Le elezioni presidenziali del 19 giugno in Colombia hanno visto trionfare i candidati della coalizione progressista Pacto Histórico, Gustavo Petro e Francia Màrquez.
È stata una vittoria storica per la sinistra, la prima nei poco più di 200 anni della travagliata storia nazionale colombiana.
È una possibilità di cambiamento (anche se irta di ostacoli), e soprattutto di riscatto per quelle classi subalterne rimaste sempre ai margini del potere politico.
Il futuro presidente e la futura vice-presidente che assumeranno formalmente l’incarico il 7 agosto, con i loro profili biografici, segnano una rottura rispetto alla provenienza della classe politica tradizionale strettamente legata alle élite economica: le famiglie dei vecchi latifondisti diventate borghesia compradora, che ha continuato a godere dei suoi antichi privilegi facendo arricchire le multinazionali straniere del settore estrattivo ed il lucroso business del narco-traffico, riducendo il paese ad una specie di colonia degli Stati Uniti.
Petro è parte di quel consistente corpo di intellettuali che in gioventù abbraccio la lotta armata (con l’M-19) – che ha pagato con l’arresto, la tortura e l’esilio – ed è poi divenuto strenuo oppositore del sistema uribista come rappresentante parlamentare e come sindaco.
La Màrquez, afro-discendente, è stata una leader ambientalista già dall’adolescenza, e nonostante le sue origini e la sua condizione sociale è riuscita a laurearsi come avvocato.
Francia Màrquez ha saputo cambiare “l’ordine del discorso” ponendo gli ultimi in testa, ribaltando la piramide e facendo sì che numerosi gruppi marginalizzati si identificassero in lei e nei suoi discorsi che coglievano le contraddizioni di classe, “razza” e genere, rimosse dalla narrazione politica tradizionale ma strutturanti la società e la vita politica in Colombia.
Della sua feconda visione del mondo trasformata in programma l’articolo che abbiamo qui tradotto mette in evidenza tre punti:
1) la governance collettiva, che si riflette nell’espressione “Io sono perché noi siamo“, un principio che sottolinea l’importanza di pensare e fare “insieme”, come si suol dire, sullo sfondo di un esercizio di governo incentrato sull’individuo, sulla meritocrazia competitiva e sulla differenziazione.
2) La ri-assegnazione del ruolo dello Stato e dell’economia come pilastro del raggiungimento di un vivir sabroso (“vita gustosa”, ndt) – una nozione proveniente dalle comunità afro-discendenti del Pacifico che promuove una relazione più orizzontale e organica con la natura, il territorio, la comunità e le proprie tradizioni.
3) La lotta per la dignità, sintetizzata nella frase “finché la dignità non diventi consuetudine“, una dignità da restituire ai “nessuno”. “Quelli che costano meno delle pallottole che li uccidono“, come dice Eduardo Galeano, e che incarnano quelle vite che non contano, all’interno del modello razziale, patriarcale e sociale dominante.
Un processo di decisione collettiva che relativizza il “leaderismo”, il ruolo dello Stato nei processi di trasformazione sociale e un “nuovo umanesimo” che comprenda coloro i quali e coloro le quali sono state sempre escluse.
Una lezione universale di come trasformare la politica da amministrazione dell’esistente a vettore di cambiamento.
Buona lettura
È stata una vittoria storica per la sinistra, la prima nei poco più di 200 anni della travagliata storia nazionale colombiana.
È una possibilità di cambiamento (anche se irta di ostacoli), e soprattutto di riscatto per quelle classi subalterne rimaste sempre ai margini del potere politico.
Il futuro presidente e la futura vice-presidente che assumeranno formalmente l’incarico il 7 agosto, con i loro profili biografici, segnano una rottura rispetto alla provenienza della classe politica tradizionale strettamente legata alle élite economica: le famiglie dei vecchi latifondisti diventate borghesia compradora, che ha continuato a godere dei suoi antichi privilegi facendo arricchire le multinazionali straniere del settore estrattivo ed il lucroso business del narco-traffico, riducendo il paese ad una specie di colonia degli Stati Uniti.
Petro è parte di quel consistente corpo di intellettuali che in gioventù abbraccio la lotta armata (con l’M-19) – che ha pagato con l’arresto, la tortura e l’esilio – ed è poi divenuto strenuo oppositore del sistema uribista come rappresentante parlamentare e come sindaco.
La Màrquez, afro-discendente, è stata una leader ambientalista già dall’adolescenza, e nonostante le sue origini e la sua condizione sociale è riuscita a laurearsi come avvocato.
Francia Màrquez ha saputo cambiare “l’ordine del discorso” ponendo gli ultimi in testa, ribaltando la piramide e facendo sì che numerosi gruppi marginalizzati si identificassero in lei e nei suoi discorsi che coglievano le contraddizioni di classe, “razza” e genere, rimosse dalla narrazione politica tradizionale ma strutturanti la società e la vita politica in Colombia.
Della sua feconda visione del mondo trasformata in programma l’articolo che abbiamo qui tradotto mette in evidenza tre punti:
1) la governance collettiva, che si riflette nell’espressione “Io sono perché noi siamo“, un principio che sottolinea l’importanza di pensare e fare “insieme”, come si suol dire, sullo sfondo di un esercizio di governo incentrato sull’individuo, sulla meritocrazia competitiva e sulla differenziazione.
2) La ri-assegnazione del ruolo dello Stato e dell’economia come pilastro del raggiungimento di un vivir sabroso (“vita gustosa”, ndt) – una nozione proveniente dalle comunità afro-discendenti del Pacifico che promuove una relazione più orizzontale e organica con la natura, il territorio, la comunità e le proprie tradizioni.
3) La lotta per la dignità, sintetizzata nella frase “finché la dignità non diventi consuetudine“, una dignità da restituire ai “nessuno”. “Quelli che costano meno delle pallottole che li uccidono“, come dice Eduardo Galeano, e che incarnano quelle vite che non contano, all’interno del modello razziale, patriarcale e sociale dominante.
Un processo di decisione collettiva che relativizza il “leaderismo”, il ruolo dello Stato nei processi di trasformazione sociale e un “nuovo umanesimo” che comprenda coloro i quali e coloro le quali sono state sempre escluse.
Una lezione universale di come trasformare la politica da amministrazione dell’esistente a vettore di cambiamento.
Buona lettura
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L'”Igualada” che crede di avere il diritto di governare
L'”Igualada” che crede di avere il diritto di governare
Mara Viveros Vigoya “Anfibia”
“Speriamo di raccogliere il suo invito“, scrive Mara Viveros Vigoya, in occasione della 9° conferenza CLACSO, pensando alla proposta inter-sezionale, femminista e antirazzista con cui Francia Márquez governerà la Colombia.
Francia Márquez è stato una dei candidati più votati, anche rispetto ai politici tradizionali. È stata definita “il fenomeno politico colombiano del momento“. La sorpresa di questa alta affluenza alle urne ha a che fare con il fatto che la candidata era una relativa sconosciuta nel panorama politico tradizionale, ma è dovuta soprattutto al suo background biografico e alla sua proposta politica.
Francia Márquez è una donna afro-colombiana, leader di una comunità del sud-ovest della Colombia, madre single, figlia e nipote di contadini e minatori. Ha lavorato nell’industria mineraria artigianale, nella vendita di ortaggi e nei servizi domestici prima di laurearsi come avvocato.
Il suo lavoro come difensore dell’ambiente e rappresentante delle vittime del conflitto armato nell’ambito del processo di pace le è valso diversi riconoscimenti nazionali e internazionali, come il Premio nazionale per la difesa dei diritti umani in Colombia nel 2015 e il Goldman Environmental Prize nel 2018, per la sua lotta in difesa del territorio e contro le attività minerarie illegali nel Cauca.
Nonostante questi riconoscimenti, l’establishment politico – un’arena tradizionalmente dominata da uomini bianchi provenienti dalle grandi capitali – ha “disapprovato” il suo coraggio di provare, come donna nera di provincia, a entrare nel loro gioco politico.
Francia Márquez irrompe su questo palcoscenico con una base solida, radicata nella sua esperienza di vittima del conflitto armato, schietta e determinata a sfidare questi uomini per la vittoria in questo gioco, con carte molto diverse da quelle che sono state utilizzate in passato.
Francia Márquez incarna il personaggio de “la igualada“, un’espressione colombiana (classista, razzista e sessista) usata per indicare una persona che si comporta come se appartenesse a una classe sociale superiore o che assume diritti, privilegi o attribuzioni che presumibilmente non le corrispondono.
Caratterizzarla con questa espressione è significativo. Riflette l’irritazione prodotta nella classe dirigente del paese dal fatto che una persona come lei immagina e presume di essere qualcuno con lo stesso diritto di governare della classe più abbiente, il cui privilegio è stato raramente messo in discussione.
Francia Márquez ha conquistato il posto di vicepresidente del Pacto Historico, guidato da Gustavo Petro, senza fare concessioni politiche; ha radicalizzato la portata del progetto politico di questa coalizione elettorale, avanzando proposte su valori e orientamenti politici che non facevano parte del repertorio di discussione dei circoli del potere.
Ne citiamo tre:
1) la governance collettiva, che si riflette nell’espressione “Io sono perché noi siamo”, un principio che sottolinea l’importanza di pensare e fare “insieme”, come si suol dire, sullo sfondo di un esercizio di governo incentrato sull’individuo, sulla meritocrazia competitiva e sulla differenziazione.
2) La ri-assegnazione del ruolo dello Stato e dell’economia come pilastro del raggiungimento di un vivir sabroso (“vita gustosa”, ndt) – una nozione proveniente dalle comunità afro-discendenti del Pacifico che promuove una relazione più orizzontale e organica con la natura, il territorio, la comunità e le proprie tradizioni.
3) La lotta per la dignità, sintetizzata nella frase “finché la dignità non diventi consuetudine“, una dignità che cerca di restituire ai “nessuno”. “Quelli che costano meno delle pallottole che li uccidono“, come dice Eduardo Galeano, e che incarnano quelle vite che non contano, all’interno del modello razziale, patriarcale e sociale dominante.
Le proposte di Márquez – pur riprendendo i vessilli della sua lotta sociale e i problemi affrontati nel suo territorio dalla comunità nera da cui proviene – hanno trovato risonanza in gruppi sociali molto diversi tra loro, come donne, persone lgbtiq+, giovani, artisti, popoli indigeni, contadini, afro-discendenti, raizal e palenqueros. Gruppi alle cui diverse lotte fa sempre riferimento nei suoi discorsi.
Gran parte del suo successo politico risiede nella sua capacità di sfruttare tutto il potenziale di un approccio inter-sezionale. Perché questo le permette di muoversi e generare connessioni, tra un pensiero situato e ancorato a realtà ed esigenze molto specifiche e un progetto che risponde alle preoccupazioni generali sollevate dalla profonda crisi socio-economica, ecologica e di modalità di esistenza che il pianeta sta affrontando.
Proposte come quella di Francia Márquez rompono con una logica di competizione tra lotte diverse che non porta benefici a nessuno, e portano ciò che un quadro inter-sezionale può fornire: una base politica e un approccio che permette di superare la logica delle “trincee separate” e di affrontare la disuguaglianza, senza frammentarla.
Il sostegno popolare al progetto politico di Francia Márquez mi permette di parlare oggi di “svolta antirazzista” in America Latina, in un momento in cui il razzismo comincia a essere percepito come una questione rilevante per la regione.
Questo riorientamento, documentato dal progetto LAPORA, deriva dalle carenze politiche del progetto statale di multiculturalismo, dalla sua negazione del razzismo e dall’esacerbazione delle disuguaglianze sociali e della violenza legate al progetto economico neo-liberale.
Come è stato riconosciuto da diversi autori, il multiculturalismo non ha significato una trasformazione radicale dell’ideologia del mestizaje. La potente narrativa della costruzione della nazione, che descriveva le società latinoamericane come fondamentalmente meticcie e quindi essenzialmente antagoniste al razzismo che poteva caratterizzare altre società o momenti storici, è sopravvissuta.
La continuità di questa narrazione ha favorito una certa connivenza tra l’ideologia multiculturalista e un ordine sociale razzista che ha ostacolato il riconoscimento sociale del razzismo.
Inoltre, ha sottoposto coloro che ne sottolineano la presenza nella società a una delegittimazione accademica, politica e morale. L’uso di categorie o termini razziali nel discorso politico posiziona coloro che lo fanno come firmatari dell’esistenza di razze biologiche o come razzisti e risentiti.
Come molti ricercatori con i quali collaboro da più di dieci anni a diversi progetti sulla “razza”, l’etnia e l’antirazzismo, credo che utilizzare categorie e concetti razziali nel discorso politico non significhi essere razzisti e risentiti. Credo che l’utilizzo di categorie e concetti razziali sia importante in termini analitici e utile in termini politici.
Allo stesso tempo, sono consapevole della necessità di fare un uso circoscritto di questi concetti, tenendo conto delle variazioni locali che hanno avuto in ogni paese e momento storico.
Inutile dire che in America Latina il razzismo non è percepito allo stesso modo degli Stati Uniti, il riferimento più vicino e contrastante al nostro modo di percepire la “razza”. In America Latina, il razzismo non si esercita sulla base di confini fissi tra gruppi razziali o di segni ancestrali rilevati dal sistema istituzionale della “goccia di sangue”.
Viene praticata in relazione all’aspetto, alla fisionomia, ai gesti, al modo di parlare e all’accento di un individuo. Inoltre, è profondamente legato al classismo poiché, come tendenza generale, le persone e le famiglie con maggiore capitale (sociale, culturale, educativo, economico, simbolico, ecc.) hanno una carnagione “più chiara” e, al contrario, quelle con meno capitale hanno una carnagione “più scura”.
Le gerarchie razziali operano in modi diversi in ogni paese dell’America Latina. Nel caso colombiano, le relazioni tra “razza” e regione si sovrappongono fortemente e ogni regione produce anche una propria forma di creazione dell’alterità.
Per questo motivo, quando si parla delle specificità delle culture regionali – la costeña, la paisa, la santandereana – si fa allusione a categorie, nozioni e gerarchie razziali senza nominarle.
D’altra parte, sebbene nel 2011 sia stata approvata una legge contro il razzismo e la discriminazione, la Colombia, come altri Paesi dell’America Latina, si è concentrata sulla lotta alla discriminazione razziale e al razzismo interpersonale, senza affrontare le disuguaglianze razziali strutturali e storicamente accumulate.
Se colleghiamo questa riflessione sui modi in cui la “razza” opera in Colombia con gli elementi in gioco nell’attuale contesa elettorale colombiana, diventa evidente l’intreccio tra bianchezza, mascolinità e modernità che caratterizza il progetto politico delle élite colombiane.
Queste tre categorie fanno della classe media urbana, maschile e meticcia (nella sua accezione “sbiancata”) l’unico gruppo sociale che può legittimamente avanzare una proposta politica autenticamente democratica, in grado di superare gli oneri associati a una composizione etnica e sociale eterogenea e alla mascolinità disfunzionale che le corrisponde.
La partecipazione di Francia Márquez alla scena politica elettorale colombiana ha portato alla luce il razzismo e il classismo sistemici in Colombia, che si manifestano con prese in giro, frasi sprezzanti e minacce.
Molte di queste espressioni provengono dalla classe politica tradizionale, da personaggi pubblici e persino da alcuni accademici che, come in altri paesi, negano l’esistenza del razzismo.
Il loro approccio privilegiato al razzismo impedisce loro di percepire che queste gerarchie “pigmentocratiche” sono continuamente riprodotte e naturalizzate attraverso la famiglia, la scuola, le istituzioni politiche, il sistema sanitario, le politiche pubbliche, i media e i social network, tra gli altri.
Francia Márquez ha tracciato un nuovo corso per il dibattito politico cambiando l’idea che le decisioni nazionali debbano venire da chi le pensa dalla capitale del paese e che le questioni regionali siano problemi periferici e non centrali per la politica nazionale.
Fino ad oggi, il discorso politico sulle cosiddette “regioni” colombiane (cioè le aree razzializzate negativamente) è stato condotto da uomini bianchi che hanno parlato di ciò che accadeva in esse in modo paternalistico e razzista. Questo pregiudizio si basava sulla convinzione di poter parlare meglio delle comunità stesse dei loro problemi, grazie alle loro maggiori competenze accademiche e tecniche.
Al contrario, la Francia Márquez ha ”risignificato” le comunità razziali, rendendole protagoniste della loro conoscenza e saggezza, forgiata dall’esperienza vissuta. In questo modo, ha dato loro quello che l’epistemologia elaborata dal femminismo nero chiama “privilegio epistemico”. Ovvero, la possibilità che i gruppi dominati abbiano una comprensione del mondo meno distorta di quella che hanno i gruppi dominanti.
Francia Márquez non solo rompe con il modo convenzionale di interpretare la politica, ovvero le relazioni di potere, autorità e legittimità, ma anche con il modo di fare politica. Il suo lavoro politico si inscrive nella genealogia delle pratiche “amefricane”, per usare il vocabolario lasciatoci in eredità dal pensiero di Lelia Gonzalez.
Queste pratiche hanno la capacità di rendere udibile la presenza effettiva, ma nascosta e silenziosa, di questi nessuno, negati come soggetti dotati della capacità di agire politicamente.
Francia Márquez ha trasformato la politica colombiana sventolando con orgoglio e gioia le bandiere dell’amefricanità, con le sue epistemologie, storie, estetiche e forme di sociabilità. Ha sviluppato un processo pedagogico che ha messo in luce la nevrosi sociale prodotta dalla costante negazione dell’ascendenza amerindia e amefricana della storia, della cultura e della soggettività colombiana e, più in generale, latinoamericana.
La sua proposta ha cercato di riparare e guarire queste distorsioni riportando al presente memorie e pratiche sociali e culturali che resistono alla cancellazione. E ci ha invitato a percepire questa “esplosione creativa di questo qualcosa di sconosciuto che rappresenta un legame con la nostra amefricanità, come un possibile futuro emancipatorio“. Ora tocca a noi ascoltare il suo invito.
Intervento di Mara Viveros Vigoya nel Dialogo Magistrale “Negritudes, afrolatinidades, racismos y resistencias” (insieme a Rita Segato e Rosa Campoalegre) il 9 giugno alla 9ª Conferenza Latinoamericana e Caraibica di Scienze Sociali “Tramas de las desigualdades en América Latina y el Caribe – Saberes, luchas y transformaciones”, organizzata dalla CLACSO nelle strutture dell’Università Nazionale Autonoma del Messico (UNAM).
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