Nel secondo giorno di vertice sulla Siria in corso ad Astana
(Kazakhstan) si sarebbe compiuto un passo, seppur timido, in avanti.
Secondo quanto riferisce l’agenzia di stampa turca Anadolu, infatti,
Turchia, Russia e Iran avrebbero raggiunto un accordo su un meccanismo
di controllo che monitorerà e farà applicare il cessate il fuoco. In
pratica, spiega Anadolu, il sistema permetterebbe ai tre paesi
di rispondere “immediatamente” alle eventuali violazioni della tregua
grazie all’influenza che hanno sulle parti belligeranti. Il
condizionale è d’obbligo perché questa notizia è frutto di
un’indiscrezione giunta all’agenzia turca e, nel momento in cui vi
scriviamo, non è stata ancora ufficializzata. Anadolu scrive che questo
accordo farà parte di uno dei punti della dichiarazione congiunta che
sarà pubblicata nella giornata di oggi.
Se confermata la notizia, saremmo di fronte ad un inatteso (seppur modesto) progresso dei negoziati.
Il summit ad Astana, infatti, si era aperto ieri nel peggiore dei modi
con uno scambio di accuse e di incontri separati tra la delegazione del
regime e quella delle opposizioni. Particolarmente duro è stato
il capo dei “ribelli”, il salafita Mohammed Alloush (leader di Jaish
al-Islam), che ha chiesto l’inserimento del presidente siriano Bashar
al-Asad e dei libanesi di Hezbollah nella lista dei terroristi globali.
Dal canto loro i russi in serata hanno fatto sapere che nel documento
finale si chiederà (meglio dire si ripeterà) ai gruppi armati presenti
in Kazakistan di prendere ufficialmente le distanze dai qa’edisti
dell’ex an-Nusra (oggi Fronte Fateh ash-Sham).
Al vertice spicca l’assenza degli Stati Uniti, di fatto
estromessi dal conflitto siriano dall’intervento diplomatico di Russia,
Turchia e Iran sostenuto dall’Onu. Ieri, però, il ministero
della Difesa russo ha tenuto a precisare che Mosca e la coalizione
internazionale a guida Usa hanno compiuto raid congiunti in chiave
anti-“califfato”. Se confermata da Washington, la notizia manda un
doppio messaggio politico: dopo i recenti successi militari dell’alleato
al-Asad, Mosca non solo è la principale potenza ad agire in Siria, ma è
ormai anche una forza accettata (volente o nolente) dall’Occidente al
punto da combattere al suo fianco contro lo “Stato Islamico”. Non può
più, dunque, essere screditata o posta ai margini nello scacchiere
mediorientale.
Il passo in avanti che Iran, Turchia e Russia starebbero
raggiungendo in queste ore ad Astana non deve trarre in inganno: tra
Istanbul e Mosca restano diverse divergenze. Evidenti, a tal
riguardo, sono le dichiarazioni di oggi del vice-primo ministro turco
Numan Kurulmus secondo cui la Turchia non consegnerà la cittadina
siriana di al-Bab all’amministrazione di al-Asad una volta liberata
dagli uomini del “califfo”. Ad Anadolu, Kurtulmus ha poi spiegato che la
Turchia ha lanciato lo scorso agosto la sua offensiva militare nel nord
della Siria (“Operazione Eufrate”) per per proteggere i suoi confini
dalle minacce terroristiche. Per Ankara non tanto rappresentate dai
jihadisti, ma soprattutto dai curdi del Rojava e del Pkk. Oggi lo
stato Maggiore turco ha voluto fornire alcuni dati sulla sua spedizione
in terra siriana: in 154 giorni di combattimenti, l’esercito ha colpito
107 posizioni dell’Is uccidendo un numero imprecisato di estremisti
islamici. Soltanto nella giornata di ieri 24 miliziani hanno perso la
vita negli scontri con i turchi.
L’assenza dei curdi al summit di Astana – regalo russo ad
Ankara che teme un loro stato indipendente nel nord della Siria – è
sicuramente uno dei principali limiti del vertice in Kazakhstan.
Ieri le unità di protezione popolare (YPG), braccio armato del Partito
di Unione democratica siriana, hanno ribadito di non sentirsi affatto
vincolate dalle decisioni prese in queste ore al summit kazakho.
“Siccome non partecipiamo ai suoi lavori, non ne rispetteremo le sue
decisioni” si legge in una nota rilasciata dalla milizia. Non le
rispetteranno nemmeno lo Stato Islamico e i qa’edisti dell’ex an-Nusra
del Fronte Fateh ash-Sham (ufficialmente non più vicini ad alQa’eda)
escluse anche loro dal vertice perché gruppi considerati “terroristi”
dalla comunità internazionale. E’ sicuramente importante sottolineare
come rispetto ai vertici precedenti, l’insistenza dei ribelli è per lo
più per il mantenimento del cessate-il-fuoco e non più per la cacciata
di al-Asad. Un cambio non solo linguistico, ma che rispecchia la mutata
situazione politica sul campo che vede le forze del presidente siriano
avanzare lentamente (grazie soprattutto al contributo russo).
Mentre la diplomazia si muove a passo di tartaruga, le condizioni umanitarie ed economiche del Paese continuano a peggiorare.
Oggi in Finlandia l’Onu ha chiesto per quest’anno più di 8 miliardi di
dollari di aiuti per gli sfollati siriani. Di questa somma, 4,63 miliari
di dollari spetterebbero ai circa 4,8 milioni di rifugiati all’estero (principalmente in Libano, Giordania, Iraq e
Turchia), il resto a chi è profugo interno. Intervenendo all’incontro
finlandese, il capo dell’Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari
umanitari, Stephen O’Brien, non ha nascosto i suoi timori: “la guerra
peggiorerà”.
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