di Francesca La Bella
L’attuale situazione libica presenta caratteri di difficile
interpretazione. Per quanto molti elementi contribuiscano ad un quadro
di incipiente mutamento, sembra persistere una generale impasse della
politica interna. Numerosi sono sicuramente gli eventi che hanno
attraversato le ultime settimane come l’autobomba esplosa a poca
distanza dall’appena riaperta ambasciata italiana a Tripoli, il tentato
colpo di Stato a Tripoli o l’ultimo attacco statunitense sotto
amministrazione Obama alle postazioni dello Stato Islamico nell’area
limitrofa a Sirte. Parallelamente si è assistito alla crescente presenza
sulla scena politica internazionale del generale dissidente Khalifa
Haftar che, oltre ad aver avuto importanti incontri al vertice come
quello con il presidente russo Vladimir Putin, ha cavalcato l’onda di
sfiducia nei confronti del premier Fayez al Sarraj dichiarando che chi
si è schierato con il Governo di Accordo Nazionale (Gna), come l’Italia,
ha sbagliato parte della storia. Benché questi eventi abbiano
una rilevanza in sé, essi non costituiscono, però, un significativo
mutamento della situazione sul terreno. Possono,
invece, essere letti come parti di un quadro in lenta preparazione che
potrebbe portare, per la prima volta dopo anni, ad un reale mutamento
della situazione libica.
Nei mesi passati, infatti, molti sono
stati gli eventi che hanno cambiato il contesto d’area in cui la
situazione libica si inserisce, andando a rafforzare la posizione del
generale Haftar e di Tobruk. Nuovi finanziatori, tra cui la Cina, si
sono affacciati al mercato libico andando a portare i propri fondi nella
regione Cirenaica e molti attori internazionali hanno espresso il loro
appoggio in maniera più o meno palese per il Governo di Aquila Saleh di
stanza a Tobruk. Attraverso il sistema di alleanze tessuto da
Haftar con il sostegno egiziano e l’enorme potenziale contrattuale dato
dal controllo della mezzaluna petrolifera, il Generale sembra essere
riuscito, progressivamente, a riconquistare la legittimità perduta con
gli accordi di Skhirat. La vittoria di Tripoli contro lo Stato
Islamico a Sirte e la presenza degli Stati Uniti al fianco del Gna
hanno, però, ritardato il collasso del Governo internazionalmente
riconosciuto, permettendo ad Al Sarraj di rimanere alla guida del Paese
nonostante la palese debolezza.
Le variabili esterne sembrano, però,
destinate a mutare nel breve periodo e, grazie alla mediazione/direzione
egiziana, potremmo assistere nei prossimi mesi ad un radicale mutamento
della situazione interna libica. Il neo-presidente Trump, a
differenza del suo predecessore, potrebbe scegliere di avallare la
strategia russa ed egiziana, sostenendo la non-ingerenza ed Haftar.
In questo senso diventa significativo l’incontro tenutosi questo sabato
al Cairo a cui hanno partecipato i Ministri degli Esteri di Egitto,
Tunisia, Algeria, Ciad e Niger oltre a rappresentanti libici, il
Segretario generale della Lega Araba Ahmed Abul-Gheit, l’inviato
dell’Unione Africana Jakaya Kikwete e l’inviato speciale Onu per la
Libia Martin Kobler. Durante il decimo incontro dei Paesi confinanti con
la Libia, il messaggio è stato univoco e indirizzato a porre fine ai
negoziati per iniziare a lavorare per una soluzione del conflitto. Il
Ministro degli Esteri egiziano ha, inoltre, ribadito la contrarietà ad
una soluzione militare e il sostegno all’accordo di Skhirat. Un
passaggio importante in quanto non viene negata la valenza del tentativo
di unità nazionale, ma si mette, anche se non esplicitamente, in dubbio
la guida di questo processo, aprendo ad un dialogo preferenziale con
Tobruk.
Nelle prossime settimane potremmo,
dunque, assistere ad un’evoluzione della situazione libica e ad un
riassestamento degli equilibri a favore delle regioni orientali, ma
questo non deve far pensare che un semplice mutamento al vertice possa
portare la stabilità statuale persa dopo la caduta di Muhammar Gheddafi.
Per quanto Tobruk, sostenuto diplomaticamente e
finanziariamente a livello internazionale e solido sul proprio
territorio, possa avere la capacità di allargare la propria sfera di
influenza al di fuori dei confini della Cirenaica e prendere la guida
del Paese, molti gruppi come le milizie di Misurata potrebbero scegliere
di non avallare il progetto del Generale, creando nuove falle nella
sicurezza del Paese. Nonostante questo, se davvero Haftar dovesse
riuscire a prendere la guida del Paese, il mutamento sarebbe radicale.
Da un lato, la relazione Libia-Egitto ne uscirebbe enormemente
rafforzata con immediate ricadute positive su entrambi i mercati, in
particolare nel settore degli idrocarburi. Dall’altro, la lotta contro
le fazioni islamiche diventerebbe ancor più cruenta e non farebbe
distinzione tra ciò che è Stato Islamico e ciò che non lo è, creando i
presupposti per una repressione di ampio raggio sul modello egiziano.
Nessun commento:
Posta un commento