di Gioacchino Toni
L’etimologia
della parola “vampiro” risulta problematica, come documentano le
molteplici ipotesi circa la sua origine, comunque in genere circoscritta
alle lingue dell’Europa orientale. Se nell’intricato folklore dei
non-morti esteuropei si trovano svariati esseri sovrannaturali dalle
identità e dai confini incerti ed a volte sovrapponibili, dagli anni
Trenta del Settecento il termine vampiro in lingua inglese inizia a
connotare significati e associazioni ben precisi, tanto da distinguere
un essere specifico. Se il mondo dei vampiri ha le sue radici
nell’Europa orientale, è l’Inghilterra – o meglio, allargando
l’orizzonte, la Gran Bretagna e l’Irlanda – ad essere la sua arteria
principale, prima di divenire fenomeno cinematografico e televisivo
statunitense.
Oltre un secolo e mezzo prima che Bram Stoker con il suo Dracula
(1897) dopo essersi appropriato dell’immaginario vampiresco precedente
lo aggiornasse alla modernità sino a proiettarlo nei tempi a venire, i
vampiri già smascheravano le ansie umane e le biopolitiche del
periodo suggestionando la cultura occidentale nel suo tentativo di
definire l’essere umano. La storia del vampiro antecedente a quello
proposto dal romanzo di Stoker, già indagata puntualmente da Massimo
Introvigne1, è stata recentemente ricostruita da Nick Groom nel suo Vampiri. Una storia nuova
(Il Saggiatore, 2019) «unendo la visione scientifica ed empirica dei
“veri” vampiri dell’Europa orientale con le loro successive
rappresentazioni evocate nella letteratura gotica [prendendo] in esame
trattati teologici e referti medici, diari di viaggio e allegorie
politiche, poesia, narrativa e testi sull’occulto»2.
Il ritorno dei morti è una paura primordiale, tanto che morti inquieti,
invendicati, desiderosi di punire i vivi popolano miti, leggende e
folklore sin dai tempi remoti. Se numerose sono le figure che riprendono
vita per scatenare il caos, tuttavia i vampiri sono entità diverse
dagli spiriti e dai non-morti ed hanno destato interesse tra gli
intellettuali europei in circostanze ben precise. Se fantasmi e demoni
hanno spesso antecedenti biblici o derivati da miti antichi, si può dire
che i vampiri, invece, siano stati “scoperti”; se lo studio dei
fantasmi e delle apparizioni ha preso il via indagando le testimonianze
di chi si è imbattuto in essi, per quanto riguarda l’indagine sui
vampiri, invece, almeno agli inizi, questa si è svolta su esseri fisici
«che avevano un fondamentale (e letterale) “corpo” di prove, costituito
dai cadaveri del colpevole e delle vittime»3,
pertanto, nel caso dei vampiri, non si è di fronte a demoni primordiali
ma, suggerisce Groom, a creature dell’Illuminismo, radicati come sono
nei nascenti approcci empirici delle scienze investigative
settecentesche, nella biopolitica europea e nel pensiero dell’epoca.
«In altre parole, essi appartengono del tutto al mondo moderno – o
meglio: i modi con cui sono stati esaminati sono sorprendentemente
moderni. I vampiri nacquero quando la razionalità illuminista incontrò
il folklore dell’Europa orientale – un incontro che cercò di dare loro
un senso attraverso il ragionamento empirico e che, considerandoli
attendibili, li rese reali. Dunque, i vampiri hanno proprio una
preistoria folkloristica e, dall’inizio del XIX secolo, i vampirologi si
sono applicati per rintracciare le loro origini attraverso esempi
archetipici e leggendari di mostruosità»4.
Sebbene i demoni succhiatori di sangue siano presenti già in antiche tavole
caldee e assire, nel mondo antico sia greco che romano, nella tradizione
giudaico-cristiana e nei poemi epici anglosassoni, i vampiri occupano
una posizione particolare tra i succhiatori di sangue e nonostante le
loro storie a volte si intreccino con quelle di demoni, fantasmi,
spettri, revenant o streghe, dovrebbero essere distinti da quell’insieme
di paure verso i morti, i non-morti. «La distinzione tra i fantasmi
succhiasangue del mondo classico e il vampiro moderno, come osserva
l’occultista Montague Summers5,
è che “la qualità peculiare del vampiro, specialmente nella tradizione
slava, è la rianimazione di un corpo morto, che è dotato di alcune
proprietà mistiche come la dispersione [estensione], la sottigliezza
[tenuità] e l’incorruttibilità temporale”6.
Sebbene una parte di questa tradizione slava fosse senza dubbio
retrospettiva, è sorprendente notare come alcuni peculiari elementi
comuni siano stati poi trasposti nei primi avvistamenti di veri vampiri e
come la natura accrescitiva delle credenze popolari abbia dato vita,
per così dire, al corpus di conoscenze sui vampiri»7.
Se il pensiero vampiresco finisce col riflettersi nelle scienze
mediche, soprattutto con lo svilupparsi delle nuove teorie sul contagio,
non di meno fornisce un repertorio iconografico all’economia, alla
politica e, ovviamente, alla letteratura, avvicinando così finzione,
teorie mediche e scienze sociali.
Parlare di vampiri significa parlare inevitabilmente di sangue ed
infatti questo, sgorgato dal pensiero settecentesco, resta costantemente
presente nel pensiero ottocentesco. «Il vampiro incarnava le
contraddizioni del sangue: oscurava le distinzioni tra vivi e morti,
umani e non umani, anche tra stabilità psicologica e metamorfosi fisica.
Il vampiro era anche la quintessenza del sangue cattivo: del sangue
corrotto e virulento. E […] la paura verso il sangue contaminato è stata
acuita dal timore del contagio a causa dei luoghi ammuffiti e angusti,
dei cimiteri, del marciume e della decadenza, dell’aria viziata, delle
infezioni portate nell’atmosfera, della nebbia e dei pericoli
invisibili. Tutto questo orrore si condensò con l’avvento del vampiro»8.
Durante il XIX secolo vengono sostanzialmente mantenute le vecchie
credenze popolari circa le virtù curative del sangue, pur assumendo
veste scientifica, e si moltiplicano tanto gli esperimenti di
trasfusione endovenosa quanto lo studio di malattie ereditarie. Anche un
certo nazionalismo fa del “sangue comune” il suo mito fondativo e la
donna stessa, agli occhi maschili, appare “contraddistinta dal sangue”.
Nell’immaginario ottocentesco l’associazione donne-vampirismo si
struttura proprio a partire dal legame donne-sangue derivato, oltre che
dalle perdite mestruali, anche, soprattutto nei primi decenni del
secolo, dal diffondersi delle analisi del sangue al microscopio per
diagnosticare l’anemia particolarmente diffusa in ambito femminile,
tanto che la stessa figura del vampiro finisce con l’assume quello che
diventerà il suo classico pallore.
L’associazione donna-vampiro ha dato luogo anche a vampiri femminili, come nel caso della protagonista del racconto Carmilla
(1872) di Joseph Sheridan Le Fanu che, pur con peculiarità tutte sue
legate al periodo, si inserisce all’interno di una lunga tradizione di
figure femminili che si alimentano di sangue che hanno come antenate
sovrannaturali figure come Lamia e Lilith9.
Dopo essere stato medicalizzato nel corso del Settecento, il
vampirismo, nel secolo successivo, si lega a malattie e paure connesse
al corpo femminile, nella convinzione che la perdita di sangue mestruale
potesse addirittura dar luogo a catastrofiche conseguenze fisiche e
mentali sull’intera civiltà occidentale e tale timore si collega ad una
delle grandi paure di fine Ottocento: l’inversione evolutiva, la
degenerazione verso uno stato animalesco o primitivo.
Il teorico della degenerazione Bénédict Morel10,
ad esempio, vede nella follia il risultato di un danno fisiologico o di
un comportamento immorale capace di trasformarsi in una patologia
trasmissibile alle generazioni successive. Si afferma dunque un’idea di
psichiatria radicata tanto nel corpo quanto nel comportamento ed è
proprio rifacendosi a More che l’antropologo criminale Cesare Lombroso
individua nei criminali segni di “evoluzione a ritroso” che li colloca,
rispetto ai “normali” esseri umani, ad un gradino evolutivo inferiore;
una vera e propria razza primitiva e subumana. In Lombroso anche le
donne abitano una scala evolutiva inferiore, essendo, a suo avviso,
dotate di un “cervello infantile”, dunque non sviluppato al pari di
quello degli uomini. Se a tale “immaturità congenita” femminile si
aggiunge una condotta criminale, allora, secondo Lombroso, si raggiunge
l’apoteosi del mostruoso.
Sulle orme di Morel e Lombroso, il sociologo Max Nordau11
deriva le prove della decadenza morale della società del tempo dai suoi
studi sui criminali, sugli omosessuali, sulle figure femminili più
emancipate e sugli artisti più innovativi del tempo. Tale degenerazione
deriverebbe dunque, secondo il sociologo, da cause fisiche determinate
però dal vivere una modernità segnata dal ricorso smodato a narcotici e
stimolanti, dal consumo di alimenti avariati e dal respirare veleni
organici. Insomma, i vampiri di fine Ottocento non sembrano essere più
causa o segno di degenerazione; è l’intero mondo moderno ad essere
degenerato e i vampiri, abitandolo, semplicemente ne condividono la
sorte. Anche l’aumento dell’isteria, secondo Nordau, è riconducibile
alle medesime cause.
Le immagini del sangue e del succhiasangue, come detto, hanno finito
con il fornire un repertorio iconografico anche all’economia ed alla
politica, inoltre, l’ottocentesca ossessione per il sangue ha
probabilmente contribuito al revival della medievale “accusa del sangue”
mossa nei confronti degli ebrei, rafforzando così l’antisemitismo. Se
il vampirismo era già stato identificato da intellettuali come Voltaire e
Rousseau con il commercio e con le operazioni finanziarie, tale
associazione si è spinta ben oltre nel corso dell’Ottocento quando la
metafora del vampiro risulta ben presente nei circoli della sinistra
hegeliana, nella pubblicistica socialista e, soprattutto, diventa
ricorrente nelle opere di Karl Marx.
Come ha ricostruito Luca Cangiati, se Marx ricorre alla metafora del vampiro in numerose opere – Sacra
famiglia, Lotta di classe in Francia, Diciotto Brumaio di Napoleone
Bonaparte, Indirizzo inaugurale dell’Associazione internazionale degli
operai – è nei Grundrisse che tale metafora acquisisce uno
status epistemologico innegabilmente costitutivo. «In questi famosi
quaderni di appunti il filosofo afferma che “Nel capitale viene posta la
perennità del valore... caducità che passa – processo – vita. Ma questa
capacità il capitale l’ottiene soltanto succhiando di continuo l’anima
del lavoro vivo, come un vampiro”. Che la metafora capitale/vampiro sia a
tutti gli effetti costitutiva della teoria del plusvalore e dello
sfruttamento è testimoniato inoltre dalla dialettica tra il lavoro vivo,
costituito dagli esseri umani lavoratori, e quello morto,
cristallizzato nei mezzi di produzione, cioè nel capitale: “Il lavoro
vivo si presenta come puro mezzo per valorizzare il lavoro
materializzato, morto, per permearlo con un’anima vivificante e perdervi
la propria”»12.
L’Ottocento è anche un secolo funestato dalle pandemie di colera in
Europa e nel Nord America, coincidenti spesso con guerre e disordini
politici. Il contagio ottocentesco è dunque un “contagio moderno”,
vissuto nella sua concretezza. Messi da parte i capri espiatori
tradizionali, le accuse finiscono per focalizzarsi sulla professione
medica ed a ciò si è prontamente adeguato l’immaginario riferito al
vampiro. Quest’ultimo, inoltre, già ritenuto vettore di malattia, non
tarda ad essere associato agli spazi urbani malsani delle città
industriali.
Se ancora nella prima metà del secolo la febbre viene trattata con
l’aerazione, nella seconda metà dell’Ottocento inizia ad essere vista
come una malattia infiammatoria a cui si risponde con la pratica del
salasso spesso mediante sanguisughe ed in tale periodo la popolarità del
tema del vampiro e la sua efficacia nel metaforizzare paure e problemi
d’epoca si lega proprio a quella per la suzione di sangue. Nella seconda
metà dell’Ottocento, la teoria dei germi sostituisce parzialmente la
teoria del miasma ed il diffondersi della convinzione che la malattia
potesse essere causata da parassiti viventi, secondo Laura Otis13,
si presta ad essere interpretata come metafora delle paure dell’epoca
nei confronti di tutti i “nemici invisibili”, militari, politici o
economici.
Riflettendo sulle analogie tra il prendere piede della teoria
dell’infezione microbica ed il fatto che, più o meno in maniera
figurata, questa la si ritrova già sia in diversi racconti di vampiri
che nei tentativi di spiegare il contagio vampirico del secolo
precedente, Groom osserva come, non a caso, i successivi racconti di
vampiri vittoriani si soffermino spesso «su minuscole prove giudiziarie
(piccole lesioni nella pelle, polvere) o su forze invisibili
(mesmerismo, effetti psichici, psicologici e telepatia). Il contagio e
il corpo, il sangue e l’economia, il potere politico, l’invisibile e il
vampirismo sono dunque coesistiti nell’immaginario vittoriano. E il
romanzo di Bram Stoker, Dracula, ne è la dimostrazione migliore»14.
Ed è proprio il libro di Stoker a palesare una svolta: capace di far suo
l’immaginario vampiresco procedente, Dracula si presenta come
concentrato di mitologie, sogni ed incubi propri del mondo vittoriano ma
si rivela anche in grado di prefigurare inquietudini e desideri del
mondo che sarebbe venuto, come documenta l’opera in due volumi che
Franco Pezzini vi ha recentemente dedicato15.
Note:
1) M. Introvigne, La stirpe di Dracula. Indagine sul Vampirismo dall’antichità ai nostri giorni, Mondadori, Milano, 1997.
2) N. Groom, Vampiri. Una storia nuova, Il Saggiatore, Milano, 2019, p. 13.
3) Ivi, p. 22.
4) Ivi, pp. 22-23.
5) M. Summers, The Vampire, His Kith and Kin, Kegan, Paul, Trench, Trubner & Co., London, 1928 e M. Summers, The Vampire in Europe, University Books, New York 1968.
6) M. Summers, The Vampire in Europe, cit., p. 1.
7) N. Groom, Vampiri. Una storia nuova, op. cit., p. 33.
8) Ivi, p. 38.
9) Sulla figura di Carmilla si veda: F. Pezzini, Cercando Carmilla. La leggenda della donna vampira, Ananke edizioni, Torino, 2000. Sulla tradizione dei vampiri femminili si veda: A. Conti, F. Pezzini, Le vampire. Crimini e misfatti delle succhiasangue da Carmilla a Van Helsing, Castelvecchi, Roma, 2005.
10) B. Morel, Traité des dégénérescences physiques, intellectuelles et morales de l’espèce humaine, 1857. Testo in cui Morel mescola cattolicesimo e teorie relative all’ereditarietà dell’evoluzionista Jean-Baptiste Lamarck.
11) M. Nordau, Degeneration, 1898. Tr. it.: M. Nordau, Degenerazione, Piano B edizioni, Prato,2009.
12) L. Cangianti, FantaMarx. Critica dell’economia immaginaria, pp. 85-86, in: L. Cangianti, A. Daniele, S. Moiso, F. Pezzini, G. Toni, Immaginari alterati. Politico, fantastico e filosofia critica come territori dell’immaginario, Mimesis edizioni, Milano-Udine, 2018.
13) L. Otis, Membranes: Metaphors of Invasion in Nineteenth-Century Literature, Science, and Politics, Johns Hopkins University Press, Baltimore (MD), 1999.
14) N. Groom, Vampiri. Una storia nuova, op. cit., p. 188.
15) F. Pezzini, Il conte incubo. Tutto Dracula, Volume 1, Odoya, Bologna, 2019 e F. Pezzini, Abraham Van Helsing e l’ultima crociata. Tutto Dracula, Volume 2, Odoya, Bologna, 2019.
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