di Michele Giorgio – Il Manifesto
Il nuovo
ambasciatore americano David Friedman ieri ha provato a placare
l’irritazione del governo israeliano offrendo una rassicurazione: gli
Usa non chiederanno un congelamento della costruzione delle colonie
ebraiche in Cisgiordania e a Gerusalemme Est.
Una pietanza dolce per togliere l’amaro di bocca al premier israeliano Netanyahu e ai suoi ministri. Dopo
l’entusiasmo seguito all’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca, i
leader israeliani si sono resi conto che il nuovo presidente americano
non si discosterà più di tanto dalla linea che i suoi predecessori hanno
seguito nei confronti della questione israelo-palestinese.
Certo con Trump per i palestinesi la notte è sempre più buia. Il tycoon
tutelerà con ancora più forza l’alleanza tra Usa e Israele.
Eppure in Israele serpeggia la delusione per certe posizioni
“prudenti” assunte dal tycoon dopo i proclami fatti in campagna
elettorale, a cominciare dal congelamento, ormai quasi sicuro, del
trasferimento dell’ambasciata Usa da Tel Aviv a Gerusalemme.
Netanyahu contava su uno “storico” annuncio di Trump
all’inizio della prossima settimana, durante la visita che il presidente
farà in Israele e nella Cisgiordania occupata. Invece qualche giorno fa
il Segretario di stato Tillerson ha pompato acqua gelata sugli
entusiasmi israeliani spiegando che il presidente sta valutando
con estrema attenzione i risvolti di un trasferimento della sede
diplomatica a Gerusalemme.
Infine sono giunte le dichiarazioni di un alto funzionario
dell’Amministrazione che ha descritto il Muro del Pianto come parte dei
Territori palestinesi occupati da Israele nel 1967 e la “rivelazione”
fatta da Trump ai russi di informazioni top secret sull’Isis fornite dai
servizi segreti israeliani.
Eloquenti ieri titolo e sommario del quotidiano Yediot Ahronot:
«La fuga di notizie di Trump. Una fonte israeliana: Dovremo riesaminare
quali informazioni daremo agli Usa. In Israele temevano uno sviluppo
del genere. La crisi di Gerusalemme. Alla Casa Bianca si rifiutano di
precisare se il Muro del Pianto sia sotto sovranità israeliana». E
proprio al Muro del Pianto Trump il 22 maggio andrà da solo, quindi non
in compagnia di Netanyahu.
Non sorprende perciò che l’ambasciatore Friedman abbia sottolineato più volte, in una intervista al quotidiano Israel ha-Yom, che la visita che Trump si accinge a compiere in Medio Oriente segnerà una svolta nella politica degli Stati Uniti.
«Non c’è dubbio che la politica di Barack Obama e finita e che il
cambiamento è molto forte», ha detto Friedman «La regione
(mediorientale) ha sofferto perché gli Stati Uniti non conducevano. Il
Presidente viene a correggere questa rotta».
Sul conflitto l’ambasciatore ha spiegato agli israeliani che «gli
Stati Uniti non vi imporranno come dovreste vivere gli uni accanto agli
altri... Quello che il Presidente vuole – ha aggiunto – è vedere le due
parti sedersi assieme senza precondizioni e parlare, nella speranza che
ciò porti alla pace. Punti che probabilmente Trump ha ripetuto ieri a
Netanyahu durante una conversazione telefonica.
Il 23 maggio Trump incontrerà a Betlemme il presidente
dell’Anp Abu Mazen, in una Cisgiordania dove cresce la tensione per le
condizioni dei detenuti palestinesi da un mese in sciopero della fame
nelle carceri israeliane. Martedì notte decine di palestinesi
hanno bloccato una strada nei pressi di Tulkarem fino a quando non è
avvenuto il rilascio di Taha al Irani, uno dei leader del locale campo
profughi, arrestato cinque giorni prima. Un giovane, Ibrahim Rasem, è
stato ferito a Silwad dai colpi esplosi da un colono israeliano dopo che
la sua auto era stato colpita dalle pietre lanciate da ragazzi
palestinesi.
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