Il messaggio più evidente (e importante)
che si ricava dall’esito del referendum, al di là del contenuto
specifico, è una sonora bocciatura delle politiche dettate dal
“complesso culturale neoliberale”, scelto inopinatamente come una sorta
di mantra dal governo Renzi.
Il complesso culturale neoliberale è
quel coacervo di idee, che si traducono in provvedimenti politici,
centrato sulla convinzione che il “mercato” rappresenti il modello
superiore in base al quale regolare tutte le altre attività e relazioni
sociali, senza eccezioni.
Questo coacervo ha preso forma negli
ultimi anni, anche sotto la spinta di processi come la fine del
bipolarismo, la fine (presunta) delle ideologie, l’intensificarsi della
cosiddetta deregulation, la perdita di sovranità nazionale in
alcuni ambiti come per esempio l’economia, fino a diventare oggi
l’ideologia (risorta?) dominante, parte del senso comune, continuamente
ribadito in ogni contesto, politico, giornalistico, assunto a mo’ di
riferimento indiscusso e indiscutibile da molti esponenti della
cosiddetta “classe dirigente” nella società italiana (non solo). Coloro
che non lo abbracciano sono ai margini, sono i “gufi” o i “black block”
della società, sono incapaci di abbandonare le vecchie ideologie (morte e
sepolte).
Rappresentanti massimi di questo
coacervo ideologico – d’ora in avanti il “complesso” – sono gli
economisti liberisti concentrati in o comunque provenienti da una nota
università milanese, in gran numero approdati nelle stanze del Partito
democratico, o/e dei consiglieri di Palazzo Chigi, e molto ascoltati dal
Governo.
Il jobs act, per fare un esempio, è figlio di questa cornice. La Buona Scuola è un altro esempio. La pessima proposta di Riforma costituzionale, oggetto diretto del Referendum, un altro esempio.
Fra le varie parole chiave ricorrenti
che segnalano la presenza (e l’azione) del “complesso” troviamo in pole
position il “merito” e la “meritocrazia”, anzi, i “criteri
meritocratici”; seguono termini come trasparenza, efficienza,
privatizzazione, controllo qualità, branding, auditing, eccellenza, ranking
(o valutazione, come si preferisce). L’altra faccia del complesso
culturale neoliberale sono le “mancette”: gli 80 euro (la cifra standard
che il Governo sembra preferire come concessione fatta a chi è “fascia
debole”), i voucher, le tutele crescenti, i “bonus” vari e altre elargizioni del genere.
Ovviamente il “complesso” è diffuso
anche fra chi ha assunto la responsabilità della “governance”
dell’Università e della Ricerca e, in generale, della trasmissione del
sapere. L’università pubblica è il regno degli sprechi, della gestione
dissennata, dell’inefficienza; necessita di valutazione,
rendicontazione, meritocrazia, si dice. Applichiamo allora le maglie del
rigore neoliberale alle Università. Ecco che, a fronte dell’enorme
aumento del numero di studenti iscritti negli ultimi anni, in gran parte
d’Europa, così come in molte altre parti del mondo, non segue un
aumento delle risorse per la didattica e la ricerca, anzi, le risorse
vengono ridotte. Troppi studenti, cui non si può che offrire una
didattica poco efficace, che non permette loro di entrare nel cuore
delle discipline, e li lascia sospesi, così che capita che finiscano con
l’andare alla deriva senza arrivare alla laurea o arrivandoci male. La
“crociata” contro i fuori corso (o gli abbandoni) è un altro effetto
dell’applicazione del “complesso”: se gli studenti non si laureano nei
tempi previsti, significa che il corso di laurea cui sono iscritti sfora
rispetto ai criteri dell’efficienza, e deve essere penalizzato. Potrei
fare molti altri esempi. Diciamo che in genere i politici – e i
consiglieri – di scuola neoliberale non sembrano attribuire particolare
importanza alla sopravvivenza dei dipartimenti o alla riproduzione delle
discipline che si discostano dai parametri.
Pensiamo alla pratica, divenuta di
recente molto popolare, sempre come effetto del nostro (si fa per dire)
“complesso”, di concentrare consistenti fondi per la ricerca per creare
all’istante i cosiddetti “centri di eccellenza”, oppure per “stimolare”
ricerca di “qualità” in alcuni, pochi dipartimenti privilegiati, a
scapito di molti altri, “sfigati”. E’ il caso delle Cattedre Natta,
provvedimento auspicato e sostenuto dal Governo, sempre su emanazione
dei consiglieri “liberisti” che citavo prima. L’impressione bonaria è
che le decisioni in materia non siano sempre precedute da analisi
particolarmente accurate, né da un sia pure moderato ascolto dei diretti
interessati.
L’impressione, sempre bonaria, è che una
tale propensione a somministrare le ricette migliori per “ripartire”,
per avere i “numeri a posto”, non sia risultata gradita a tutti coloro
che hanno dovuto subirla, quasi senza poter replicare.
Forse è arrivato il momento – il
messaggio referendario mi pare chiaro – in cui (ri)affermare (e
ricordare a chi lo avesse dimenticato) che le società non possono
funzionare esattamente come le aziende, e che alcuni ambiti in
particolare, come le università, per esempio, la scuola, anche, ma ce ne
sono molti altri, svolgono dei ruoli culturali (si ricorda il
significato di questa parola?) che hanno molte sfaccettature che
richiedono un’attenzione particolare, e che entro settori sociali
differenti è possibile che le cose funzionino secondo logiche
differenti. Il complesso culturale neoliberale esprime una fra le tante
possibili logiche che governano le attività umane, quando la si assume
come verità assoluta è destinata a fallire perché le persone se ne hanno
la possibilità la rifiutano.
Nessun commento:
Posta un commento