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28/01/2017

Quelli che la democrazia ci ha dato il nazismo (ridaje)

Domenica 22 gennaio Il Giornale titolava: "Papa Francesco: Trump? Pure Hitler fu eletto". Il riferimento era a un'intervista rilasciata dal Pontefice al quotidiano spagnolo El País nello stesso giorno. Ma nell'articolo originale quella frase non appare, è frutto di un maquillage del titolista italiano. Alla domanda su Trump Bergoglio sospendeva anzi il giudizio («No me gusta anticiparme a los acontecimientos. Veremos qué hace») e parlava di Hitler solo più avanti, per spiegare al giornalista come funziona il populismo. Che in Sud America pare sia una cosa bella, addirittura che abbia a che fare col popolo:
Es lo que llaman los populismos. Que es una palabra equívoca porque en América Latina el populismo tiene otro significado. Allí significa el protagonismo de los pueblos, por ejemplo los movimientos populares. Se organizan entre ellos… es otra cosa. Cuando oía populismo acá no entendía mucho, me perdía hasta que me di cuenta de que eran significados distintos según los lugares.
In Europa è invece una cosa bruttissima, il populismo. E il suo archetipo illustre sarebbe – nientemeno – il nazionalsocialismo tedesco:
Claro, las crisis provocan miedos, alertas. Para mí el ejemplo más típico de los populismos en el sentido europeo de la palabra es el 33 alemán. Después de [Paul von] Hindenburg, la crisis del 30, Alemania destrozada, busca levantarse, busca su identidad, busca un líder, alguien que le devuelva la identidad y hay un muchachito que se llama Adolf Hitler y dice “yo puedo, yo puedo”. Y toda Alemania vota a Hitler. Hitler no robó el poder, fue votado por su pueblo, y después destruyó a su pueblo. Ese es el peligro. En momentos de crisis, no funciona el discernimiento y para mí es una referencia continua. Busquemos un salvador que nos devuelva la identidad y defendámonos con muros, con alambres, con lo que sea, de los otros pueblos que nos puedan quitar la identidad. Y eso es muy grave. Por eso siempre procuro decir: dialoguen entre ustedes, dialoguen entre ustedes. Pero el caso de Alemania en el 33 es típico, un pueblo que estaba en esa crisis, que buscó su identidad y apareció este líder carismático que prometió darles una identidad, y les dio una identidad distorsionada y ya sabemos lo que pasó.
Con il rispetto dovuto al Santo Padre (la cui infallibilità è fortunatamente circoscritta alle cose di fede), questa storia ripetuta a pappagallo sui presunti pericoli della democrazia, di un Hitler che fu eletto o di un Mussolini che fu acclamato, sta incominciando a stracciare. Tanto. Ma prima di vedere perché cerchiamo di mettere una parola pedante, e speriamo definitiva, sul giocattolino retorico di chi si fa saggio denunciando i pericoli della volontà popolare: cioè di quella degli altri.

Come spesso accade quando ci si accoda ai luoghi comuni, Bergoglio fa confusione con i riferimenti storici. La «crisis del 30» non avvenne affatto «después de [Paul von] Hindenburg»: l'ex feldmaresciallo Hindenburg occupò infatti la presidenza del Reich anche in piena crisi economica fino alla morte avvenuta il 2 agosto 1934, e fu anzi il maggiore responsabile istituzionale dell'ascesa di Hitler, avendogli concesso per primo i pieni poteri con il Reichstagsbrandverordnung (il Decreto dell'incendio del Reichstag) del 28 febbraio 1933.

Ma è soprattutto falso che «toda Alemania vota a Hitler». Il Partito Nazionalsocialista Tedesco dei Lavoratori non arrivò mai a prendere neanche la metà dei voti tedeschi, nemmeno durante le ultime elezioni federali del 5 marzo 1933 (lì raggiunse il 43,9%), quando ormai da mesi le squadracce naziste imperversavano, aggredivano e minacciavano, e gli esponenti dei partiti di opposizione più forti erano quasi tutti in carcere o in esilio. Persino in quel frangente il perseguitato Partito Comunista di Ernst Thälmann riuscì ad aggiudicarsi il 12,3% dei voti.

Bergoglio dice che «Hitler no robó el poder, fue votado por su pueblo». Il che non è solo falso, come si è dimostrato, ma mortificante per l'interpretazione degli eventi che vuole suggerire. Hitler non ricevette affatto i poteri semidittatoriali dal «pueblo», ma direttamente dalle mani dell'aristocratico, filomonarchico e anticomunista Paul von Hindenburg con un decreto d'emergenza non dettato da necessità e valido sine die, di dubbia costituzionalità persino per gli standard laschi della Repubblica di Weimar. Per buona misura Hitler quel potere lo estorse anche, lo «robó» con le intimidazioni e le violenze delle Sturmabteilung (SA), un corpo paramilitare criminale per quanto impunito, che scorrazzava armato anche tra i banchi parlamentari della Krolloper quando vi fu approvato l'Ermächtigungsgesetz, il Decreto dei pieni poteri del 23 marzo 1933 che pose definitivamente fine alla democrazia consegnando tutti i poteri nelle mani del Führer. En passant quel decreto – e qui capiamo l'imbarazzo di Francesco – passò con i voti decisivi di un titubante Partito di Centro richiamato all'ordine dal suo presidente, il sacerdote cattolico Ludwig Kaas, consigliere del futuro papa Pacelli.

Insomma, a fare di Hitler un dittatore non fu il popolo ma l'élite. Furono gli Junker prussiani a cui appartenevano lo stesso Hindenburg e Franz von Papen, il principale sponsor del cancellierato di Hitler poi appuntato – sicuramente all'insaputa di Francesco – cameriere pontificio nel 1959 dopo una condanna in patria ai lavori forzati, e i grandi industriali e proprietari terrieri allarmati dalle crescenti rivendicazioni sindacali. Ai tanti, troppi, e comunque minoritari tedeschi che votarono Hitler si può certo rimproverare la volontà della dittatura, ma non la sua responsabilità.

A volerli studiare sui libri e non sui giornali, gli ultimi anni di Weimar ci offrirebbero davvero una miniera di spunti per decifrare anche gli eventi politici contemporanei. A partire dal cancellierato di Heinrich Brüning (1930-1932), l'accademico prestato alla politica che mise in ginocchio il suo popolo riducendo i salari, aumentando le tasse, tagliando la spesa pubblica, le pensioni e i sussidi di disoccupazione e cercando di rimettere in equilibrio la bilancia commerciale con politiche ferocemente deflattive. Dove lo abbiamo già incontrato? Se Francesco se ne fosse ricordato forse si sarebbe anche reso conto che nel «líder carismático» i tedeschi di allora, come tanti europei e americani di oggi, non si illudevano di trovare «su identitad» (?) ma qualcuno che li salvasse dalla fame e dalla disoccupazione.

E dove abbiamo poi rivisto un anzianissimo presidente della repubblica come Hindenburg che, dopo una vita spesa in politica, utilizza il suo ruolo e il suo carisma per consegnare la democrazia nelle mani di un «salvador» avallando la dissoluzione di un governo eletto? Qui la risposta dovrebbe essere nota a Francesco, avendo egli annoverato l'analogo nostrano di quel personaggio tra «i grandi dell'Italia di oggi».

E che dire dell'incendio del Reichstag del 27 febbraio del '33? È mai più successo che un atto terroristico in un luogo simbolico, seguito da indagini lacunose e secretate, abbia offerto il destro per limitare le libertà costituzionali, incarcerare, perseguitare e uccidere in deroga al diritto interno e internazionale? O che il timore di quegli attacchi abbia fatto dire a politici e opinionisti che dobbiamo rassegnarci a governi più autoritari? È possibile che nessuno si riveda in quel film, di cui ricordiamo solo il finale?

Possibilissimo. Delle tante e utili lezioni impartite da quel capitolo di storia ci ripetiamo solo la più penosa, inopportuna e storicamente infondata: quella su quanto possa essere pericoloso far votare la gente. E rattrista osservare che anche un Pontefice si appiattisca sui ritornelli dei progressisti ignari e creativi, di quelli che nel momento di massimo attacco alla volontà popolare prestano il braccio ai suoi carnefici ricordando, e all'occorrenza inventando, gli errori delle masse al voto. Degli stessi di cui si è parlato già in questo blog, che nello strillare i pericoli della democrazia – che cioè la gente non vota come voterebbero loro – rievocano il consenso al nazifascismo e finiscono per partorire concetti di democrazia elitaria circolarmente identici a quelli teorizzati dal nazifascismo.

Anche quando è inconsapevole, anche quando è à la page, la violenza contro la storia è una violenza contro gli uomini. È la via per ripeterne gli orrori. Se Francesco non ha tempo di studiare gli eventi del passato recente e di afferrare l'enormità dei suoi ricorsi, perlomeno si astenga. A dare la colpa al popolo ci stanno già riuscendo benissimo altri, anche senza i volenterosi assist del "Papa del popolo".

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