Il mutamento prodotto dalla globalizzazione è riconosciuto formalmente ma, in effetti, non compreso. Questo riguarda in particolare la sinistra
che, agli inizi degli anni novanta, si è divisa fra l’ala che ha
accettato l’egemonia culturale neo liberista, rinunciando ad ogni
alterità politica rispetto alla destra, ed anche al più blando
riformismo, e quella identitaria che ha mantenuto la sua opposizione al
sistema capitalistico, ma senza alcun tentativo di capire le novità
dell’ipercapitalismo finanziario.
Nella maggior parte dei casi, le formazioni della
sinistra cosiddetta radicale (Linke, Front de Gauche, Rifondazione
Comunista, Izquierda Unida ecc.) si sono limitate a ripetere
stancamente gli slogan di sempre (dalla riduzione dell’orario di lavoro
alla richiesta di una maggiore giustizia fiscale, alla difesa degli
istituti del welfare, un internazionalismo privo di spessore analitico,
il rifiuto della guerra ecc.) ma senza mai articolare il discorso nel
quadro delle condizioni presenti.
La conferma è venuta dall’assenza di una linea credibile di fronte
alla crisi, rispetto alla quale si sono proposte analisi fuori del tempo
come quella da sovra produzione*, ignorando del tutto la radice
iperfinanziaria del processo in atto.
Ed infatti, la crisi ha gonfiato le vele delle nuove formazioni populiste,
non quelle della sinistra che non ha avuto alcuna proposta da fare e,
nell’unica occasione in cui ha beneficiato del crollo della sinistra
tradizionale, in Grecia, Syriza si è esibita in una penosa resa ai
diktat della tecnocrazia europea.
In verità neppure i populisti hanno alcuna credibile proposta per
uscire dalla crisi o una qualsiasi analisi del nuovo potere finanziario,
ma, per spingerle, almeno per ora, basta cavalcare la reazione livida
verso la globalizzazione ed in particolare contro l’immigrazione
accompagnate da qualche generica critica verso i poteri finanziari.
La sinistra è oggi marginale perché non è più capace di egemonia culturale
e non è capace di egemonia perché da troppo tempo non produce cultura
politica ed esprime attraverso un ceto politico meno che mediocre.
Da quanto tempo la cosiddetta “sinistra radicale” non produce una
rivista teorica degna di essere presa in considerazione? Salvo il
Manifesto che ancora produce pagine di qualche valore teorico e di
inchiesta, da quanto tempo la cd “sinistra radicale” non produce nemmeno
una qualche pubblicazione con articoli di qualche valore anche solo
informativo? Da quanto tempo non assistiamo ad un qualche dibattito
strategico di ampio respiro come quelli che la sinistra seppe fare fra
gli anni cinquanta ed i settanta? Alzi la mano chi si ricordi di un
convegno minimamente decente dagli anni ottanta ad oggi. Ed anche sul
web i siti della sinistra radicale non superano il livello di un
bollettino parrocchiale.**
Mi si dirà che riviste teoriche, convegno e dibattiti non se ne
vedono neppure a destra o fra i 5 stelle. Verissimo, ma si tratta di due
cose molto diverse fra loro e molto diverse dalla sinistra.
La destra non ha bisogno di riviste e convegni di partito
perché ha altri canali per definire i suoi orizzonti strategici come
l’Aspen, la Trilateral, il Bilderberg, la Heritage Foundation o alcune
istituzioni universitarie americane (e, peraltro, anche queste culture
politiche hanno il fiato grosso davanti alla crisi apertasi nel 2008).
Quanto ai 5 stelle, per ora c’è solo il contributo personale di
Gianroberto Casaleggio che si sostanzia in una riflessione non priva di
interesse sul nesso democrazia diretta-rete web, con incursioni nel
campo della futurologia, ma si tratta di una riflessione sfortunatamente
interrotta dalla morte prematura del suo autore che presenta aspetti
disorganici ed insieme carattere unidimensionale, per quel che riguarda
il fenomeno della rete.
Certamente resta comunque un pensiero meritevole di attenzione, ma in
un deserto di discussione teorica che, anzi, è vista con diffidenza se
non ostilità perché genericamente etichettata come “ideologia”. Per ora i
5 stelle si giovano della crisi e degli errori delle classi dominanti
(oltre che delle intuizioni di Casaleggio sul valore comunicativo della
rete) e mietono successi elettorali senza precedenti, ma ben presto
scopriranno che senza quelle discussioni “ideologiche” che definiscano
una identità politica complessiva una classe dirigente nuova non nasce.
Brutto affare per chi si candidi alla guida di un paese come l’Italia.
Dunque, la ripresa di un livello approfondito di elaborazione politica al livello dei tempi,
che non ignori il potenziale della rete, ma non per questo smetta
strumenti più tradizionali come le riviste, i libri, i convegni di
studio ecc, senza dei quali quella elaborazione non si fa.
Quanto ai contenuti, sarebbe ora che la sinistra andasse oltre gli slogan e cercasse realmente di capire il mondo della globalizzazione che richiede,
in primo luogo, un approccio al pensiero della complessità che non è
una invenzione del neo liberismo ma un approccio metodologico ormai
necessario.
Fonte
* opinabile, molto.
** oddio forse Giannuli avrebbe bisogno di navigare oltre i soliti click, a meno che per sinistra radicale non intenda soltanto quella ancora gravitante intorno alle istituzioni, in quel caso gli posso dare ragione, ma il discorso presenta comunque la tara di considerare sinistra e soprattutto, soggetti ancora potenzialmente utili, quelli che nei fatti, quando va bene sono neutri, quando va male fanno danni.
Nessun commento:
Posta un commento