Durante quasi una settimana, giornali, agenzie stampa e televisioni hanno bombardato l’opinione pubblica europea con l’idea di una rinnovata alleanza tra Unione Europea e Stati Uniti, dopo la parentesi di Donald Trump.
In questo modo hanno fatto credere che con il nuovo clima multipolare, l’Unione Europea avrebbe potuto, finalmente, materializzare il suo concetto di autonomia strategica, soprattutto per quello che riguarda le relazioni economiche con la Cina e la Russia.
Purtroppo, il 25 marzo, il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, ha stroncato queste aspettative, facendo capire ai membri del Consiglio Europeo che la Casa Bianca non accetta critiche dagli europei, per quanto riguarda gli sviluppi della sua strategia geopolitica.
Di conseguenza, ha perentoriamente insistito sulla riaffermazione (meglio sarebbe dire sull’imposizione) della leadership statunitense. Vale a dire, nell’ottica geostrategica degli Stati Uniti, l’Unione Europea rappresenterebbe appena la continuazione della potenza statunitense nel cosiddetto Blocco Occidentale.
Per questo il presidente Biden, come pure il Segretario di Stato Anthony Blinken e il rappresentante permanente statunitense presso la NATO, Douglas, hanno ribadito all’unisono che “la Cina è il principale rivale sistemico degli USA” e che questa nuova conflittualità latente, apparentemente limitata alle questioni commerciali, è diventata “il più importante test geopolitico per gli Stati Uniti nel ventunesimo secolo”.
In poche parole, sono cambiati i simboli e le perifrasi diplomatiche, ma il concetto di “guerra fredda” portato avanti da Donald Trump rimane immutato!
Altro argomento che avrebbe dovuto sconcertare i media europei è stata l’assoluta mancanza, nel discorso di Biden, di una sola parola di solidarietà nei confronti dei paesi del Terzo Mondo, sopraffatti dalla pandemia.
Come pure non c’è stato nessun accenno ai gravi errori commessi da Trump e dai suoi discepoli, soprattutto quelli sudamericani. In questo modo, Biden, ha legittimato l’operato dei presidenti negazionisti di Paraguay, Ecuador, Colombia e soprattutto del Brasile.
Un paese che, secondo il CONASS (1), ha battuto il record dei decessi giornalieri (3.869), registrando 321.515 morti negli ultimi nove mesi, mentre ogni giorno 90.638 brasiliani sono contagiati dal virus. Per questo motivo il 30 marzo, il CONASS dichiarava che il Brasile (dopo gli Usa) aveva registrato il record mondiale pandemico con 12.748.747 contagi!
L’America Latina dopo il 25 marzo
Alcuni giorni prima che scoppiasse la crisi politica del 30 marzo, l’ambasciatore statunitense in Brasile, Todd Chapman (2), dichiarava che “il Presidente Bolsonaro è un grande amico degli Stati Uniti, di modo che la sua rielezione nel 2022 è molto importante per dare continuità a questo rapporto”.
L’importanza geostrategica del Brasile e il ruolo politico del suo presidente sono in effetti di estrema importanza per gli USA, visto che le cosiddette “relazioni preferenziali” che Donald Trump e Mike Pompeo avevano creato in America Latina hanno iniziato a frantumarsi prima con la sconfitta elettorale di Mauricio Macri in Argentina, e poi con l’arresto di Jeanine Áñez in Bolivia.
In seguito è maturata la prevedibile dissoluzione di queste “relazioni preferenziali” entro il 2022, quando Lênin Moreno in Ecuador, Iván Duque Márquez in Colômbia, Sebastián Píñera in Cile e Mario Abdo Benítez in Paraguay e logicamente Jair Bolsonaro in Brasile dovranno sottoporsi al giudizio degli elettori.
Infatti, Lênin Moreno – famoso per aver tradito la coalizione di sinistra che lo aveva eletto presidente in Ecuador – diventato un servente dell’ambasciatore americano Michael J. Fitzpatric e della destra oligarchica, non riuscirà ad evitare la sconfitta del suo pupillo Guillermo Lasso (CREO-PSC) nel ballottaggio del prossimo 11 aprile con Andrés Arauz (Unión por la Esperansa-UNES).
Secondo il Consiglio Nazionale Elettorale (CNE) il candidato del partito fondato da Rafael Correa, ha ottenuto il 32,72% dei voti nelle elezioni primarie del 7 febbraio. Con Arauz presidente e il ritorno della sinistra al potere, l’Ecuador rafforzerebbe la formazione del fronte dei paesi progressisti sudamericani (Venezuela, Bolivia, Argentina, Cuba).
In Colombia, il presidente Iván Duque Márquez, per sconfiggere il progressista Gustavo Petro (3), dovrà nuovamente richiedere l’aiuto finanziario del narcotraffico per comperare i voti dei settori popolari. Un’operazione che si presenta molto difficile poiché il suo amico e finanziatore narcos, José Guillermo Hernández Aponte “Neñe”, è stato assassinato, mentre il suo “padrino politico”, l’ex-presidente Álvaro Uribe, è sotto inchiesta da parte del Procuratore Generale.
A questo proposito il senatore Armando Benedetti (Colombia Humana) ha dichiarato alla rivista Semana: “nessuno poteva immaginare che a un anno dalle elezioni, cioè nel maggio del 2022, il senatore Gustavo Petro detiene il 46% delle preferenze elettorali”.
Infatti, il 28 marzo, il CNC (Centro Nacional de Consultoria) e il Yanhaas hanno confermato che l’antico guerrigliero del M-19, parte integrante prima del Polo Democrátrico Alternativo (PDA) e poi fondatore del partito “Colombia Humana” – con cui fu eletto sindaco della capitale Bogotà – sarà il virtuale vincitore nel maggio del 2022.
Una probabile vittoria che, certamente, metterà in discussione il ruolo sovversivo che gli ultimi quattro governi statunitensi hanno attribuito alla Colombia, nel tentativo di rovesciare il governo bolivariano del Venezuela.
Sempre più complicata è invece la situazione del presidente cileno Sebastián Píñera, che il prossimo 11 aprile vedrà la sua coalizione di destra prendere un sonoro schiaffone nelle elezioni amministrative (sindaci e governatori regionali) e quelle per i nuovi deputati costituenti. Per poi, il 21 novembre dover probabilmente cedere la fascia presidenziale al candidato che Unidad Costituyente (3) e Frente Amplo decideranno di presentare nel ballottaggio del secondo turno.
Per ultimo, il corrotto presidente del Paraguay, Mario Abdo Benítez, – storica pedina del Dipartimento di Stato USA – difficilmente arriverà alle elezioni del 2023, visto che la rivolta popolare nella capitale Asuncion e nelle principali città del Paraguay contro gli oligarchi del “Partido Colorado” non dà segnali di tregua.
Infatti, il 17 marzo, nella capitale Asuncion, i manifestanti hanno attaccato e incendiato la sede del Partido Colorado, che si trova a circa due chilometri dal palazzo presidenziale.
Da sottolineare che la crisi economica del Paraguay, aggravata dalla pandemia, dalla corruzione sviluppata a tutti i livelli dai membri della famiglia del presidente e dai principali boss del “Partido Colorado” è diventato un problema nazionale incontrollabile.
Infine, il ritardo e le truffe realizzate dagli uomini del governo di Benítez nei contratti per comprare i vaccini, hanno definitivamente affossato l’immagine del presidente e, soprattutto quella del suo “Partido Colorado”.
Di conseguenza, il ritorno alla presidenza del progressista Fernando Lugo con il suo “Frente Guasù” è più che certo, come pure è certa la revisione dei favori concessi alle multinazionali statunitensi, degli obblighi che l’USAID e la CIA hanno imposto allo stato paraguaiano.
In pratica con Lugo sarà possibile rompere quella dipendenza geopolitica che gli USA imposero al Paraguay, nel 2012, con il golpe istituzionale (impeachment) nei confronti dello stesso Fernando Lugo. Un golpe voluto dalle multinazionali con il beneplacito della “democratica” Hillary Clinton, all’epoca Segretaria di Stato nel governo dell’altrettanto "democratico" Barak Obama.
Un contesto che si rivela abbastanza cupo per la continuazione dell’affermazione della “leadership” geostrategica degli Stati Uniti in Sudamerica, visto che solo in due paesi, vale a dire in Uruguay ed in Perù, gli USA hanno la certezza di poter continuare indisturbati.
Mentre, negli altri cinque paesi sopraindicati, i nuovi governi potranno assumere posizioni progressiste avanzate, soprattutto per quanto riguarda la ricostruzione di UNASUR e il funzionamento di MERCOSUR, sapientemente sabotati in questi anni dalle pedine del Dipartimento di Stato USA.
Per questo motivo la rielezione del presidente brasiliano, Jair Bolsonaro, è di importanza strategica per gli USA, poiché se Bolsonaro sarà legalmente estromesso, a causa dei 4 processi penali presentati nel TSF o dei procedimenti presentati dai partiti dell’opposizione al presidente della Camera dei Deputati Arthur Lira (PP-L), sarà il concetto di “relazione preferenziale con gli USA e la leadership statunitense” che sarà messa in discussione nella maggior parte dei paesi dell’America Latina.
Quindi, non c’è da stupirsi se Anthony Blinken, Segretario di Stato statunitense, subito dopo il ritorno di Biden da Bruxelles, abbia subito bacchettato il governo bolivariano di Nicolas Maduro, senza però dire una sola parola sull’operato di Jair Bolsonaro che l’influente candidato “democratico” Pam Keit (5) ha definito “un bruto, un corrotto, un genocida e, soprattutto, un incompetente!”.
La necessità di manipolare la rielezione
Certamente l’ambasciatore statunitense in Brasile, Todd Chapman, avrà informato il Segretario di Stato, Anthony Blinken, sulle numerose riunioni che il presidente della Camera dei Deputati, Arthur Lira e quello del Senato Federale, Rodrigo Pacheco, hanno realizzato, nei primi dieci giorni di marzo, con banchieri, industriali ed eccellenze del mercato.
Riunioni che tutti i media brasiliani hanno ampiamente commentato, sintetizzando la precipitosa caduta negli indici elettorali del presidente Bolsonaro, dal 36% al 15%. Infatti, l’assenza di strabilianti fake news, di gigantesche campagne mediatiche – come quelle che la TV Globo realizzò nel 2018 – permette all’opinione pubblica di identificare tutti i difetti di Bolsonaro e del suo governo.
Per questo i grandi media, in particolare TV Globo e il giornale di São Paulo Estadão, per farsi perdonare, ogni giorno descrivono gli effetti dei disastri sanitari ed economici, provocati dai ministri del governo Bolsonaro, non risparmiando critiche e denunce nei confronti dello stesso presidente.
Un contesto che, nel mese di marzo, ha cominciato a produrre le prime fratture politiche tra il “bolsonarismo” e gli imprenditori. Infatti, secondo il presidente della Federazione delle Banche (Febraban), Isaac Sidney, è giunto il momento di ricercare “un cambio operativo nel governo, per far fronte al dramma della pandemia e concludere la fase delle incapacità finora dimostrate”.
Più concreto, invece, è stato il commento del presidente della principale banca privata brasiliana (BRADESCO), Luis Carlos Trabuco Cappi, secondo cui “la gravità della pandemia sta gradualmente disorganizzando tutta l’economia del Brasile, senza che sia fatto nulla per rimediare. Per questo dobbiamo mobilitare la società, i lavoratori, i governi regionali, i parlamentari e gli impresari per creare un fronte solidale con cui vincere questa crisi”.
A sua volta, Ricardo Lacerda, presidente della banca di investimenti BRPartners, dichiarava ad Agencia Estado: “l’impreparazione di Jair Bolsonaro ha determinato il collasso del sistema sanitario e quello dell’economia ed i suoi errori sono abbondantemente documentati. È giunta l’ora di dare basta a questa situazione assurda”.
Per poi sottolineare “il presidente dovrebbe assumere un compromesso con la scienza e con le persone che lavorano con la scienza, lasciando perdere le sue posizioni ideologiche. Se non è capace di fare questo è meglio che si dimetta!”.
Queste critiche assomigliano, e molto, alle denunce che i sindacalisti, i parlamentari dell’opposizione di sinistra (PT, PSOL, PCdB, PSB, PDT e PCB) ed i militanti del MST e del MTST, fanno da circa un anno. Critiche che però hanno provocato la reazione del “Clan Bolsonaro” che, grazie al silenzio di Joe Biden, è partito al contrattacco con un “golpe morbido e preventivo”, con cui cercare di garantire la sua rielezione nell’ottobre del 2022.
L’obiettivo principale del golpe è il tentativo di vincolare le Forze Armate, il Tribunal Supremo Federale, il Tribunale Federale Elettorale ed il Parlamento alla visione politica del bolsonarismo. Per questo chi si è opposto è stato licenziato in tronco!
Comunque questo “golpe morbido e preventivo” ha numerosi punti deboli. Primo fra tutti il fallimento politico del “Clan Bolsonaro”, che dal 2019 cerca di creare il grande partito di destra denominato “Aliança para o Brazil” (Alleanza per il Brasile). Un partito che avrebbe dovuto riunire i conservatori, i moderati e tutte le componenti della destra, per garantire una sicura rielezione al presidente Bolsonaro.
Un fallimento che tuttora sussiste, poiché il presidente, per sopravvivere in Parlamento, ha dovuto comprare con numerosi incarichi ministeriali i leader dei piccoli partiti del centrodestra riuniti del cosiddetto “Centrão”.
Il secondo punto debole riguarda il tentativo di Bolsonaro di trasformare le Forze Armate in un’istituzione politica strettamente legata al suo progetto politico. Anche in questo caso l’operazione non è riuscita. Così per pura rappresaglia Bolsonaro ha rimosso il Ministro delle Difesa ed i Comandanti delle tre armi (Esercito, Marina e Aeronautica), creando un effettivo disappunto nelle Forze Armate, tra gli stessi ufficiali bolsonaristi – in gran parte graduati posti nella riserva – e gli ufficiali al comando delle caserme.
In seguito, per garantire il silenzio del Tribunale Superiore Federale, Bolsonaro voleva cooptare il Procuratore Generale della Federazione, José Levi, chiedendogli di insabbiare i quattro processi penali che alcuni governatori avevano presentato al TSF, denunciando il presidente Bolsonaro per reati di genocidio e di corruzione.
30 Marzo: il golpe morbido e preventivo
Comunque, l’aspetto che ha permesso al presidente Bolsonare di recuperare la fiducia di alcuni settori della borghesia, dei commercianti e di una parte del Parlamento, è stata la rimozione del suo amico generale, Eduardo Pazuello da Ministro della Sanità, nominando al suo posto un altro suo amico negazionista, Marcelo Queiroga.
In seguito per recuperare la fiducia dei media e del mercato, Bolsonaro ha imposto al suo ministro degli Esteri, il fascistoide olavista (6) Ernesto Araujo di dimettersi, cercando in questo modo di far dimenticare le autentiche “cagadas diplomaticas” (stronzate diplomatiche) che Araujo aveva commesso, mettendo a repentaglio le relazioni commerciali del Brasile con la Cina (7).
Nel mezzo di questo complicato contesto politico, le dimissioni dell’ex Ministro della Difesa, generale Fernando Azevedo e Silva, diventavano una questione di importanza politica nazionale, poiché, oltre a denunciare il golpe di Bolsonaro, rifiutava il progetto di trasformare le Forze Armate in un’istituzione politicizzata al servizio dello stesso Bolsonaro.
Cioè l’ex-Ministro, pur essendo un militare conservatore di destra – non fascistoide e tantomeno bolsonarista – era contrario ad implementare lo stesso processo di politicizzazione delle Forze Armate che Pinochet, e poi Videla, avevano introdotto nel Cile e in Argentina negli anni settanta.
Di conseguenza, il Comandante dell’Esercito, generale Edson Pujol, il Comandante della Marina, ammiraglio Ilques Barbosa e il Comandante dell’Aeronautica, brigadiere Antonio Carlos Moretti Bermudez si dimettevano in segno di protesta.
Da sottolineare che due giorni prima,il 27 marzo, il generale Edson Pujol, aveva dichiarato che “Le Forze Armate non sarebbero mai diventate la guardia pretoriana di un avventuriero”.
Molti analisti, tra cui João Quartim Morães e Lucas Rezende, ammettono che le sei dimissioni annunciate il 30 marzo in tono enfatico dal presidente, in realtà già erano previste nell’agenda del “golpe morbido e preventivo” di Bolsonaro.
Infatti, senza l’appoggio incondizionato delle Forze Armate e la manipolazione politica dei media la rielezione diventerebbe un’operazione impossibile, soprattutto se Lula sarà il candidato di quel Fronte Ampio, che dovrebbe accomunare i settori popolari con la classe media e, soprattutto, con le eccellenze della borghesia e del mercato.
È evidente che sia prematuro prevedere un eventuale scontro armato tra le unità bolsonariste della “Policia Militar” (8) ed i reparti delle Forze Armate, fedeli all’ex Ministro della Difesa, generale Fernando Azevedo e Silva. Anche perché bisogna considerare che il presidente Bolsonaro, per accattivarsi la simpatia degli ufficiali e dei sottufficiali, ha concesso un aumento del 48% al budget delle Forze Armate.
Inutile dire che gran parte di queste risorse sono servite per garantire importanti aumenti salariali e benefici materiali (abitazioni, trasporti, bonus consumo ecc.). Inoltre, quasi tutti gli analisti riconoscono che solo pochi ufficiali decideranno di rinunciare agli stipendi dei 6.157 incarichi che il presidente Bolsonaro ha offerto agli ufficiali di grado intermedio (capitani, maggiori e tenenti colonnello), in otto ministeri e agli altri 20.000 “incarichi di fiducia”, con cui il presidente ha cercato di militarizzare i principali settori dell’istruzione federale, della salute, degli organismi per lo sviluppo delle infrastrutture, per la difesa dell’Ambiente e dell’Amazzonia, considerati “troppo di sinistra”.
Quindi, oggi risulta chiaro che l’evoluzione del “golpe morbido e preventivo” di Bolsonaro è parte integrante dei contenuti storici che hanno sviluppato la crisi politica dello stato borghese brasiliano.
Cioè, non dimentichiamo che Bolsonaro è stato il prodotto di un’operazione di ingegneria politica che la borghesia industriale di São Paulo, gli oligarchi dell’agro-bussines e il Dipartimento di Stato USA, nel 2018, hanno affidato ai media e all’Intelighenzia delle Forze Armate per evitare il ritorno di un governo di sinistra, diretto dal PT e capeggiato da Lula.
“Questo golpe morbido e preventivo di Bolsonaro – ha dichiarato José Luis Fiori in un’intervista sul Jornal do Brazil (9) – è una manovra dissuasiva del presidente, per cercare di arrivare indenne a fine mandato nel novembre del 2022”.
Più avanti Fiori sottolinea che “se la crisi sanitaria continuerà a mietere sempre più vittime e se il governo continuerà a mostrarsi incapace, certamente le Forze Armate obbligheranno Bolsonaro alla rinuncia”.
Infatti, se l’incompetenza di questo governo e la sua disorganizzazione nella realizzazione delle campagne di vaccinazione, determinerà l’aumento dei decessi fino all’assurdo record di 4.000 morti al giorno, i Comandanti delle regioni militari, per salvare l’immagine delle Forze Armate, potrebbero obbligare il presidente Bolsonaro a dimettersi, ufficialmente “per motivi di salute”, permettendo in questo modo al suo vice, il generale Hamilton Murão, di formare un governo di unità nazionale e tentare di sconfiggere la pandemia.
Una soluzione che però non incontra eco favorevole nell’opinione pubblica, soprattutto nei settori popolari e nella classe media, che hanno sofferto maggiormente gli effetti della pandemia. Infatti questi settori responsabilizzano gli stessi militari per questa crisi sanitaria ed economica, visto che 8 dei 22 ministri del governo Bolsonaro sono ufficiali delle Forze Armate!
Per questo motivo la crisi sarà risolta con la possibile mediazione di alcune “eccellenze” della borghesia nazionale, come per esempio l’ex-presidente Fernando Henrique Cardoso, il quale – da buon socialdemocratico asservito al mercato – per evitare che nell’attuale momento di crisi si inseriscono dei preponderanti e massicci elementi di lotta di classe, promuoverà la formazione di una “alleanza patriottica” per isolare il bolsonarismo nelle prossime elezioni di novembre del 2022.
Quindi il “Fronte Ampio”, proposto dai partiti della sinistra e del centro sinistra, diventerebbe sempre più ampio e “democraticamente” più allargato, permettendo, al suo interno la formazione di una maggioranza costituita dai partiti tradizionali della borghesia, insieme a quelli dei pastori evangelici e presbiteriani e una parte di quella destra che oggi integra il governo di Bolsonaro.
Un universo politicamente variegato, ma anche puzzolente di inveterato reazionarismo, in cui la sinistra, purtroppo, dovrà convivere, quasi in silenzio, in nome del cosiddetto “patto di solidarietà nazionale contro Bolsonaro”.
Dopo di che, allontanato il pericolo fascistoide, la sinistra dovrà ricominciare a “pedalare” per eleggere nel 2026 un governo maggioritario con cui poter fare delle autentiche riforme sociali ed economiche, sempre che poi le Forze Armate e il Dipartimento di Stato USA lo permettano!
Note
1) CONASS: Conselho Nacional de Secretários de Saúde (Consiglio Nazionale dei Segretari degli Uffici Sanitari).
2) Todd Chapman fu nominato ambasciatore degli USA in Brasile nel 2019 da Donald Trump.
3) Unidad Costituyente fu creata il 30 settembre del 2020 dai seguenti partiti : Partido Radical (PR), Partido por la Democracia (PPD), Partido Socialista (PS), Demócrata Cristiano (DC), Progresista (PRO) e Ciudadanos (CIU).
4) Frente Amplio è una coalizione di partiti e movimenti di base della sinistra che, ufficialmente, fu formato a Santiago il 21 gennaio 2017. Inseguito alcuni partiti – tra cui quello comunista – e alcuni movimenti ambientalisti abbandonarono il fronte. Oggi il candidato del Frente Amplio alle elezioni presidenziali è il deputato Marcelo Diaz, che sarà appoggiato dai movimenti Revolución Democrática, Convergencia Social, Comunes, Movimiento Unir e Fuerza Común.
5) Palm Keit è un militare, membro del Partito Democratico di Joe Biden, che è molto seguito nelle reti sociali degli Stati Uniti, in particolare quelle della Florida, dove si presentò candidato. Purtroppo fu sconfitto per una manciata di voti dal repubblicano Brian Mast.
6) Olavo de Carvalho è il teorico del neofascismo brasiliano che, in senso storico, riecheggia le gesta criminali di Ação Integralista Brasileira di Plinio Salgado, che con le sue “Camisas Verdes” cercò di imitare con poco successo le camice nere mussoliniane. Inoltre gli olavisti si sono modernizzati diventando i principali propagandisti dell’anti-PT, del razzismo, della violenza nei confronti degli omosessuali e dell’ostracismo nei confronti del femminismo. Bolsonaro è totalmente imbevuto delle teorie olaviste.
7) Nonostante la Cina, fosse il principale importatore di prodotti alimentari e minerari del Brasile e avesse investito miliardi di dollari in progetti industriali e infrastrutturali determinanti per l’economia brasiliana, Ernesto Araujo, nella sua qualità di Ministro degli Esteri del Brasile e con il beneplacito di Bolsonaro, seguiva a menadito le orientazioni di Donald Trump. Per questo, all’inizio del 2021 l’ambasciatore cinese minacciò la rottura di tutti i contratti commerciali con il Brasile.
8) In Brasile, l’istituzione della pubblica sicurezza è un’istituzione civile garantita a livello federale dalla “Policia Federal” e nei 28 stati della federazione dalla “Policia Civil” che si occuperebbe, in particolare delle indagini criminali. l’ordine pubblico, il controllo del territorio e, logicamente, reprimere le rivolte sociali, cioè una specie di “Carabinieri” tropicali.
9) José Luis Fiori è il principale politologo del Brasile, autore di più di 30 libri, Il 01 aprile ha concesso un’intervista al Jornal do Brasil intitolata “O fim do captão está mais próxmo” (La fime del capitano è vicina)
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