«Gli invii di armi non aiutano la popolazione ucraina. Gli invii di armi uccidono soldati russi, uccidono soldati ucraini e uccidono popolazione civile ucraina. Solo un armistizio, solo una fine delle azioni militari difende la popolazione civile in Ucraina. Non gli invii di armi»: parole non di un “odioso filo-putiniano” o di un “anti-europeista amico dei russi”, bensì di Harald Kujat, ex Ispettore generale della Bundeswehr.
Al momento di scrivere, tuttavia, sono due le vittime, oltre a una quindicina di feriti, per i colpi ucraini contro la cittadina di Šebekino, nella regione russa di Belgorod; rimasti senza elettricità oltre quindicimila abitanti della zona.
Da parte loro, le forze russe hanno eliminato un centinaio di soldati ucraini e mercenari, hanno distrutto un deposito di mezzi militari stranieri nella regione di Kherson, respingendo un tentativo di penetrazione di forze ucraine, mentre l’aviazione russa ha abbattuto un MiG-29 ucraino sopra la regione di Nikolaev.
Ma i Ministri tedeschi di esteri e difesa, Annalena Baerbock e Christine Lambrecht (per la cronaca: rispettivamente Verdi e SPD), chiedono 1,5 miliardi di euro in più della somma prevista (700 milioni) per le consegne di armi a Kiev nel 2023.
Così che, nota Susann Witt-Stahl su Die Junge Welt, si estende la «lunga tradizione di diplomatici tedeschi che di tempo in tempo mantengono cordiali rapporti con le bande criminali fasciste, purché siano filo-occidentali». Basti ricordare i “silenzi” dell’ambasciata della RFT in Cile sulle atrocità nei campi di tortura di Pinochet, o quelli del Ministero degli esteri, all’epoca di Genscher, sulle vittime tedesche della giunta militare argentina.
Dunque, ecco che ora un console generale tedesco (dei Verdi), nel corso di un’iniziativa organizzata in USA dai banderisti ucraini, i cui antenati erano stati aiutati nel 1946 dall’Organizzazione Gehlen a rifugiarsi negli Stati Uniti, ha reso gli onori ai neonazisti di “Azov”. Naturalmente: silenzio da parte del Ministero degli Esteri federale, commenta Witt-Stahl.
Il punto di avvio di tale “evoluzione” dei Verdi era stato «il maligno sfruttamento dei milioni di trucidati a Auschwitz, quale “legittimazione” della partecipazione alla prima guerra di aggressione tedesca dopo la fine del fascismo hitleriano, da parte di un ministro degli esteri “verde”, nel 1999», con l’aggressione NATO alla Jugoslavia.
Se ora Annalena Baerbock, all’Atlantic Council, cita con orgoglio il nonno che nel ’45 combatté sull’Oder contro l’Armata Rossa, ovvio che, sussurrando “Mai più guerra”, tralasci di gridare «l’imperativo storico-mondiale “Mai più fascismo!”».
Ovvio che tantomeno ci sia da attendersi slogan del genere da una vecchia volpe come l’ex ambasciatore USA in Unione Sovietica dal 1987 al 1991, Jack F. Matlock, direttore per gli affari europei presso il Consiglio di sicurezza nazionale USA. Il quale però, parlando all’Institute for Responsible Statecraft, invita Washington a fare di tutto per il cessate il fuoco in Ucraina.
Ora, se giurare sulla sincerità di un diplomatico è sempre azzardato, credere a quella di un diplomatico yankee è pericoloso. Fatto sta che Matlock ha anche detto che la guerra in Ucraina avrebbe potuto “probabilmente” essere evitata «se l’Ucraina fosse stata disposta a rispettare gli accordi di Minsk, a riconoscere il Donbass quale entità autonoma all’interno dell’Ucraina, a rinunciare ai consiglieri militari della NATO e a impegnarsi a non aderire alla NATO. Ma ciò che era ancora possibile a gennaio 2022 probabilmente non è più possibile ora», ha detto.
In un’intervista alla tedesca TAZ, Matlock aveva anche detto che, in un caso analogo, gli Stati Uniti agirebbero allo stesso modo della Russia: «Se la Cina si mettesse a organizzare un’alleanza militare con Canada e Messico, gli Stati Uniti non la tollererebbero... Lo impediremmo. Con tutti i mezzi che abbiamo... Il colpo di stato a Kiev ha portato nell’apparato di sicurezza persone violentemente anti-russe e così di estrema destra che non è esagerato definire neonaziste. La violenta occupazione di edifici governativi iniziò nell’Ucraina occidentale. Non a est».
Matlock parla ora di alcuni avvenimenti che hanno posto la guerra in Ucraina su una china estremamente pericolosa:
– l’annessione russa delle province ucraine blocca le soluzioni di compromesso in precedenza possibili;
– l’attentato al North Stream rende impossibile a breve termine per la Russia di continuare a essere il principale fornitore di energia della Germania;
– l’attacco ucraino al ponte di Crimea ha fornito alla Russia un pretesto per intensificare gli attacchi contro infrastrutture civili ucraine, che faranno sicuramente più danni all’Ucraina di quelli che Kiev possa infliggere alla Russia.
Dopo un paio di osservazioni pietistiche di rammarico per «il ruolo degli Stati Uniti nell’espansione verso est della NATO» e di gaudio per «l’Europa improvvisamente unita e libera: l’obiettivo della politica americana e NATO con la Guerra fredda», Matlock parla di una crescente «resistenza europea al dominio statunitense», per via delle sanzioni imposte dagli USA.
Quindi, lanciata un’altra enciclica tipica del corredo evangelico borghese sul futuro dell’umanità che «dipenderà dal fatto che le nazioni impareranno a risolvere pacificamente le loro divergenze», indipendentemente dall’ordine capitalistico, l’ex diplomatico conclude che «L’unico modo effettivo per porre fine ai combattimenti sarebbe concordare un cessate il fuoco».
Ma chi dovrebbe farsene garante? Secondo Matlock, gli Stati Uniti, quali principali fornitore di armi all’Ucraina, dovrebbero convincere Kiev ad accettare un cessate il fuoco e persuadere la Russia a impegnarsi in veri negoziati durante l’armistizio, attraverso un rilancio della diplomazia americano-russa, perché «se non si intraprende presto la strada dei negoziati il mondo si dirige verso un risultato che vedrà tutti perdenti».
Intanto, però, la “democratica Ucraina aggredita dalla Russia” fornisce altre prove del proprio attaccamento ai “valori europeisti”, mettendo al bando il dodicesimo “partito filo-russo”, cioè il Partito socialista, dopo gli 11 partiti proibiti il marzo scorso, accusati di “legami con Mosca”.
Inoltre, dopo che a fine settembre Vladimir Zelenskij aveva annunciato una pronta richiesta di adesione dell’Ucraina alla NATO, il Ministro della difesa della junta neonazista, Aleksej Reznikov, ribadisce come sia assolutamente da escludere lo “status neutrale” – cioè fuori della NATO – dell’Ucraina: «il corso verso l’integrazione euro-atlantica è fissato nella Costituzione ucraina», ha detto, e rimane solo da attendere il consenso dei membri dell’Alleanza.
Un’indiretta risposta all’annuncio di Zelenskij era arrivata dalla rivista americana Politico: l’adesione «dell’Ucraina alla NATO è già da molto un tema sensibile a Washington, per via dell’art. 5 dello Statuto, che prevede la difesa militare da parte USA di qualsiasi stato membro vittima di aggressione».
In realtà, la partecipazione diretta di forze da paesi NATO al conflitto che da otto anni è in corso nel sudest dell’Ucraina e in particolare in Donbass, dopo che, prima del 2014, formazioni e raggruppamenti neonazisti erano stati addestrati militarmente sia all’estero che in patria da istruttori americani, canadesi, baltici, polacchi, tedeschi, ecc., non è mai stata un mistero e tanto meno lo è oggi, dopo il febbraio 2022.
Tant’è che non fanno più notizia dichiarazioni come quella recente dei comandi della 101° divisione aviotrasportata USA, cui reparti sono presenti in Europa “per esercitazioni”. Secondo il canale Usa CBS, il comando dei “Screaming Eagles”, reparto di fanteria leggera con un totale di 4.700 uomini di stanza in Romania, dichiara che, sebbene siano arrivati per «difendere il territorio NATO, in caso di escalation militare o di attacco alla NATO, sono pienamente preparati ad attraversare il confine ed entrare in territorio ucraino».
Recitino pure omelie “pacifiste” con cui mondarsi la coscienza, coloro che, tessendo lodi a se stessi per aver contribuito alla “fine della guerra fredda”, hanno di fatto dato una mano alla fine dell’Unione Sovietica.
Per i comunisti, la strada per la cessazione di un conflitto che ci sta già coinvolgendo in prima persona, passa per la consapevolezza che «la guerra non è né una casualità, né un “peccato”, come pensano i preti cristiani (che predicano il patriottismo, l’umanità e la pace non meno degli opportunisti) bensì un gradino inevitabile del capitalismo, una forma altrettanto legittima della vita capitalistica, quanto la pace» (Lenin).
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