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24/01/2017

La Brexit di nuovo in mano al Parlamento britannico

La patria della democrazia moderna certifica il limite della democrazia stessa quando a dominare è il capitale multinazionale; insomma, quando il potere più forte è un interesse senza patria, né legge, né cervello.

La Corte Suprema britannica ha respinto il ricorso della premier Theresa May, che intendeva avviare la procedura ufficiale della Brexit e aprire dunque le trattative con l'Unione Europea senza passare per un voto parlamentare. In altri termini, la Corte doveva decidere se prevale la volontà sovrana e diretta del popolo (che ha votato a larga maggioranza per la Brexit) oppure questa sovranità è stata definitivamente sussunta dal Parlamento.

Ed era ampiamente noto che la maggioranza dei deputati prima del referendum era nettamente a favore del Remain, anche se negli ultimi mesi molti sembrano aver cambiato opinione, preoccupati di guadagnarsi la rielezione (il sistema elettorale britannico è un maggioritario secco di collegio; vince chi prende anche un solo voto in più, a livello locale). Non è insomma detto che sarà un voto contro la Brexit, ma le possibilità sono alte. In quel caso, si avrebbe per la prima volta in regime parlamentare un paese che vuole una cosa e il Parlamento che decide l'opposto. Un primo voto sul tema ci era già stato, dopo il referendum, ma riguardava una semplice mozione non vincolante. Ora invece ci dovrà essere un voto politico decisivo e definitivo.

Nella tanto bistrattata – da Renzi & co. – Costituzione italiana questo pericolo non esiste, in teoria. Il referendum affida infatti all'elettorato l'ultima parola su qualsiasi legge (tranne che per i trattati internazionali, che non per caso sono diventati la chiave per aggirare il controllo democratico e popolare).

Per la Gran Bretagna, in definitiva, si apre una fase di grandissima incertezza politica e istituzionale, dopo secoli in cui questa architettura veniva decantata ovunque come il non plus ultra della democraticità e al tempo stesso della governabilità. Fine del mito, il pantano avvolge Westminster...

Bisogna però capirsi. La Corte Suprema non mette in discussione il risultato del voto popolare (quindi la Brexit ci deve essere), ma le modalità con cui verrà concretizzata quella volontà. In definitiva, il Parlamento potrà e dovrà votare su ogni passo importante della trattativa con l'Unione Europea.

La sentenza complica terribilmente il compito della May, anche perché – in seguito alla decisione a favore di una hard Brexit, senza mezzi termini – il governo conservatore aveva messo in piedi una strategia alla Trump prima ancora che questi la esprimesse. Di fatto, Londra aveva avviato una serie di contatti diplomatici con diversi paesi europei per stringere “trattati commerciali bilaterali”, al di fuori dunque di una trattativa collegiale con tutta l'Unione Europea, che dovrebbe fissare regole uguali per tutti.

Una furbizia degna del vecchio imperialismo britannico, che però non ha fatto i conti con i reali rapporti di forza nel mondo attuale. Pare che a Bruxelles, e soprattutto a Berlino, questa mossa non sia piaciuta affatto, specie per il periodo in cui è venuta a cadere: le elezioni in Olanda, Francia e Germania, con rischi evidenti per la stessa tenuta dell'Unione.

Sembrava tutto così ordinato e semplice, ancorché per nulla democratico. E invece... Benvenuti nel nuovo mondo.

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