Presentazione


Aggregatore d'analisi, opinioni, fatti e (non troppo di rado) musica.
Cerco

28/01/2017

Il complesso culturale neoliberale (fallito)

Il messaggio più evidente (e importante) che si ricava dall’esito del referendum, al di là del contenuto specifico, è una sonora bocciatura delle politiche dettate dal “complesso culturale neoliberale”, scelto inopinatamente come una sorta di mantra dal governo Renzi.
 
Il complesso culturale neoliberale è quel coacervo di idee, che si traducono in provvedimenti politici, centrato sulla convinzione che il “mercato” rappresenti il modello superiore in base al quale regolare tutte le altre attività e relazioni sociali, senza eccezioni.

Questo coacervo ha preso forma negli ultimi anni, anche sotto la spinta di processi come la fine del bipolarismo, la fine (presunta) delle ideologie, l’intensificarsi della cosiddetta deregulation, la perdita di sovranità nazionale in alcuni ambiti come per esempio l’economia, fino a diventare oggi l’ideologia (risorta?) dominante, parte del senso comune, continuamente ribadito in ogni contesto, politico, giornalistico, assunto a mo’ di riferimento indiscusso e indiscutibile da molti esponenti della cosiddetta “classe dirigente” nella società italiana (non solo). Coloro che non lo abbracciano sono ai margini, sono i “gufi” o i “black block” della società, sono incapaci di abbandonare le vecchie ideologie (morte e sepolte).

Rappresentanti massimi di questo coacervo ideologico – d’ora in avanti il “complesso” – sono gli economisti liberisti concentrati in o comunque provenienti da una nota università milanese, in gran numero approdati nelle stanze del Partito democratico, o/e dei consiglieri di Palazzo Chigi, e molto ascoltati dal Governo.

Il jobs act, per fare un esempio, è figlio di questa cornice. La Buona Scuola è un altro esempio. La pessima proposta di Riforma costituzionale, oggetto diretto del Referendum, un altro esempio.

Fra le varie parole chiave ricorrenti che segnalano la presenza (e l’azione) del “complesso” troviamo in pole position il “merito” e la “meritocrazia”, anzi, i “criteri meritocratici”; seguono termini come trasparenza, efficienza, privatizzazione, controllo qualità, branding, auditing, eccellenza, ranking (o valutazione, come si preferisce). L’altra faccia del complesso culturale neoliberale sono le “mancette”: gli 80 euro (la cifra standard che il Governo sembra preferire come concessione fatta a chi è “fascia debole”), i voucher, le tutele crescenti, i “bonus” vari e altre elargizioni del genere.

Ovviamente il “complesso” è diffuso anche fra chi ha assunto la responsabilità della “governance” dell’Università e della Ricerca e, in generale, della trasmissione del sapere. L’università pubblica è il regno degli sprechi, della gestione dissennata, dell’inefficienza; necessita di valutazione, rendicontazione, meritocrazia, si dice. Applichiamo allora le maglie del rigore neoliberale alle Università. Ecco che, a fronte dell’enorme aumento del numero di studenti iscritti negli ultimi anni, in gran parte d’Europa, così come in molte altre parti del mondo, non segue un aumento delle risorse per la didattica e la ricerca, anzi, le risorse vengono ridotte. Troppi studenti, cui non si può che offrire una didattica poco efficace, che non permette loro di entrare nel cuore delle discipline, e li lascia sospesi, così che capita che finiscano con l’andare alla deriva senza arrivare alla laurea o arrivandoci male. La “crociata” contro i fuori corso (o gli abbandoni) è un altro effetto dell’applicazione del “complesso”: se gli studenti non si laureano nei tempi previsti, significa che il corso di laurea cui sono iscritti sfora rispetto ai criteri dell’efficienza, e deve essere penalizzato. Potrei fare molti altri esempi. Diciamo che in genere i politici – e i consiglieri – di scuola neoliberale non sembrano attribuire particolare importanza alla sopravvivenza dei dipartimenti o alla riproduzione delle discipline che si discostano dai parametri.

Pensiamo alla pratica, divenuta di recente molto popolare, sempre come effetto del nostro (si fa per dire) “complesso”, di concentrare consistenti fondi per la ricerca per creare all’istante i cosiddetti “centri di eccellenza”, oppure per “stimolare” ricerca di “qualità” in alcuni, pochi dipartimenti privilegiati, a scapito di molti altri, “sfigati”. E’ il caso delle Cattedre Natta, provvedimento auspicato e sostenuto dal Governo, sempre su emanazione dei consiglieri “liberisti” che citavo prima. L’impressione bonaria è che le decisioni in materia non siano sempre precedute da analisi particolarmente accurate, né da un sia pure moderato ascolto dei diretti interessati.

L’impressione, sempre bonaria, è che una tale propensione a somministrare le ricette migliori per “ripartire”, per avere i “numeri a posto”, non sia risultata gradita a tutti coloro che hanno dovuto subirla, quasi senza poter replicare.

Forse è arrivato il momento – il messaggio referendario mi pare chiaro – in cui (ri)affermare (e ricordare a chi lo avesse dimenticato) che le società non possono funzionare esattamente come le aziende, e che alcuni ambiti in particolare, come le università, per esempio, la scuola, anche, ma ce ne sono molti altri, svolgono dei ruoli culturali (si ricorda il significato di questa parola?) che hanno molte sfaccettature che richiedono un’attenzione particolare, e che entro settori sociali differenti è possibile che le cose funzionino secondo logiche differenti. Il complesso culturale neoliberale esprime una fra le tante possibili logiche che governano le attività umane, quando la si assume come verità assoluta è destinata a fallire perché le persone se ne hanno la possibilità la rifiutano.

Nessun commento:

Posta un commento