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27/01/2017

Ricordando Gerardo Marotta

La morte di Gerardo Marotta sancisce una scissione. Egli aveva fatto parte del Gruppo Gramsci (espulso da Togliatti) che con Guido Piegari voleva pensare il Meridione unito all’intera Italia (l’alleanza tra operai e contadini) contro Giorgio Amendola (con Giorgio Napolitano già a far la sfinge) che invece, partendo dalla riflessione di Salvemini, chiudeva il Pci in un’orbita meridionale che, a distanza di anni, lo ha fatto affondare nel peggiore opportunismo. Successivamente Marotta, con enormi sacrifici personali, aveva fondato e diretto l’Istituto Italiano di studi Filosofici, una gemma della cultura mondiale, capace di far venire nella nostra città i massimi esponenti della filosofia ermeneutica ma anche della scienza (Gadamer, Ricoeur, Hosle, Toth, Prigogine, Tilliette, Popper, Kristeller. Apel, Caianiello, Rubbia, Kramer, Gaiser, Musatti, Gombrich).

Marotta con l’Istituto voleva formare alla politica le giovani generazioni dei napoletani cercando di sanare la ferita prodotta dal fallimento della Rivoluzione Napoletana del 1799 sulla linea dello sforzo degli hegeliani napoletani Bertrando e Silvio Spaventa, il secondo dei quali da ministro represse il brigantaggio e nazionalizzò la rete ferroviaria.

Il tentativo di Marotta era evidentemente impossibile nel suo illuminismo. Le ragioni della situazione storica di Napoli erano molto più complesse e stratificate per poterle risolvere sia pure con il bisturi della cultura. Tuttavia egli si illuse che le cose si stessero mettendo sulla buona strada con l’inizio dell’esperienza della Giunta Bassolino. Invece è stato l’inizio della fine, sia per l’Istituto che per la nostra città. La vicenda dei rifiuti e del biocidio ha annientato l’esperienza Bassolino (e attorno a Marotta si costituì un Gruppo di studio che ha seguito il biocidio con rigore scientifico e passione politica). L’apertura simbolica dell’altra porta del Palazzo Serra di Cassano è stata troppo ottimistica. Nel frattempo il fantasma di Amendola è riemerso all’inizio nei tentativi dei potentati locali di estendere la propria influenza sull’Istituto. Marotta resisterà eroicamente a questo tentativo, non tanto per un atteggiamento personalista quanto nella consapevolezza che questa maggiore relazione con la città avrebbe trasmesso all’Istituto la malattia che esso voleva guarire. Tuttavia questa resistenza lo isolerà e lo esporrà all’invidia della parte della città che non era riuscita ad entrare a Palazzo Serra di Cassano. Saranno le Destre berlusconiane e fasciste ad approfittare di questo isolamento e, in nome dell’austerity a negare all’Istituto i finanziamenti statali necessari per continuare a svolgere la propria attività, nella sostanziale indifferenza della città.

Come già detto il tentativo di Marotta era utopista. Tuttavia proprio il suo irriducibile illuminismo ha evidenziato la faglia culturale e politica su cui la città è posta. Ha cioè delimitato l’arena e posto della questioni a cui non ci possiamo sottrarre. La Lega Nord a suo tempo ha determinato l’allontanamento del Meridione dalla storia del paese, senza che ce ne accorgessimo. Oggi, nell’allegra disperazione che è propria dei napoletani, ci si appella al federalismo (subito più che voluto). Non ci si rende conto (e la morte di Marotta ne è un suggello) che la maggiore distanza dall’Italia è una maggiore distanza dall’Europa. Da questo bisogna prendere le mosse. Napoli è su una faglia tra l’Europa di Maastricht e il Mediterraneo. Questo è un pericolo, ma anche una opportunità. Se il tentativo generoso di Marotta è in parte fallito, è perché la storia della città è stata diversa e forse lo sarà anche il suo futuro. Napoli può essere una vittima di questa Europa. Ma può anche essere la porta verso l’Euro-mediterraneo.

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