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23/01/2017

Destre europee in marcia. Come si combattono?

Immancabilmente, la destra europea più rognosa ha festeggiato a Coblenza la vittoria di Donald Trump, nella convinzione che il vento sia girato dalla sua parte.

L'olandese Geert Wilders (atteso vincitore delle elezioni politiche in marzo), Marine Le Pen, Matteo Salvini, e Frauke Petry – più gruppuscoli minori – si sono visti alla Rhein-Mosel-Halle e lanciato proclami baldanzosi. Con qualche solida chance soltanto i primi due, mentre la leader tedesca dell'Afd e il leghista “Mi metto i doposci per andare in video” possono solo accarezzare il sogno di una prestazione migliore del solito.

Tutti comunque convinti dell'effetto domino che dovrebbe derivare a loro favore dall'accoppiata Brexit-Trump. Naturalmente omettono – tutti – di ricordare l'Oxi al memorandum della Troika in Grecia (che ha aperto la stagione dei rifiuti di massa ai diktat dell'establishment multinazionale, confermando al tempo stesso l'inconsistenza del “riformismo”), così come anche il referendum italiano (che ha avuto una fortissima componente di sinistra, in difesa della Costituzione antifascista oltre che per affossare il ducetto di Rignano).

Le loro parole d'ordine sono state ovviamente contro l'euro e la stessa Unione Europea (quest'ultima con toni molto più sfumati, comunque). Ma ovviamente nessuna traccia di critica al terzo pilastro del dominio imperialista: la Nato.

Il calcolo della destra è evidente, così come il rischio: che si formi davvero un movimento di massa di estrema destra per la prima volta in Europa dalla caduta del nazifascismo.

Che vada combattuto è ovvio. Il problema è come si fa? La domanda cui va data risposta, per agire di conseguenza, è semplice: come si è formato questo pericolo? Non c'è alcun dubbio – lo riconoscono ormai persino i leader europei, quando parlano in casa propria, mentre cambiano linguaggio nei vertici continentali – che l'intreccio tra crisi economica, globalizzazione-delocalizzazione produttiva e austerità abbia alimentato un malessere sociale interclassista, che ha saputo in parte riconoscere il nemico (Unione Europea) e uno degli strumenti (la moneta unica).

In questo “fronte sociale” altamente composito la leadership culturale-ideologica è stata inzialmente esercitata soprattutto dalle destre, che hanno usato i migranti come “nemico fisico”, quello debole e facilmente raggiungibile. Se si ragiona in termini di classi, questa leadership è rappresentata – non dappertutto e in ogni caso non totalmente – dalla piccola e media imprenditoria, quella che sopravvive grazie al mercato interno e non può né esportare, né tantomeno delocalizzare. La saldatura con settori del lavoro dipendente privo di rappresentanza sia sindacale che politica (complice l'asservimento dei “grandi sindacati confederali” e lo spappolamento delle sinistre socialdemocratiche e/o presunte “radicali”) è stata abbastanza semplice. Del resto, in gradi aree dei paesi europei (ma anche degli Stati Uniti), il grosso della “piccola impresa” è fatta di commercianti, esercenti, semiartigiani (officine di riparazione e manutenzione, ecc). Figure sociali insomma immerse nel “popolo” e abituate ad orientarne gli umori con la semplice, economicamente fisiologica, presenza quotidiana.

Figure sociali senza visione, nostalgiche del buon tempo andato, quando potevano guadagnare relativamente molto “mettendo il dito sulla bilancia”. Ora, invece, sono costrette allo sconto, incalzate dalla grande distribuzione multinazionale. Figure sociali dalla visione angusta, individualiste (quindi “anticomuniste” viscerali) e invidiose del grande capitale che le annienta.

Tutto molto vecchio e conosciuto… Ma come si sottrae il nostro blocco sociale – lavoratori dipendenti con qualsiasi tipo di contratto (voucher compresi), partite iva monocommittenti, disoccupati, pensionati, senza casa, ecc – a questa egemonia di destra?

La via facile, offerta immediatamente dai grandi media mainstream del grande capitale, è quella di chiamare a raccolta tutti e chiunque per arrestare “i populismi”, senza più nemmeno distinguere tra quelli di destra, quelli di sinistra (non necessariamente “radicalissimi”) e quelli social-confusi (i grillini, per restare in Italia). E' la via sempre accettata dalle sinistre mosce e senza più idee (da Bertinotti a Sel, agli epigoni di Toni Negri), ed è una via senza uscita. Il traguardo finale è quello di ritrovarsi a difendere l'ordine messo in crisi, e quindi – nel quadro geopolitico attuale, dominato da Usa, Cina e Russa – a sostenere un'integrazione più stretta dell'Unione Europea, la difesa dell'euro, delle politiche di austerità (magari appena un po' addolcite) e della Nato (magari sotto forma di “esercito comune europeo”, per cui del resto stanno già lavorando). Ci si ritrova insomma a mettersi contro il proprio blocco sociale (massacrato dall'integrazione europea ordoliberista, dall'austerità e dal differenziale di produttività che rende l'euro un vantaggio per l'industria tedesca e una maledizione per tutti gli altri) facendo da spalla al capitale multinazionale neoliberista, ricco di plusvalenze ma povero di “truppe sociali”.

Volete un esempio più chiaro? Volete un'immagine? Eccola: Bertinotti seduto sulla poltrona di presidente della Camera, conteso da tutti i salotti della Roma bene, mentre i suoi elettori venivano maciullati dal “pacchetto Treu”, prima falla legislativa nella diga dei diritti dei lavoratori in questo paese.

La destra estrema si combatte a livello sociale, costruendo un movimento di massa esplicitamente contro i nemici veri: Unione Europea, euro e Nato. E' una via faticosa e difficile? Certamente. Ma storicamente si è dimostrata l'unica in grado di contrastare e sconfiggere i fascismi storici.

Soprattutto è l'unico modo di organizzare i nostri in modo indipendente e razionale, con una visione internazionalista e non “da piccolo cortile”. E' l'unico modo di non ritrovarsi ancora una volta con il nemico che marcia alla nostra testa.

E' l'esperienza positiva che abbiamo fatto con il no sociale alla controriforma costituzionale. E' la strada che cerchiamo di percorrere partecipando alla Piattaforma sociale Eurostop. C'è bisogno della partecipazione di tutti, ma si parte dalla chiarezza. Le scorciatoie, in territori impervi, portano quasi sempre nel baratro...

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