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18/05/2017

Israele - L'ambasciatore Friedman rassicura niente stop alle colonie

di Michele Giorgio – Il Manifesto

Il nuovo ambasciatore americano David Friedman ieri ha provato a placare l’irritazione del governo israeliano offrendo una rassicurazione: gli Usa non chiederanno un congelamento della costruzione delle colonie ebraiche in Cisgiordania e a Gerusalemme Est.

Una pietanza dolce per togliere l’amaro di bocca al premier israeliano Netanyahu e ai suoi ministri. Dopo l’entusiasmo seguito all’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca, i leader israeliani si sono resi conto che il nuovo presidente americano non si discosterà più di tanto dalla linea che i suoi predecessori hanno seguito nei confronti della questione israelo-palestinese. Certo con Trump per i palestinesi la notte è sempre più buia. Il tycoon tutelerà con ancora più forza l’alleanza tra Usa e Israele.

Eppure in Israele serpeggia la delusione per certe posizioni “prudenti” assunte dal tycoon dopo i proclami fatti in campagna elettorale, a cominciare dal congelamento, ormai quasi sicuro, del trasferimento dell’ambasciata Usa da Tel Aviv a Gerusalemme.

Netanyahu contava su uno “storico” annuncio di Trump all’inizio della prossima settimana, durante la visita che il presidente farà in Israele e nella Cisgiordania occupata. Invece qualche giorno fa il Segretario di stato Tillerson ha pompato acqua gelata sugli entusiasmi israeliani spiegando che il presidente sta valutando con estrema attenzione i risvolti di un trasferimento della sede diplomatica a Gerusalemme.

Infine sono giunte le dichiarazioni di un alto funzionario dell’Amministrazione che ha descritto il Muro del Pianto come parte dei Territori palestinesi occupati da Israele nel 1967 e la “rivelazione” fatta da Trump ai russi di informazioni top secret sull’Isis fornite dai servizi segreti israeliani.

Eloquenti ieri titolo e sommario del quotidiano Yediot Ahronot: «La fuga di notizie di Trump. Una fonte israeliana: Dovremo riesaminare quali informazioni daremo agli Usa. In Israele temevano uno sviluppo del genere. La crisi di Gerusalemme. Alla Casa Bianca si rifiutano di precisare se il Muro del Pianto sia sotto sovranità israeliana». E proprio al Muro del Pianto Trump il 22 maggio andrà da solo, quindi non in compagnia di Netanyahu.

Non sorprende perciò che l’ambasciatore Friedman abbia sottolineato più volte, in una intervista al quotidiano Israel ha-Yom, che la visita che Trump si accinge a compiere in Medio Oriente segnerà una svolta nella politica degli Stati Uniti. «Non c’è dubbio che la politica di Barack Obama e finita e che il cambiamento è molto forte», ha detto Friedman «La regione (mediorientale) ha sofferto perché gli Stati Uniti non conducevano. Il Presidente viene a correggere questa rotta».

Sul conflitto l’ambasciatore ha spiegato agli israeliani che «gli Stati Uniti non vi imporranno come dovreste vivere gli uni accanto agli altri... Quello che il Presidente vuole – ha aggiunto – è vedere le due parti sedersi assieme senza precondizioni e parlare, nella speranza che ciò porti alla pace. Punti che probabilmente Trump ha ripetuto ieri a Netanyahu durante una conversazione telefonica.

Il 23 maggio Trump incontrerà a Betlemme il presidente dell’Anp Abu Mazen, in una Cisgiordania dove cresce la tensione per le condizioni dei detenuti palestinesi da un mese in sciopero della fame nelle carceri israeliane. Martedì notte decine di palestinesi hanno bloccato una strada nei pressi di Tulkarem fino a quando non è avvenuto il rilascio di Taha al Irani, uno dei leader del locale campo profughi, arrestato cinque giorni prima. Un giovane, Ibrahim Rasem, è stato ferito a Silwad dai colpi esplosi da un colono israeliano dopo che la sua auto era stato colpita dalle pietre lanciate da ragazzi palestinesi.

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