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31/10/2022

Morire per Halloween?


Si resta attoniti e sconvolti a fronte delle immagini provenienti da Seul.

Corpi accatastati nei sacchi anonimi sui marciapiedi, cifre incredibili di morti, feriti e “dispersi” e un età media dei deceduti bassissima. Insomma una catastrofe.

Il tutto – come ci rimbalzano i video provenienti dai circuiti internazionali – in un contesto surreale dove il luccichio sfavillante della metropoli coreana continua incessantemente la sua (pacchiana) ostentazione e dove, persino, i lampeggianti delle autoambulanze sembrano in sintonia scenografica con gli effetti della devastazione.

Il presente come catastrofe.

È evidente che una tragedia di questo tipo non può essere classificata, unicamente, come il prodotto di una maledetta casualità o le conseguenze drammatiche di una particolare tipologia architettonica dello spicchio della metropoli coreana abitualmente attraversato dalla movida.

Il tema – meglio ancora il vero e proprio dilemma – che una simile vicenda segnala è come sia concepibile e possibile che centinaia di migliaia di persone siano – tutte assieme – mosse da un fremito e da una potente voglia di “agitarsi” che riempie strade e piazze per “festeggiare” un “capodanno celtico” che nel corso degli ultimi decenni – a partire dagli Stati Uniti – si è configurato, sempre più come un orgia consumistica.

Una colossale speculazione – immaginaria e materiale – con buona pace di tutta la mitologia, la simbologia e i variegati significati, più o meno mistici ed allusivi, che si richiamano ad Halloween.

Alcuni commentatori hanno fatto notare che questa festa a Seul è stata tra i primi mega/eventi dopo un lungo periodo di limitazioni a seguito della Crisi Pandemica e che lo straordinario afflusso di giovani è ascrivibile al desiderio di “socialità” che era stato compresso e limitato durante le restrizioni.

Probabilmente tale dato è tra i fattori che hanno determinato il grande afflusso ma – sempre a mò di dilemma irrisolto – restano confuse e poco chiare le motivazioni vere per cui una “festa di questo tipo” genera una attrattività esagerata ed un fattore emulativo a scala internazionale.

Nelle moderne metropoli imperialiste in tutto il globo – Seul è tra le più titolate da questo punto di vista – l’industria dell’intrattenimento non è solo produzione, vendita e consumo di merci (tra cui una di tipo particolare e devastante: la droga) ma è, soprattutto, costruzione ideologica di “senso” e di “modelli comportamentali” che avviluppano le fasce giovanili e non solo.

Stiamo parlando di uno sfrenato accumulo di “miti”, di “valori” e di “stili di vita” in cui si mischiano una genuina ricerca di amicizia, socialità e spinta umana ad una auspicabile rottura dei dispositivi di “nuova e vecchia” solitudine con i meccanismi spietati del Mercato, con quella specificità che Marx definiva “il carattere feticcio della merce” e con quell’insano cocktail di sessismo, razzismo, individualismo e classismo su cui si fondono le immanenti ed inumane relazioni sociali e comunitarie vigenti.

Insomma – a parere di chi scrive – la tragedia di Seul è un ulteriore aspetto di quel processo di sussunzione totale che l’egemonia dominate (nei suoi aspetti parossistici) provoca anche in ambiti e sfere che – apparentemente – ad uno sguardo veloce possono sembrare astratti e che invece sono la cartina tornasole di una produzione di morte ideale e, spesso, fisica che il corso del capitalismo genera inesorabilmente nel suo dipanarsi.

Ovviamente – di fronte ai morti e al complesso del carico di dolore proveniente da Seul – occorre discutere con sobrietà evitando superficiali approssimazioni o inutili “scomuniche”.

Da comunisti – che agiscono in questa complessa contemporaneità – dobbiamo interpretare questa fenomenologia riconducendola, oltre il dato drammatico ed emotivo della cronaca, all’analisi complessiva della “Sovrastruttura e dell’Egemonia” e di come il combinato disposto tra questi fattori agisce, prepotentemente, fin dentro la vita e la testa degli individui sociali e delle loro relazioni.

La necessità della rottura sistemica e rivoluzionaria deve fare i conti con questo tipo di “complicazioni sociali”, con l’intero arco di questioni che né derivano e che riverberano, a vario titolo, tra tutte le classi sociali.

Un compito analitico e pratico dell’oggi di cui la tragedia di Seul è solo un ulteriore triste campanello d’allarme.

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