione interna allo stesso organo della
Casa Bianca. Tra le proposte avanzate c’è appunto la richiesta
sottoposta ai vertici dell’intelligence di studiare la possibile
riapertura di strutture detentive “off-shore”, gestite dalla CIA, dove
riprendere gli interrogatori di presunti terroristi, anche ricorrendo a
metodi di tortura.
Nel piano allo studio figura anche il
trasferimento al lager di Guantanamo di eventuali sospetti, cosa che
l’amministrazione Obama aveva vietato dopo il suo insediamento nel 2009
malgrado la mancata chiusura dello stesso carcere. Nel documento, la
prigione sull’isola di Cuba viene definita “legale”, “sicura” e “umana”,
nonché “conforme” al diritto internazionale.
Il capo
dell’ufficio stampa della Casa Bianca, Sean Spicer, mercoledì in una
conferenza stampa ha detto di non conoscere la provenienza del
documento, ma i due giornali americani che ne hanno dato notizia hanno
citato fonti interne alla nuova amministrazione che si sono dette certe
della sua autenticità.
Il piano così diffuso farebbe parte di una
serie di “ordini esecutivi” che nei giorni successivi all’insediamento
di Trump sono stati prodotti dallo staff presidenziale e per i quali
sono stati richiesti pareri e commenti ai membri della nuova
amministrazione.
A rendere più che probabile l’autenticità del
documento è anche la coincidenza di un’intervista rilasciata nella
serata di mercoledì da Trump alla ABC, durante la quale ha
ribadito la sua disponibilità a tornare ai metodi dell’amministrazione
Bush nella lotta al terrorismo. Come aveva fatto in campagna elettorale,
Trump ha sostenuto che il “waterboarding” e altri metodi violenti usati
dopo l’11 settembre negli interrogatori della CIA su autorizzazione
della Casa Bianca sono del tutto legittimi ed efficaci.
Per il
neo-presidente, se il segretario alla Difesa, generale James Mattis, e
il direttore della CIA, Mike Pompeo, dovessero raccomandare il ritorno a
questi metodi, dalla Casa Bianca non ci sarebbe alcuna opposizione.
Mattis, da parte sua, nonostante i precedenti da comandante delle forze
di occupazione USA in Iraq che lo rendono un potenziale criminale di
guerra, ha escluso il ricorso alle torture durante le recenti audizioni
al Senato per la conferma della sua nomina.
Lo
stesso aveva fatto inizialmente anche Pompeo, ma nelle successive
risposte scritte alle domande dei senatori della commissione Servizi
Segreti è risultato decisamente più ambiguo, dicendosi aperto a ogni
eventualità in base alle necessità della sicurezza nazionale americana.
Nella
stessa bozza di decreto si riconoscono gli ostacoli rappresentati dai
decreti di Obama del 2009 per mettere fine alle torture della CIA.
Queste misure sono state inoltre recepite da un emendamento del 2016
alla legge di bilancio per il Pentagono che vieta il ricorso a tecniche
di interrogatorio non espressamente autorizzate o non previste dal
manuale dell’esercito.
Inoltre, la stessa legge prevede che la Croce Rossa Internazionale
sia informata sulle strutture detentive americane e abbia accesso ai
prigionieri fatti dagli Stati Uniti in un qualsiasi conflitto armato.
L’emendamento
era stato approvato su richiesta del senatore Repubblicano
dell’Arizona, John McCain, e dalla collega Democratica della California,
Dianne Feinstein. I due sono stati tra i primi a criticare il contenuto
del documento reso noto da New York Times e Washington Post.
Entrambi, peraltro, come in pratica tutti coloro che ricoprivano
cariche elettive a Washington durante l’amministrazione Bush, erano
perfettamente al corrente di quanto accadeva per mano degli agenti della
CIA.
L’indignazione ostentata oggi e negli anni successivi alla
chiusura del programma che prevedeva le cosiddette “tecniche avanzate di
interrogatorio” rivela perciò il loro opportunismo politico e il
tentativo di conservare quel minimo di parvenza rimasta agli Stati Uniti
di baluardo dei diritti democratici che Trump, agendo in maniera
sconsiderata, rischia di spazzare via definitivamente.
Non tutti i
membri del Congresso americano sembrano essere comunque sulle posizioni
di McCain e Feinstein. Il deputato Repubblicano dell’Illinois, Adam
Kinzinger, non ha ad esempio escluso il ricorso alle torture in
situazioni di emergenza, verosimilmente nel caso in cui “centinaia di
migliaia di vite siano a rischio”.
Il fatto che la riapertura di
strutture detentive clandestine e illegali, assieme all’uso di torture
durante gli interrogatori, sia tornata in qualche modo al centro della
discussione negli Stati Uniti è un’altra conferma della deriva
ultra-reazionaria del quadro politico americano.
Che ciò accada
al termine di due mandati di un presidente Democratico che continua a
essere celebrato come una sorta di modello di progressismo dai “liberal”
americani è tutt’altro che casuale. Obama ha per molti versi accelerato
il decadimento del clima democratico negli USA, pur vietando
formalmente le torture e i cosiddetti “black sites”, mentre ha garantito
la totale impunità ai responsabili dei crimini commessi nell’ambito
della “guerra al terrore” all’interno dell’amministrazione Bush.
Gli
scenari che si stanno venendo a creare con l’insediamento di Trump alla
Casa Bianca sono ancora più clamorosi alla luce dell’esistenza di un
lunghissimo rapporto sulle torture prodotto anni fa dalla commissione
Servizi Segreti del Senato. Un estratto dello studio era stato
pubblicato nel 2014, dopo anni di dispute tra i vari organi del governo,
e mostrava nel dettaglio il livello di criminalità della CIA e
dell’amministrazione Bush nella gestione dei sospettati di terrorismo.
Mentre
Trump sembra studiare il ritorno degli Stati Uniti a uno dei punti più
bassi della loro storia, quanto meno per quel che riguarda i crimini
ammessi pubblicamente, i leader Repubblicani al Congresso e la sua nuova
amministrazione si stanno d’altra parte adoperando per sopprimere
definitivamente il rapporto del Senato sulle torture impedendone la
diffusione.
Quest’ultimo, infatti, finora non è mai stato reso
pubblico nella sua forma integrale e, se gli sforzi in atto avranno
successo, potrebbe rimanere sconosciuto agli americani anche per i
prossimi decenni.
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