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20/01/2017

Iraq - Il muro di Erbil per i nuovi confini curdi

di Chiara Cruciati

Un altro muro si sta sollevando, stavolta a definire la conquista di territorio compiuta negli anni successivi all’avanzata dello Stato Islamico in Iraq. A innalzarlo è il Kurdistan iracheno, come riporta oggi il Guardian: a nord e ad est di Mosul, montagne di terra sono state accumulate a formare una barriera lunga più di mille km.

La barriera correrà da Sinjar, vicino il confine siriano, a Khanaqin, a oriente, nel distretto di Diyala, a pochi passi dalla frontiera con l’Iran. Definirà il territorio sotto il controllo di Erbil. Una mossa che accompagna le dichiarazioni di indipendenza che ormai da tempo caratterizzano la politica kurdo-irachena, ampiamente sostenuta dal vicino alleato turco. Ma è anche una mossa che genererà altre tensioni: da due anni, da quando l’Isis prese Mosul, i peshmerga hanno approfittato della guerra in corso e dell’implosione dell’esercito governativo di Baghdad per ampliare i propri confini verso sud, verso territori che rivendicano come propri.

A partire dalla ricca Kirkuk, città contesa teatro di una violenta arabizzazione sotto Saddam e oggi sottoposta al processo inverso, la kurdizzazione della comunità che ha portato alla fuga o alla cacciata di numerose famiglie arabe. Oggi Kirkuk è gestita amministrativamente da Erbil, controllata dalle sue forze militari, costellata di bandiere kurde e di poster con il volto del presidente Barzani.

Ma Kirkuk non è il limite ultimo: da anni sono in corso scontri violenti tra peshmerga e milizie sciite a sud della città, nella zona di Tuz Khurmatu, dove sono finiti intrappolati nel conflitto interno migliaia di sfollati sunniti scappati dai territori occidentali e da Mosul. E ora gli obiettivi sono le città cristiane di Bartella e Bashiqa, dove i peshmerga stanno consolidando le proprie posizioni dopo la liberazione dal giogo islamista.

Molti, all’epoca della presa di Mosul, mossero accuse aperte ad Erbil: si parlò di un accordo segreto con la leadership del “califfato” che evitasse scontri diretti tra i due con l’Isis più interessato all’inizio ad avanzare verso Baghdad. Ma le difficoltà incontrate dallo Stato Islamico lo hanno fatto ripiegare, spingendolo verso nord-est e aprendo il fronte con il Kurdistan iracheno. Il primo incontro vis-a-vis fu a Sinjar, nell’agosto 2014, dove la popolazione yazidi assistette impotente al massacro con i peshmerga che si davano alla fuga.

Ma nonostante la perdita della piana di Ninawa, oggi i kurdi iracheni controllano un territorio del 40% più ampio di quello pre-2014. L’obiettivo è chiaro: costringere Baghdad, una volta sradicata la presenza islamista da Mosul, a negoziare territorio e maggiore autonomia. Dietro, cane da guardia, c’è la Turchia che non ha mai allentato il sostegno all’alleato kurdo-iracheno, unica realtà kurda con cui fa affari consistenti e tiene rapporti politici continuativi. In chiave anti-Pkk, principalmente, ma anche con lo scopo di impedire una chiara unità politica e amministrativa del futuro Iraq, a maggioranza sciita e sotto l’ala iraniana.

Lo ha ribadito pochi giorni in un’intervista al Washington Post lo stesso presidente Barzani: “Continueremo a esportare petrolio attraverso la Turchia, Baghdad non ha alcun diritto di lamentarsi o criticare visto che ha deciso illegalmente di tagliare il nostro budget”. Una risposta a metà: il taglio del budget è arrivato dopo l’inizio del trasferimento del greggio di Kirkuk verso Ankara.

“La linea su cui siamo oggi è militare, non politica – dice una fonte governativa di Erbil – Non faremo alcun compromesso su quanto fatto prima del 17 ottobre [data di inizio della controffensiva su Mosul, ndr]”. Insomma, Baghdad dovrà sedersi al tavolo e accettare le conquiste kurde. Target principale resta proprio Sinjar: Erbil intende assumerne il controllo, una posizione strategica a metà tra Mosul e la Siria, a poca distanza dal confine turco. C’è chi guarda a tanta insistenza come al modo per tenere lontani gli uomini del Pkk e delle Ypg, il cui intervento è stato fondamentale alla liberazione della comunità yazidi.

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