Chissà se Amine Kakabaveh, la parlamentare svedese di origine curda, avrebbe mai immaginato di sedere nel Parlamento di Stoccolma dopo essere nata in una delle regioni più povere dell’Iran ed essersi arruolata nella guerriglia curda per necessità.
La storia narra che una Amine appena ventenne, nel 1991, fu l’unica all’interno di un gruppo di decine di uomini a eludere i controlli delle guardie di frontiera turche e passare nella città curdo turca di Silopi dal confine iracheno.
Nata nel 1970 a Torjan in Iran da una famiglia povera, inizia come gli altri sette fratelli a lavorare sin da giovanissima per aiutare la famiglia. Fa le pulizie nelle case dei benestanti e vende piccoli oggetti di artigianato in strada, fino a quando viene a contatto con il Partito dei lavoratori del Kurdistan Iraniano.
È il primo approccio di Amine con la politica; la giovane decide subito di entrare a far parte dell’ala armata del Partito curdo iraniano, denominata Komala, che da poco aveva iniziato ad aprire alle donne i propri ranghi seguendo l’esempio del PKK, organizzazione gemella impegnata in un conflitto contro la Turchia.
Una scelta che nel 1983, a soli 13 anni cambia la vita di Amine, costretta ad andare contro il volere della famiglia e abbandonare il villaggio in cui aveva sempre vissuto per raggiungere i campi di addestramento sulle montagne di Kandil, ancora oggi uno dei santuari e centri di addestramento della guerriglia curda. In Iran non tornerà mai più e non rivedrà più i suoi familiari.
Sulle montagne Amine impara a combattere, ma anche a leggere e scrivere e scopre definitivamente la passione per la politica. Sono gli anni della guerra tra Iraq e Iran, alla fine della quale il dittatore iracheno Saddam Hussein inizia a bombardare i curdi con armi chimiche.
Amine si salva dall’attacco chimico ad Halabja, città irachena vicinissima al confine iraniano, ma rimane intossicata e si salva per miracolo da due attacchi che Saddam sferra nella regione di Sirvan dove si trova il campo di addestramento. Attacchi in cui, lei stessa racconta in un’intervista del 2016, perse 72 compagni e amici.
Amine trascorre sei anni con la guerriglia sulle montagne. Anni di combattimenti, imboscate, in cui sfugge più volte alla morte fino alla decisione di abbandonare l’organizzazione e sconfinare in Turchia per cercare una nuova vita.
Una decisione sofferta ma forzata, presa dopo la caduta di Saddam Hussein, cui seguirono mesi di incertezza nel Kurdistan iracheno, mesi in cui l’Iran intensifica attacchi e operazioni speciali nell’area uccidendo decine di militanti, ma in cui si moltiplicano anche gli scontri fra diverse fazioni curde che rivaleggiavano per il controllo del territorio.
Come la stessa Kakabaveh ha ammesso, si trattava di un periodo pieno di incertezze, la guerriglia divisa in fazioni, fino alla decisione di 500 tra uomini e donne di abbandonare Komala e tentare la fortuna oltrefrontiera.
Torniamo così alla notte in cui Amine passa la frontiera, raggiunge la città curdo turca di Silopi e, senza documenti, sale sul primo bus per Ankara. Ai controlli di polizia racconta di essere iraniana di etnia azera. Un trucco che le consente di arrivare presso l’ufficio delle Nazioni Unite della capitale turca e chiedere asilo politico.
Amine racconta di aver fatto parte della guerriglia curda, degli attacchi, delle bombe chimiche e degli omicidi da parte del regime di Saddam e dell’Iran. Una storia che fa subito breccia nella burocrazia Onu, tanto che in tre mesi riceve lo status di rifugiata, un sostegno economico e una carta di identità che le permette di vivere senza problemi ad Ankara.
Non passa neanche un anno in Turchia che nel 1992 per la ormai ex combattente curda si aprono le porte dell’Europa.
Una delegazione arriva dalla Svezia e ‘adotta’ 500 rifugiati, tra cui Amine, che una volta approdata a Stoccolma può dar seguito alla sua passione per la politica e alla sua sensibilità nei confronti dei diritti umani nella facoltà di Scienze Sociali e Filosofia, dove si laurea e ottiene anche un master. Negli stessi anni si iscrive al partito svedese di sinistra, di ispirazione socialista e femminista e lavora presso il “telefono rosa” del comune di Stoccolma, una linea per aiutare le donne in difficoltà.
Un ulteriore passo verso una maturazione politica che ha un focus particolare verso i diritti delle donne e i diritti umani. Un percorso che ha come sbocco la candidatura alle elezioni del 2006.
Non entra in Parlamento, ma l’abbandono di un collega due anni dopo le permette di essere ripescata per poi essere rieletta direttamente nelle elezioni del 2010, 2014 e 2018.
Porta la causa curda nel Parlamento svedese e nel 2016, durante le operazioni militari turche nel sud est del Paese con un’interrogazione parlamentare, chiede al governo svedese di fare pressione sulla Turchia per trattare con il PKK.
L’anno seguente lancia una campagna con cui chiede al governo di Stoccolma di intervenire presso l’Ue affinché il PKK fosse rimosso dalla lista delle organizzazioni terroristiche.
Le battaglie di Amine
Tutte condotte in Parlamento e presso l’opinione pubblica e che finiscono inevitabilmente per attirare l’attenzione della Turchia, suscitando rabbia e indignazione negli anni in cui gli attacchi del PKK colpiscono non solo militari, ma anche civili.
“C’è una terrorista nel parlamento svedese“, ha ripetuto più volte nelle ultime settimane il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, opponendo il veto all’ingresso nella Nato di Svezia e Finlandia. Una frase che il leader turco ha ripetuto anche dopo che quel veto è caduto e Ankara ha chiesto a Stoccolma l’estradizione di 11 curdi, accusati di terrorismo.
Tra questi non compare Amine, che per la Turchia non si è resa colpevole di alcun reato, ma non ci si sarebbe stupiti se Erdogan avesse alzato il tiro chiedendone l’estradizione.
Ora invece a intesa raggiunta è proprio Amine ad alzare la voce ancora una volta, contro la Turchia e contro lo stesso governo svedese, che ha bisogno del suo voto anche ora che la curda ha abbandonato il partito per divenire una parlamentare indipendente.
Un voto che dopo l’intesa con Ankara potrebbe essere negativo e che tiene ora in scacco il governo svedese, in bilico per le prossime decisioni della Kakabaveh, che ha espresso più volte la contrarietà all’ingresso della Svezia nella Nato.
“Il vertice di Madrid è un giorno nero per la Svezia. La Turchia ed Erdogan sanno benissimo che se il PKK fosse un’organizzazione terroristica non godrebbe del sostegno degli americani. Allo stesso tempo Erdogan è in difficoltà e sta giocando la sua partita, tirando fuori il PKK per guadagnare consensi. La stessa Nato sta usando la candidatura della Svezia per colpire la Russia. Quando sono venuta qui ho trovato un Paese di pace che non ha bisogno dell’ingresso nella Nato“, sono le parole dell’ultima battaglia di Amine.
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