Il venditore di pentole toscano è momentaneamente sparito dai radar, ma gli effetti delle sue “riforme” ci gravano addosso come macigni.
I dati sull'occupazione pubblicati stamattina dall'Istat demoliscono definitivamente la retorica renziana – proseguita molto più sommessamente dal governo-fotocopia – per cui l'eliminazione di una lunghissima serie di tutele per i lavoratori fosse “necessaria per dare più lavoro ai giovani”. Sono le stesse frasi che hanno usato nel tempo Dini, Ciampi, Prodi, Berlusconi, D'Alema, Monti e Letta (tutti i premier degli ultimi 25 anni, di fatto). E il risultato è qui, inoppugnabile, davanti agli occhi di tutti: la disoccupazione giovanile supera nuovamente il 40%, attestandosi al 40,1.
E questo nonostante l'Istat abbia adottato per la prima volta “un'analisi dell'effetto della componente demografica sulle variazioni tendenziali dell'occupazione per classe di età”. Da cui risulta che “sul calo degli occupati di 15-49 anni (-168 mila unità) influisce in modo decisivo la diminuzione della popolazione in questa classe di età”.
La statistica è una disciplina seria, ancorché ostica come tutte le discipline matematiche; e quindi occorre imparare a distinguere. Gli occupati tra i 16 e i 49 anni sono infatti – per motivi demografici, causa la diminuzione del numero di figli per famiglia – in calo diciamo, così, “naturale”. Ma se in questa amplissima fascia di età anche i disoccupati vanno aumentando, allora significa che di posti di lavoro ne vengono creati davvero pochi...
Il tasso di occupazione (la percentuale di lavoratori in servizio sul totale della popolazione in età da lavoro, 15-65 anni) è definita stabile al 57,3%. Il che significa che circa il 42,7% è senza un'occupazione retribuita di qualsiasi genere. Possiamo anche “scremare” questa percentuale abissale di disoccupati reali togliendo gli inabili al lavoro per qualsiasi ragione (invalidi, carcerati, ecc), ma resta comunque una cifra agghiacciante.
I criteri statistici europei impongono però una distinzione che vorrebbe essere “tranquillizzante” tra disoccupati ufficiali (le persone in cerca di lavoro, iscritte ai Centri per l'impiego) e gli inattivi, che neanche lo cercano ma – presumibilmente – non rientrano tra i felici pochi che vivono di rendita. In questo modo il tasso di disoccupazione si ferma al comunque terribile 12% (senza variazioni rispetto al mese scorso), mentre anche il tasso di inattività è stabile al 34,8%. Con lo stesso criterio, negli Stati Uniti, si “minimizza” una disoccupazione reale che sfiora ormai i 100 milioni di persone...
La cosa sorprendente, in tanta stabilità, è che invece si sono verificati spostamenti rilevanti tra le diverse componenti. Ad esempio, “Nel periodo ottobre-dicembre alla sostanziale stabilità degli occupati si accompagna la crescita dei disoccupati (+2,6%, pari a +78 mila) e il calo delle persone inattive (-0,6%, pari a -78 mila)”. Si deve sottolineare la perfetta identità della cifra assoluta (78.000) tra meno inattivi e più disoccupati; come se quelle persone si fossero decise finalmente a cercare un lavoro, ma con esiti totalmente negativi. Naturalmente nella realtà sociale non si tratta esattamente delle stesse persone, ma i numeri totali segnalano un fenomeno di questo tipo.
Ma è su base annua che i numeri della statistica mettono in imbarazzo la logica comune: “Su base annua, a dicembre si conferma la tendenza all'aumento del numero di occupati (+1,1% su dicembre 2015, pari a +242 mila). La crescita tendenziale è attribuibile ai lavoratori dipendenti (+266 mila, di cui +111 mila i permanenti, +155 mila quelli a termine) e coinvolge sia le donne sia gli uomini, concentrandosi tra gli ultracinquantenni (+410 mila). Nello stesso periodo aumentano i disoccupati (+4,9%, pari a +144 mila) e calano gli inattivi (-3,4%, pari a -478 mila).”
Come fanno ad aumentare simultaneamente – nel corso dell'anno – sia gli occupati che i disoccupati? Con il calo degli inattivi, appunto. Si può infatti notare che in cifra assoluta (478mila) questo calo è superiore alla somma di nuovi disoccupati e nuovi occupati (242.000+144.000=386.000). In altri termini, se la maggioranza degli inattivi decidesse di mettersi sul mercato del lavoro il numero e la percentuale dei disoccupati ufficiali esploderebbe, avvicinando la realtà statistica alla società reale.
Le ultime due tendenze rilevanti certificate dall'Istat riguardano il calo dell'occupazione femminile in qualsiasi fascia di età (ad eccezione delle 25-34enni) e l'aumento dell'occupazione tra gli ultra cinquantenni. Qui i criteri balzani della statistica europea c'entrano poco. Questo aumento, che data ormai da qualche anno, è l'effetto di due processi diversi ma convergenti: da un lato le “riforme delle pensioni” che hanno innalzato l'età pensionabile oltre i 66 anni (con la Fornero), dall'altro il carattere per molti versi “antico” della manifattura italiana, per cui i lavoratori esperti sono preferiti dalle imprese rispetto a quelli più giovani. Tranne che per le mansioni di pura fatica, ovviamente, a bassissima specializzazione e velocissima sostituzione.
Il rapporto completo dell'Istat: CS_Occupati_e_disoccupati_dicembre_2016
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