Domenica 22 gennaio Il Giornale titolava: "Papa Francesco: Trump? Pure Hitler fu eletto". Il riferimento era a un'intervista
rilasciata dal Pontefice al quotidiano spagnolo El País nello stesso giorno. Ma
nell'articolo originale quella frase non appare, è frutto di un maquillage
del titolista italiano. Alla domanda su Trump Bergoglio sospendeva anzi
il giudizio («No me gusta anticiparme a los acontecimientos. Veremos
qué hace») e parlava di Hitler solo più avanti, per spiegare al
giornalista come funziona il populismo. Che in Sud America pare sia una
cosa bella, addirittura che abbia a che fare col popolo:
Es lo que llaman los populismos. Que es una palabra equívoca porque en América Latina el populismo tiene otro significado. Allí significa el protagonismo de los pueblos, por ejemplo los movimientos populares. Se organizan entre ellos… es otra cosa. Cuando oía populismo acá no entendía mucho, me perdía hasta que me di cuenta de que eran significados distintos según los lugares.
In Europa è invece una cosa bruttissima, il populismo. E il suo archetipo illustre sarebbe – nientemeno – il nazionalsocialismo tedesco:
Claro, las crisis provocan miedos, alertas. Para mí el ejemplo más típico de los populismos en el sentido europeo de la palabra es el 33 alemán. Después de [Paul von] Hindenburg, la crisis del 30, Alemania destrozada, busca levantarse, busca su identidad, busca un líder, alguien que le devuelva la identidad y hay un muchachito que se llama Adolf Hitler y dice “yo puedo, yo puedo”. Y toda Alemania vota a Hitler. Hitler no robó el poder, fue votado por su pueblo, y después destruyó a su pueblo. Ese es el peligro. En momentos de crisis, no funciona el discernimiento y para mí es una referencia continua. Busquemos un salvador que nos devuelva la identidad y defendámonos con muros, con alambres, con lo que sea, de los otros pueblos que nos puedan quitar la identidad. Y eso es muy grave. Por eso siempre procuro decir: dialoguen entre ustedes, dialoguen entre ustedes. Pero el caso de Alemania en el 33 es típico, un pueblo que estaba en esa crisis, que buscó su identidad y apareció este líder carismático que prometió darles una identidad, y les dio una identidad distorsionada y ya sabemos lo que pasó.
Con il rispetto dovuto al Santo Padre (la cui infallibilità
è fortunatamente circoscritta alle cose di fede), questa storia
ripetuta a pappagallo sui presunti pericoli della democrazia, di un
Hitler che fu eletto o di un Mussolini che fu acclamato, sta incominciando a stracciare.
Tanto. Ma prima di vedere perché cerchiamo di mettere una parola
pedante, e speriamo definitiva, sul giocattolino retorico di chi si fa
saggio denunciando i pericoli della volontà popolare: cioè di quella degli altri.
Come
spesso accade quando ci si accoda ai luoghi comuni, Bergoglio fa
confusione con i riferimenti storici. La «crisis del 30» non avvenne
affatto «después de [Paul von] Hindenburg»: l'ex feldmaresciallo
Hindenburg occupò infatti la presidenza del Reich anche in piena crisi
economica fino alla morte avvenuta il 2 agosto 1934, e fu anzi il
maggiore responsabile istituzionale dell'ascesa di Hitler, avendogli
concesso per primo i pieni poteri con il Reichstagsbrandverordnung (il Decreto dell'incendio del Reichstag) del 28 febbraio 1933.
Ma
è soprattutto falso che «toda Alemania vota a Hitler». Il Partito
Nazionalsocialista Tedesco dei Lavoratori non arrivò mai a prendere neanche la metà
dei voti tedeschi, nemmeno durante le ultime elezioni federali del 5
marzo 1933 (lì raggiunse il 43,9%), quando ormai da mesi le squadracce
naziste imperversavano, aggredivano e minacciavano, e gli esponenti dei
partiti di opposizione più forti erano quasi tutti in carcere o in
esilio. Persino in quel frangente il perseguitato Partito Comunista di
Ernst Thälmann riuscì ad aggiudicarsi il 12,3% dei voti.
Bergoglio
dice che «Hitler no robó el poder, fue votado por su pueblo». Il che
non è solo falso, come si è dimostrato, ma mortificante per
l'interpretazione degli eventi che vuole suggerire. Hitler non ricevette
affatto i poteri semidittatoriali dal «pueblo», ma direttamente dalle
mani dell'aristocratico, filomonarchico e anticomunista Paul von
Hindenburg con un decreto d'emergenza non dettato da necessità e valido sine die,
di dubbia costituzionalità persino per gli standard laschi della
Repubblica di Weimar. Per buona misura Hitler quel potere lo estorse
anche, lo «robó» con le intimidazioni e le violenze delle Sturmabteilung
(SA), un corpo paramilitare criminale per quanto impunito, che
scorrazzava armato anche tra i banchi parlamentari della Krolloper
quando vi fu approvato l'Ermächtigungsgesetz, il Decreto
dei pieni poteri del 23 marzo 1933 che pose definitivamente fine alla
democrazia consegnando tutti i poteri nelle mani del Führer. En passant
quel decreto – e qui capiamo l'imbarazzo di Francesco – passò con i
voti decisivi di un titubante Partito di Centro richiamato all'ordine
dal suo presidente, il sacerdote cattolico Ludwig Kaas, consigliere del
futuro papa Pacelli.
Insomma, a fare di Hitler un dittatore non fu il popolo ma l'élite.
Furono gli Junker prussiani a cui appartenevano lo stesso Hindenburg e
Franz von Papen, il principale sponsor del cancellierato di Hitler poi
appuntato – sicuramente all'insaputa di Francesco – cameriere pontificio
nel 1959 dopo una condanna in patria ai lavori forzati, e i grandi
industriali e proprietari terrieri allarmati dalle crescenti
rivendicazioni sindacali. Ai tanti, troppi, e comunque minoritari tedeschi che votarono Hitler si può certo rimproverare la volontà della dittatura, ma non la sua responsabilità.
A
volerli studiare sui libri e non sui giornali, gli ultimi anni di
Weimar ci offrirebbero davvero una miniera di spunti per decifrare anche
gli eventi politici contemporanei. A partire dal cancellierato di
Heinrich Brüning (1930-1932), l'accademico prestato alla politica che
mise in ginocchio il suo popolo riducendo i salari, aumentando le tasse,
tagliando la spesa pubblica, le pensioni e i sussidi di disoccupazione e
cercando di rimettere in equilibrio la bilancia commerciale con
politiche ferocemente deflattive. Dove lo abbiamo già incontrato?
Se Francesco se ne fosse ricordato forse si sarebbe anche reso conto
che nel «líder carismático» i tedeschi di allora, come tanti europei e
americani di oggi, non si illudevano di trovare «su identitad» (?) ma
qualcuno che li salvasse dalla fame e dalla disoccupazione.
E dove
abbiamo poi rivisto un anzianissimo presidente della repubblica come
Hindenburg che, dopo una vita spesa in politica, utilizza il suo ruolo e
il suo carisma per consegnare la democrazia nelle mani di un «salvador»
avallando la dissoluzione di un governo eletto? Qui la risposta
dovrebbe essere nota a Francesco, avendo egli annoverato l'analogo
nostrano di quel personaggio tra «i grandi dell'Italia di oggi».
E
che dire dell'incendio del Reichstag del 27 febbraio del '33? È mai più
successo che un atto terroristico in un luogo simbolico, seguito da
indagini lacunose e secretate, abbia offerto il destro per limitare le
libertà costituzionali, incarcerare, perseguitare e uccidere in deroga
al diritto interno e internazionale? O che il timore di quegli attacchi
abbia fatto dire a politici e opinionisti che dobbiamo rassegnarci a governi più autoritari? È possibile che nessuno si riveda in quel film, di cui ricordiamo solo il finale?
Possibilissimo.
Delle tante e utili lezioni impartite da quel capitolo di storia ci
ripetiamo solo la più penosa, inopportuna e storicamente infondata:
quella su quanto possa essere pericoloso far votare la gente. E
rattrista osservare che anche un Pontefice si appiattisca sui ritornelli
dei progressisti ignari e creativi, di quelli che nel momento di
massimo attacco alla volontà popolare prestano il braccio ai suoi
carnefici ricordando, e all'occorrenza inventando, gli errori delle masse al voto. Degli stessi di cui si è parlato già in questo blog,
che nello strillare i pericoli della democrazia – che cioè la gente non
vota come voterebbero loro – rievocano il consenso al nazifascismo e
finiscono per partorire concetti di democrazia elitaria circolarmente
identici a quelli teorizzati dal nazifascismo.
Anche quando è inconsapevole, anche quando è à la page, la violenza contro la storia è una violenza contro gli uomini.
È la via per ripeterne gli orrori. Se Francesco non ha tempo di
studiare gli eventi del passato recente e di afferrare l'enormità dei
suoi ricorsi, perlomeno si astenga. A dare la colpa al popolo ci stanno
già riuscendo benissimo altri, anche senza i volenterosi assist del "Papa del popolo".
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