E' morto stanotte Valentino Parlato, tra i fondatori del quotidiano "il manifesto" (e anche le minuscole, una volta, avevano il loro senso, di rispetto "ubi maior"), più volte direttore, innumerevoli volte "garante" dei precari equilibri interni, presidente della cooperativa editoriale che ha chiuso i battenti cinque anni fa.
Nato a Tripoli, in Libia, era rimasto amico di Gheddafi nonostante fosse stato espulso dal Protettorato inglese e costretto a tornare in patria, per poi rientrare a documentare la "rivoluzione verde". Iscritto fin da giovanissimo al Partito Comunista Italiano, aveva lavorato a l'Unità ed era arrivato a far parte del Comitato Centrale, fin quando ne era stato radiato insieme a tutto il gruppo che aveva dato vita alla rivista "il manifesto" (Rossana Rossanda, Luigi Pintor, Lucio Magri, Michelangelo Notarianni, Aldo Natoli, Luciana Castellina, Lidia Menapace, ecc). Avevano criticato – come tutto il movimento comunista extraparlamentare d'allora – l'invasione della Cecoslovacchia da parte dell'esercito brezneviano.
Un'onta portata a termine da Armando Cossutta, senza che Pietro Ingrao muovesse un dito pur essendo stato il nume tutelare – sul piano intellettuale e politico – del gruppo dei radiati.
Il clima di quegli anni trasformò però l'espulsione dal "grande partito" in avventura politica e giornalistica capace di resistere, tra alterne vicende, per oltre 40 anni.
Inutile ricordare ora quanto "moderata" sia sempre stata la linea di quel giornale (per qualche tempo anche movimento politico organizzato), capace comunque di offrire una sponda democratica anche in anni di repressione poliziesca durissima, di stragi di stato, di Pci trasformato in polizia supplementare contro i movimenti. In particolare, va ricordata la candidatura offerta a Pietro Valpreda mentre ancora era tra gli imputati al processo per Piazza Fontana. In quel contesto era un gesto chiarissimo, e addirittura rischioso, di solidarietà politica e umana.
Di quel giornale Valentino è sempre stata l'anima. Nelle sue debolezze, nelle sue esagerate concessioni alle mode del tempo, nella ricerca parossistica di un "meno peggio" che non ha mai raggiunto il fondo. Ma anche nell'audacia di prese di posizione fuori dal coro, soprattutto quando c'erano in gioco princìpi importanti. Democratici, naturalmente, ma decisivi.
L'anima del giornale per capacità di mediazione, per la continua ricerca di finanziamenti e finanziatori, senza andare troppo per il sottile (da Gheddafi a Callisto Tanzi, passando per il Banco di Roma guidato da Cesare Geronzi).
L'anima del giornale per la propensione al dialogo con chiunque, anche con il più stupido e volgare degli interlocutori, senza trincerarsi dietro una cultura economica e politica decisamente rilevante, che ne aveva fatto una "promessa" con serie prospettive nella Banca Mondiale.
Non fu trattato altrettanto bene quando la cooperativa storica finì in liquidazione e una parte della redazione diede vita all'attuale gestione della testata, che porta ancora la dicitura "giornale comunista" solo per ragioni di marchio registrato in tribunale.
Un maestro di giornalismo e di scrittura, il volto più simpatico di una storia politica fatta di grandi slanci, di pessime scelte, comunque mai banale fin quando i fondatori sono stati baricentro di una squadra sempre diversa.
Ciao, Valentino. Di sicuro nessuno potrà mai dire che non ti fossi pienamente identificato con l'opera che avevi costruito, dando davvero tutto.
La camera ardente per Valentino Parlato è fissata per venerdì alle 15 alla sala della Protomoteca in Campidoglio. Alle 18 si terrà una cerimonia laica.
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